“Io e la mamma preferiamo i vecchi film. Era tutto così diverso, allora. Se guardi quei film, vedi com’erano i ristoranti ai tempi. Come si vestiva la gente.” Nell’ultimo romanzo del premio Nobel 2017 affiora una nostalgia mai ben definita, dai contorni sfumati, ma che può risuonare sinistramente famigliare al lettore di oggi. Come altre sue opere precedenti, anche questo Klara e il sole si presta a varie interpretazioni, e qui abbiamo già ipotizzato la prima: una distopia sul mondo post-pandemia, o post-qualcosa di simile. Ishiguro è un maestro nello svelare lentamente, progressivamente, il mondo dei suoi romanzi, sempre in equilibrio sul filo soggettivo dei ricordi di chi narra: qui sta il segreto del fascino della sua scrittura, che penetra nel lettore goccia a goccia. E a questo si deve il mio imbarazzo come recensore, giacché da qui in avanti dovrò rivelare aspetti dell’opera (e ho intenzione di farlo smodatamente), rovinando così la sorpresa a chi non l’ha ancora letto. Il presente del romanzo è composto da un luogo e un tempo imprecisati, ma non concettualmente distanti dai nostri, perché nonostante le differenze ci si può facilmente riconoscere. È una realtà che si disvela poco a poco perché narrata in prima persona da una protagonista molto particolare: Klara è una AA, Amico Artificiale per bambini e ragazzi, di categoria B2, quarta serie. Ancora una volta, dopo una serie di opere indimenticabili, Ishiguro riesce a sorprendere, grazie a questa sorta di androide che funziona ad energia solare, con frequenti disfunzioni visive ma dall’udito molto sviluppato, incapace di sentire odori. Una narratrice apparentemente fredda, molto concreta nelle sue riflessioni, una voce particolare che la traduzione di Susanna Basso restituisce con cura. In realtà, è proprio il suo racconto a tratti glaciale a mettere in rilievo l’umanità (o presunta tale) del mondo che la circonda: “Deve essere bellissimo. Non sentire la mancanza di niente. Non avere nostalgia delle cose. Non guardarsi mai indietro”, un personaggio le dice. Vero, Klara non può provare nostalgia perché è di costruzione molto recente: nella prima parte del romanzo descrive le sue giornate nel negozio di AA, in attesa di essere acquistata. Rispetto agli altri AA, però, spicca per curiosità e spirito di osservazione: dalla vetrina del negozio percepisce tutto e, come la creatura di Frankenstein, inizia faticosamente a dare un senso anche agli stati d’animo che le si dispiegano davanti: “mi sentii prima confusa e poi sempre più affascinata dalle misteriosissime emozioni che i passanti mostravano di fronte a noi.” Da qui in avanti, la sua personale rielaborazione di ciò che distingue l’umano arriverà a sfiorare cime e a perdersi in vaste profondità. A chi la invidia per la sua presunta mancanza di sentimenti, Klara risponde: “Io credo di avere tanti sentimenti. Più cose osservo, e più acquisisco accesso a nuovi sentimenti.” Fino a quando, nell’essere abbracciata, osserva: “sentii la sua gentilezza scorrermi dentro”. Dalla vetrina del negozio, Klara nota soprattutto la solitudine dei bambini in cerca di un AA e il “rabbioso sfinimento” di genitori drogati di lavoro, dai caffè veloci. Viene scelta dalla simpatica 14enne Josie, che ha grandi problemi di salute. Quando si trasferisce a casa sua, Klara conosce (sempre poco a poco) un mondo benestante ma devastato dall’incertezza, dove Josie segue lezioni personalizzate su un “oblungo”, con docenti che si collegano non si sa da dove, al fine di prepararsi all’università. Un mondo dominato dall’isolamento sociale e dalla “paura della solitudine”, che inevitabilmente porta il lettore a domandarsi come stiamo educando