La piazza milanese, nonostante ruolo e dimensioni di rilievo conseguiti durante la Restaurazione, non fu in grado di pervenire a forme di articolazione istituzionale e funzionale prima dell’Unità. L’assenza di una banca di emissione lombarda non dipese, quanto meno sino alla fine degli anni quaranta dell’Ottocento, solo dai veti politici viennesi ma anche da resistenze interne ai ceti mercantili milanesi. La comunità degli affari milanese, restia a impegnarsi in progetti di modernizzazione finanziaria dopo la tormentata esperienza dell’età napoleonica, temeva una gestione «politica» della circolazione monetaria affidata a una banca di emissione, vale a dire un governo della moneta largamente subordinate alle esigenze espansive della finanza pubblica dell’Impero. L’area lombarda, impermeabile alla circolazione cartacea della Banca Nazionale Austriaca, dovette così fare assegnamento su fattori di compensazione delle rigidità deriva-te nell’offerta di mezzi di pagamento: forme di cooperazione orizzontale all’interno della categoria; ricorso alle reti internazionali dei corrispondenti; assunzione di comportamenti improntati a cautela. In tale contesto - in mancanza di una banca di emissione - dalla fine degli anni quaranta i negozianti e i banchieri milanesi optarono per alcune innovazioni di natura essenzialmente adattativa: un’estensione progressiva delle operazioni della Cassa di risparmio di Milano; l’introduzione di operazioni e pratiche di piazza volte ad attenuare i forti vincoli alla regolazione della liquidità. L’originalità della traiettoria evolutiva della piazza milanese viene ricondotta ai fattori politico-istituzionali, alle pratiche operative dei banchieri e alla cultura economica dei soggetti implicati nei processi di innovazione e resistenza all’innovazione. A compensazione di tali lacune istituzionali la piazza fu regolata dagli operatori non secondo un sistema di norme positivamente codificate quanto piuttosto secondo un insieme di norme informali ampiamente condivise dalla business community: le norme informali della piazza di Milano, in parte, erano connesse ai meccanismi di fiducia e solidarietà necessari a garantire la continuità degli affari e, in altra parte, erano connesse a specifici rapporti di fiducia e solidarietà, innervati sulle relazioni etnico-religiose di particolari gruppi di minoranze (dagli israeliti ai protestanti) . In un complesso quadro regolativo - condizionato dalle autorità di governo (ma con ciò non definito, se non per via negativa, dagli organi della statualità) - i banchieri e i negozianti milanesi attuarono strategie adat-tative al fine di assicurare un discreto grado di stabilità e crescita al di fuori, tuttavia, dei principi e degli strumenti regolativi dell’offerta di moneta e credito in quei decenni in via di affermazione nelle aree europee con le quali la Lombardia aveva intensi rapporti di scambio.
Regole, istituzioni, mercati: modelli e innovazioni istituzionali a Milano dalla Restaurazione all'Unità
Piluso G.
2002-01-01
Abstract
La piazza milanese, nonostante ruolo e dimensioni di rilievo conseguiti durante la Restaurazione, non fu in grado di pervenire a forme di articolazione istituzionale e funzionale prima dell’Unità. L’assenza di una banca di emissione lombarda non dipese, quanto meno sino alla fine degli anni quaranta dell’Ottocento, solo dai veti politici viennesi ma anche da resistenze interne ai ceti mercantili milanesi. La comunità degli affari milanese, restia a impegnarsi in progetti di modernizzazione finanziaria dopo la tormentata esperienza dell’età napoleonica, temeva una gestione «politica» della circolazione monetaria affidata a una banca di emissione, vale a dire un governo della moneta largamente subordinate alle esigenze espansive della finanza pubblica dell’Impero. L’area lombarda, impermeabile alla circolazione cartacea della Banca Nazionale Austriaca, dovette così fare assegnamento su fattori di compensazione delle rigidità deriva-te nell’offerta di mezzi di pagamento: forme di cooperazione orizzontale all’interno della categoria; ricorso alle reti internazionali dei corrispondenti; assunzione di comportamenti improntati a cautela. In tale contesto - in mancanza di una banca di emissione - dalla fine degli anni quaranta i negozianti e i banchieri milanesi optarono per alcune innovazioni di natura essenzialmente adattativa: un’estensione progressiva delle operazioni della Cassa di risparmio di Milano; l’introduzione di operazioni e pratiche di piazza volte ad attenuare i forti vincoli alla regolazione della liquidità. L’originalità della traiettoria evolutiva della piazza milanese viene ricondotta ai fattori politico-istituzionali, alle pratiche operative dei banchieri e alla cultura economica dei soggetti implicati nei processi di innovazione e resistenza all’innovazione. A compensazione di tali lacune istituzionali la piazza fu regolata dagli operatori non secondo un sistema di norme positivamente codificate quanto piuttosto secondo un insieme di norme informali ampiamente condivise dalla business community: le norme informali della piazza di Milano, in parte, erano connesse ai meccanismi di fiducia e solidarietà necessari a garantire la continuità degli affari e, in altra parte, erano connesse a specifici rapporti di fiducia e solidarietà, innervati sulle relazioni etnico-religiose di particolari gruppi di minoranze (dagli israeliti ai protestanti) . In un complesso quadro regolativo - condizionato dalle autorità di governo (ma con ciò non definito, se non per via negativa, dagli organi della statualità) - i banchieri e i negozianti milanesi attuarono strategie adat-tative al fine di assicurare un discreto grado di stabilità e crescita al di fuori, tuttavia, dei principi e degli strumenti regolativi dell’offerta di moneta e credito in quei decenni in via di affermazione nelle aree europee con le quali la Lombardia aveva intensi rapporti di scambio.File | Dimensione | Formato | |
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