A partire dalla suggestione biofiliaca, secondo la quale si prediligono scenari naturali come contesto abitativo, si è sviluppata la bioarchitettura. Le fa da sponda la neuroarchittetura, che indaga i processi nervosi al fine di realizzare ambienti rispondenti al senso di appartenenza verso i “propri” luoghi. Che il sistema biologico umano privilegi un paesaggio ricco di acque e vegetazione, ma in grado di offrire riparo e protezione, era uno dei principi ispiratori dell’arte del giardinaggio di “Capability” Brown, teorizzata da Horace Walpole e preconizzata dagli “augustei” inglesi. Nel primo Novecento, il senso del luogo e del paesaggio fu rivendicato dai filosofi che, insieme con le avanguardie, auspicavano una fuga dalle “deturpanti” metropoli. Queste idee si concretarono poi nei luminosi ambienti californiani, sebbene gli urbanofili abbiano visto negli habitat naturali ostacoli fastidiosi. Nel rispetto di una “memoria genetica” dell’ambiente ottimale, psicologi ed ecologi insieme mirano alla mediazione empatica tra tecnologia e sensibility. Attraverso una disamina storica, il saggio si propone di gettar luce sulle concezioni degli architetti novecenteschi, che hanno coniugato concetti filosofici con le risultanze di teorie fisiche e neuroscientifiche (su spazio e luce, percezione e pensiero “visivo”, neuroni specchio e binomio cervello/metafore), mettendo capo a opere personalissime, con un uso peculiare di materiali, forme e colori.
Il paesaggio tra l'ordine il corpo
Germana PARETI
2021-01-01
Abstract
A partire dalla suggestione biofiliaca, secondo la quale si prediligono scenari naturali come contesto abitativo, si è sviluppata la bioarchitettura. Le fa da sponda la neuroarchittetura, che indaga i processi nervosi al fine di realizzare ambienti rispondenti al senso di appartenenza verso i “propri” luoghi. Che il sistema biologico umano privilegi un paesaggio ricco di acque e vegetazione, ma in grado di offrire riparo e protezione, era uno dei principi ispiratori dell’arte del giardinaggio di “Capability” Brown, teorizzata da Horace Walpole e preconizzata dagli “augustei” inglesi. Nel primo Novecento, il senso del luogo e del paesaggio fu rivendicato dai filosofi che, insieme con le avanguardie, auspicavano una fuga dalle “deturpanti” metropoli. Queste idee si concretarono poi nei luminosi ambienti californiani, sebbene gli urbanofili abbiano visto negli habitat naturali ostacoli fastidiosi. Nel rispetto di una “memoria genetica” dell’ambiente ottimale, psicologi ed ecologi insieme mirano alla mediazione empatica tra tecnologia e sensibility. Attraverso una disamina storica, il saggio si propone di gettar luce sulle concezioni degli architetti novecenteschi, che hanno coniugato concetti filosofici con le risultanze di teorie fisiche e neuroscientifiche (su spazio e luce, percezione e pensiero “visivo”, neuroni specchio e binomio cervello/metafore), mettendo capo a opere personalissime, con un uso peculiare di materiali, forme e colori.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
6207-8_Pareti_interno_STAMPA.pdf
Accesso aperto con embargo fino al 15/12/2023
Descrizione: monografia
Tipo di file:
PDF EDITORIALE
Dimensione
1.32 MB
Formato
Adobe PDF
|
1.32 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.