le nuove generazioni – altro aspetto davvero attuale del romanzo, su cui Elena Madrussan riflette qui accanto. Asocializzati e allo stesso tempo totalmente controllati, i ragazzi si ritrovano in “incontri di interazione” che dovrebbero ricreare una normalità del passato, ma che si rivelano carichi di aspettative e quindi ansiogeni, e dove vengono esibiti picchi di cattiveria e spaventose fragilità caratteriali – non solo nei ragazzi, ma soprattutto nei nevrotici genitori che li attendono nella stanza accanto. Questi incontri sono riservati a ragazzi “potenziati”, che sono stati sottoposti a un editing genetico, condizione necessaria per accedere a un’istruzione superiore (le distopie ishiguriane sono sempre assai scarne di dettagli tecnici). L’editing, però, ha i suoi rischi di salute molto gravi: “Volevo il meglio per lei,” dice la madre. “Volevo che avesse una vita bella. Mi capisci, Klara? L’ho voluto, e ora Josie è malata. A causa di quel che ho deciso. Puoi immaginare come mi sento?” Non si può non pensare alle scelte angoscianti del nostro presente immediato: inoculare vaccini non completamente sperimentati ai nostri figli per garantire loro più opportunità? Attorno a questo mondo di benessere economico si intuisce la presenza di continenti segnati da violenza e povertà, ma la prospettiva narrativa di Klara ha un àmbito stretto, in cui dà prova di memorabili complessità: Klara sente come anche i momenti di incontenibile felicità possano contenere una vena di dolore; capisce che la solitudine può essere una scelta consapevole; non esita a sacrificarsi per il bene di Josie; evolve il proprio bisogno di nutrimento solare in un’adorazione rispettosa per l’onnipotenza onnisciente del Sole, manifestando così una sensibilità spirituale fatta di preghiere e voti dalla toccante ingenuità; e finirà per accettare il proprio declino come compimento di un percorso. La sua preghiera al Sole è quella di guarire Josie, soprattutto in virtù dell’amore tra la ragazza e Rick, coetaneo brillante ma non potenziato dai genitori e quindi destinato all’esclusione educativa. È questo, forse, il messaggio più incisivo del romanzo: ciò che ci lega. Di fronte alla possibilità che Josie non ce la faccia, la Madre progetta di innestare i circuiti di Klara dentro una copia perfetta del corpo della figlia, affinché l’androide possa “proseguire”, grazie alla sua bravura, la vita di Josie. Il dibattito attorno a Klara su cosa rende speciale ogni individuo è inevitabile, tra chi parla del cuore umano come “unico e straordinario” e chi vede questa come una “credenza superstiziosa” perché “non c’è niente là dentro” e tutto è riproducibile. Alla fine, però, l’ultima parola è di Klara, quando capisce che avrebbe fallito nel tentativo di “proseguire” Josie, perché “c’era invece qualcosa di molto speciale, ma non era dentro Josie. Era dentro quelli che l’amavano.” Nel legarsi agli altri, Klara sembra innestare un circolo virtuoso e tirar fuori il meglio da molti personaggi secondari, che hanno tutti un proprio fascino particolare. Il messaggio è insolitamente chiaro ed esplicito, poco in sintonia con le verità ambigue delle opere ishiguriane, forse dovuto al fatto che Klara è stato inizialmente concepito come libro per bambini. In ogni caso, non c’è bisogno che Klara provi a “proseguire” Josie. Alla fine le sue preghiere sembrano avere effetto, e la guarigione arriva. Nel suo freddo narrare, Klara ci mostra un altro messaggio diretto: il valore della speranza, qualcosa che gli adulti di questo futuro (prossimo?) sono arrivati a considerare con fastidio. “La speranza,” riflette il padre di Josie. “Mai che ti lasci in pace, la maledetta.”

