Sorelle è il nuovo romanzo di Daisy Johnson, la più giovane candidata al Man Booker Prize. Coloro che si sono cimentati nella lettura di Nel profondo (2018, Fazi 2019; cfr. “L’Indice” 2020, n. 3) ritroveranno in Sorelle le tematiche che caratterizzano lo stile narrativo dell’autrice: i legami famigliari complessi e traumatici, l’incapacità di essere madre, la casa. Johnson offre ai lettori una storia dal finale aperto che spazia tra il genere psicologico, la letteratura per ragazzi, il thriller, l’horror. La narrazione non avviene in modo ordinato, anche se per gli avvezzi al genere thriller e/o horror la ricostruzione dei fatti è intuitiva. Nonostante ciò, lo stile narrativo è caratterizzato da un’eccezionale scorrevolezza del testo e da una particolare presa della trama sul lettore. Luglio, la voce narrante, si affida a un elenco di similitudini, come quella del “buco nero” o dell’“ultima casa in fondo alla strada”,per introdurre e descrivere Settembre. Le due sorelle vivono in un loro mondo inaccessibile e impenetrabile a chiunque, persino alla madre. Tra di loro c’è uno scarto temporale di dieci mesi ed è forse questa minima differenza di età a intrappolarle in un rapporto simbiotico ma disarmonico, squilibrato e ambiguo. Il legame ha ripercussioni nella giovane vita di Luglio: a scuola dove è bersaglio di atti di bullismo e quando perde la verginità. In entrambi i casi, la malsana sorellanza conferisce agli episodi un risvolto sinistro e tragico. Nella narrazione sono presenti continui parallelismi. “Somiglio a mamma. O come dice mamma, alla nonna, in India, dove non siamo mai state. Settembre non somiglia a noi. Papà non ce lo ricordiamo, ma sicuramente assomiglia a lui, con i capelli lisci, le guance morbide coperte di peluria bionda, gli occhi chiari come un animale delle nevi”. Alla narrazione di Luglio si affianca quella di Sheela. È una genitrice affetta da depressione con pensieri suicidi e, quando ne ha occasione, non disdegna qualche bicchiere di prosecco o boccale di birra di troppo. Dal suo racconto emerge una relazione affettiva malsana: “Peter era come un buco nero e niente riusciva a resistere a lungo, se veniva attratto dalla sua forza di gravità”. La personalità forte e prepotente di Peter annienta quella di Sheela al punto da renderla incapace di crescere le figlie e gestirne il rapporto. Le sorelle si intrattengono al buio con “Settembre dice”, un gioco inquietante: “Settembre comandava e io ero il suo pupazzo e dovevo fare tutto quello che diceva lei”, come scrivere sui muri con il pennarello indelebile o “Settembre dice tagliati qui. Indica la base del collo. Settembre dice fallo subito o perdi tutto il gioco. Settembre dice sbrigati”. Nelle North York Moors si trova Casa Accoglienza. È la casa dove sono nati Peter e Settembre, ma si dimostra ostile verso le sue ospiti arrivate in Brughiera per fuggire da una realtà oxfordiana divenuta insostenibile. La casa, luogo simbolo di identità e di appartenenza, viene descritta e percepita come un essere animato, un corpo che ospita, che emette rumori e “esplosioni improvvise simili a grida” o un organo vitale “come una gola che si chiude e non lascia passare l’ossigeno”. I racconti di Luglio e Sheela sono dominati da un perenne stato di sofferenza, angoscia, senso di inferiorità, poiché “il dolore è una casa senza finestre e porte, dove non puoi sapere che ore sono”.

Il dolore è una casa senza finestre

Maria Festa
2021-01-01

Abstract

Sorelle è il nuovo romanzo di Daisy Johnson, la più giovane candidata al Man Booker Prize. Coloro che si sono cimentati nella lettura di Nel profondo (2018, Fazi 2019; cfr. “L’Indice” 2020, n. 3) ritroveranno in Sorelle le tematiche che caratterizzano lo stile narrativo dell’autrice: i legami famigliari complessi e traumatici, l’incapacità di essere madre, la casa. Johnson offre ai lettori una storia dal finale aperto che spazia tra il genere psicologico, la letteratura per ragazzi, il thriller, l’horror. La narrazione non avviene in modo ordinato, anche se per gli avvezzi al genere thriller e/o horror la ricostruzione dei fatti è intuitiva. Nonostante ciò, lo stile narrativo è caratterizzato da un’eccezionale scorrevolezza del testo e da una particolare presa della trama sul lettore. Luglio, la voce narrante, si affida a un elenco di similitudini, come quella del “buco nero” o dell’“ultima casa in fondo alla strada”,per introdurre e descrivere Settembre. Le due sorelle vivono in un loro mondo inaccessibile e impenetrabile a chiunque, persino alla madre. Tra di loro c’è uno scarto temporale di dieci mesi ed è forse questa minima differenza di età a intrappolarle in un rapporto simbiotico ma disarmonico, squilibrato e ambiguo. Il legame ha ripercussioni nella giovane vita di Luglio: a scuola dove è bersaglio di atti di bullismo e quando perde la verginità. In entrambi i casi, la malsana sorellanza conferisce agli episodi un risvolto sinistro e tragico. Nella narrazione sono presenti continui parallelismi. “Somiglio a mamma. O come dice mamma, alla nonna, in India, dove non siamo mai state. Settembre non somiglia a noi. Papà non ce lo ricordiamo, ma sicuramente assomiglia a lui, con i capelli lisci, le guance morbide coperte di peluria bionda, gli occhi chiari come un animale delle nevi”. Alla narrazione di Luglio si affianca quella di Sheela. È una genitrice affetta da depressione con pensieri suicidi e, quando ne ha occasione, non disdegna qualche bicchiere di prosecco o boccale di birra di troppo. Dal suo racconto emerge una relazione affettiva malsana: “Peter era come un buco nero e niente riusciva a resistere a lungo, se veniva attratto dalla sua forza di gravità”. La personalità forte e prepotente di Peter annienta quella di Sheela al punto da renderla incapace di crescere le figlie e gestirne il rapporto. Le sorelle si intrattengono al buio con “Settembre dice”, un gioco inquietante: “Settembre comandava e io ero il suo pupazzo e dovevo fare tutto quello che diceva lei”, come scrivere sui muri con il pennarello indelebile o “Settembre dice tagliati qui. Indica la base del collo. Settembre dice fallo subito o perdi tutto il gioco. Settembre dice sbrigati”. Nelle North York Moors si trova Casa Accoglienza. È la casa dove sono nati Peter e Settembre, ma si dimostra ostile verso le sue ospiti arrivate in Brughiera per fuggire da una realtà oxfordiana divenuta insostenibile. La casa, luogo simbolo di identità e di appartenenza, viene descritta e percepita come un essere animato, un corpo che ospita, che emette rumori e “esplosioni improvvise simili a grida” o un organo vitale “come una gola che si chiude e non lascia passare l’ossigeno”. I racconti di Luglio e Sheela sono dominati da un perenne stato di sofferenza, angoscia, senso di inferiorità, poiché “il dolore è una casa senza finestre e porte, dove non puoi sapere che ore sono”.
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legami famigliari complessi e traumatici, incapacità di essere madre, casa
Maria Festa
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1816623
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