Cinesi: atei, superstiziosi e idolatri. Nella varietà di aggettivi usati dai missionari per definire i cinesi vi erano racchiuse differenti qualità morali alle quali corrispondevano diverse strategie di evangelizzazione. Matteo Ricci scelse di interloquire con gli atei cinesi, con coloro che a suo avviso presentavano qualità etiche e morali più simili a quelle proposte dal cristianesimo. In ciò si richiamava alla tradizione dei Padri della Chiesa e ai classici che, almeno da Plutarco in poi, ravvisavano nell’ateismo una qualità più positiva della superstizione: meglio nessun Dio che un Dio falso. Da questa scelta ne discendeva una metodologia e un discorso missionario che faceva spazio alla filosofia cinese e alla scienza europea come primari canali di una dialogo volto alla conversione. Ma anche una immagine del missionario come di un apostolo della Chiesa primitiva. Diverso invece il presupposto del suo confratello Niccolò Longobardo per il quale la condizione di ateismo, a ben vedere più speculativo che comportamentale, era invece un ostacolo all’uso del metodo ricciano: nessuna collaborazione con l’ateo e improduttivo a suo avviso il metodo missionario della tradizione apostolica

L’ateismo dei cinesi in Matteo Ricci e Niccolò Longobardo. La strategia missionaria della Compagnia di Gesù in Cina

CATTO, MICHELA
2015-01-01

Abstract

Cinesi: atei, superstiziosi e idolatri. Nella varietà di aggettivi usati dai missionari per definire i cinesi vi erano racchiuse differenti qualità morali alle quali corrispondevano diverse strategie di evangelizzazione. Matteo Ricci scelse di interloquire con gli atei cinesi, con coloro che a suo avviso presentavano qualità etiche e morali più simili a quelle proposte dal cristianesimo. In ciò si richiamava alla tradizione dei Padri della Chiesa e ai classici che, almeno da Plutarco in poi, ravvisavano nell’ateismo una qualità più positiva della superstizione: meglio nessun Dio che un Dio falso. Da questa scelta ne discendeva una metodologia e un discorso missionario che faceva spazio alla filosofia cinese e alla scienza europea come primari canali di una dialogo volto alla conversione. Ma anche una immagine del missionario come di un apostolo della Chiesa primitiva. Diverso invece il presupposto del suo confratello Niccolò Longobardo per il quale la condizione di ateismo, a ben vedere più speculativo che comportamentale, era invece un ostacolo all’uso del metodo ricciano: nessuna collaborazione con l’ateo e improduttivo a suo avviso il metodo missionario della tradizione apostolica
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http://www.giornaledistoria.net/index.php?Articoli=557D0301220A740321070F07777327
Cina; missione; ateismo; confucianesimo; Matteo Ricci; Niccolò Longobardo
CATTO, MICHELA
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