AA di categoria B2, amica dal cuore vuoto

Deandrea Pietro
2021-01-01

Abstract

“Io e la mamma preferiamo i vecchi film. Era tutto così diverso, allora. Se guardi quei film, vedi com’erano i ristoranti ai tempi. Come si vestiva la gente.” Nell’ultimo romanzo del premio Nobel 2017 affiora una nostalgia mai ben definita, dai contorni sfumati, ma che può risuonare sinistramente famigliare al lettore di oggi. Come altre sue opere precedenti, anche questo Klara e il sole si presta a varie interpretazioni, e qui abbiamo già ipotizzato la prima: una distopia sul mondo post-pandemia, o post-qualcosa di simile. Ishiguro è un maestro nello svelare lentamente, progressivamente, il mondo dei suoi romanzi, sempre in equilibrio sul filo soggettivo dei ricordi di chi narra: qui sta il segreto del fascino della sua scrittura, che penetra nel lettore goccia a goccia. E a questo si deve il mio imbarazzo come recensore, giacché da qui in avanti dovrò rivelare aspetti dell’opera (e ho intenzione di farlo smodatamente), rovinando così la sorpresa a chi non l’ha ancora letto. Il presente del romanzo è composto da un luogo e un tempo imprecisati, ma non concettualmente distanti dai nostri, perché nonostante le differenze ci si può facilmente riconoscere. È una realtà che si disvela poco a poco perché narrata in prima persona da una protagonista molto particolare: Klara è una AA, Amico Artificiale per bambini e ragazzi, di categoria B2, quarta serie. Ancora una volta, dopo una serie di opere indimenticabili, Ishiguro riesce a sorprendere, grazie a questa sorta di androide che funziona ad energia solare, con frequenti disfunzioni visive ma dall’udito molto sviluppato, incapace di sentire odori. Una narratrice apparentemente fredda, molto concreta nelle sue riflessioni, una voce particolare che la traduzione di Susanna Basso restituisce con cura. In realtà, è proprio il suo racconto a tratti glaciale a mettere in rilievo l’umanità (o presunta tale) del mondo che la circonda: “Deve essere bellissimo. Non sentire la mancanza di niente. Non avere nostalgia delle cose. Non guardarsi mai indietro”, un personaggio le dice. Vero, Klara non può provare nostalgia perché è di costruzione molto recente: nella prima parte del romanzo descrive le sue giornate nel negozio di AA, in attesa di essere acquistata. Rispetto agli altri AA, però, spicca per curiosità e spirito di osservazione: dalla vetrina del negozio percepisce tutto e, come la creatura di Frankenstein, inizia faticosamente a dare un senso anche agli stati d’animo che le si dispiegano davanti: “mi sentii prima confusa e poi sempre più affascinata dalle misteriosissime emozioni che i passanti mostravano di fronte a noi.” Da qui in avanti, la sua personale rielaborazione di ciò che distingue l’umano arriverà a sfiorare cime e a perdersi in vaste profondità. A chi la invidia per la sua presunta mancanza di sentimenti, Klara risponde: “Io credo di avere tanti sentimenti. Più cose osservo, e più acquisisco accesso a nuovi sentimenti.” Fino a quando, nell’essere abbracciata, osserva: “sentii la sua gentilezza scorrermi dentro”. Dalla vetrina del negozio, Klara nota soprattutto la solitudine dei bambini in cerca di un AA e il “rabbioso sfinimento” di genitori drogati di lavoro, dai caffè veloci. Viene scelta dalla simpatica 14enne Josie, che ha grandi problemi di salute. Quando si trasferisce a casa sua, Klara conosce (sempre poco a poco) un mondo benestante ma devastato dall’incertezza, dove Josie segue lezioni personalizzate su un “oblungo”, con docenti che si collegano non si sa da dove, al fine di prepararsi all’università. Un mondo dominato dall’isolamento sociale e dalla “paura della solitudine”, che inevitabilmente porta il lettore a domandarsi come stiamo educando le nuove generazioni – altro aspetto davvero attuale del romanzo, su cui Elena Madrussan riflette qui accanto. Asocializzati e allo stesso tempo totalmente controllati, i ragazzi si ritrovano in “incontri di interazione” che dovrebbero ricreare una normalità del passato, ma che si rivelano carichi di aspettative e quindi ansiogeni, e dove vengono esibiti picchi di cattiveria e spaventose fragilità caratteriali – non solo nei ragazzi, ma soprattutto nei nevrotici genitori che li attendono nella stanza accanto. Questi incontri sono riservati a ragazzi “potenziati”, che sono stati sottoposti a un editing genetico, condizione necessaria per accedere a un’istruzione superiore (le distopie ishiguriane sono sempre assai scarne di dettagli tecnici). L’editing, però, ha i suoi rischi di salute molto gravi: “Volevo il meglio per lei,” dice la madre. “Volevo che avesse una vita bella. Mi capisci, Klara? L’ho voluto, e ora Josie è malata. A causa di quel che ho deciso. Puoi immaginare come mi sento?” Non si può non pensare alle scelte angoscianti del nostro presente immediato: inoculare vaccini non completamente sperimentati ai nostri figli per garantire loro più opportunità? Attorno a questo mondo di benessere economico si intuisce la presenza di continenti segnati da violenza e povertà, ma la prospettiva narrativa di Klara ha un àmbito stretto, in cui dà prova di memorabili complessità: Klara sente come anche i momenti di incontenibile felicità possano contenere una vena di dolore; capisce che la solitudine può essere una scelta consapevole; non esita a sacrificarsi per il bene di Josie; evolve il proprio bisogno di nutrimento solare in un’adorazione rispettosa per l’onnipotenza onnisciente del Sole, manifestando così una sensibilità spirituale fatta di preghiere e voti dalla toccante ingenuità; e finirà per accettare il proprio declino come compimento di un percorso. La sua preghiera al Sole è quella di guarire Josie, soprattutto in virtù dell’amore tra la ragazza e Rick, coetaneo brillante ma non potenziato dai genitori e quindi destinato all’esclusione educativa. È questo, forse, il messaggio più incisivo del romanzo: ciò che ci lega. Di fronte alla possibilità che Josie non ce la faccia, la Madre progetta di innestare i circuiti di Klara dentro una copia perfetta del corpo della figlia, affinché l’androide possa “proseguire”, grazie alla sua bravura, la vita di Josie. Il dibattito attorno a Klara su cosa rende speciale ogni individuo è inevitabile, tra chi parla del cuore umano come “unico e straordinario” e chi vede questa come una “credenza superstiziosa” perché “non c’è niente là dentro” e tutto è riproducibile. Alla fine, però, l’ultima parola è di Klara, quando capisce che avrebbe fallito nel tentativo di “proseguire” Josie, perché “c’era invece qualcosa di molto speciale, ma non era dentro Josie. Era dentro quelli che l’amavano.” Nel legarsi agli altri, Klara sembra innestare un circolo virtuoso e tirar fuori il meglio da molti personaggi secondari, che hanno tutti un proprio fascino particolare. Il messaggio è insolitamente chiaro ed esplicito, poco in sintonia con le verità ambigue delle opere ishiguriane, forse dovuto al fatto che Klara è stato inizialmente concepito come libro per bambini. In ogni caso, non c’è bisogno che Klara provi a “proseguire” Josie. Alla fine le sue preghiere sembrano avere effetto, e la guarigione arriva. Nel suo freddo narrare, Klara ci mostra un altro messaggio diretto: il valore della speranza, qualcosa che gli adulti di questo futuro (prossimo?) sono arrivati a considerare con fastidio. “La speranza,” riflette il padre di Josie. “Mai che ti lasci in pace, la maledetta.”
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Ishiguro, distopia, romanzo, intelligenza artificiale, pedagogia
Deandrea Pietro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1799233
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