Benedetto XIV e i riti cinesi. Il Sant'Uffizio e la stesura della Ex quo singulari. 600 parole L’11 luglio del 1742 Benedetto XIV emanava la bolla Ex quo singulari con la quale desiderava mettere fine alla questione dei riti cinesi e forse, ancora prima, ai dissidi e alle disubbidienze che la discussione intorno a queste ritualità aveva scatenato tra gli ordini religiosi, in Cina come in Europa. Sin dalla morte di Matteo Ricci (1610) e con l’arrivo in Estremo Oriente di ordini religiosi diversi dalla Compagnia di Gesù (che aveva goduto sino al 1600 del privilegio di evangelizzare in esclusiva il Celeste Impero) si erano sviluppate tra i missionari (e spesso indipendentemente dall’ordine religioso di appartenenza) differenti opinioni sul valore e il significato da conferire ai riti, a Confucio e ai defunti, praticati da tutti i cinesi. Erano cerimonie di natura religiosa o civile? Erano cerimonie idolatriche e superstiziose o la loro pratica poteva essere permessa al cinese convertito? I provvedimenti presi dalle autorità romane per disciplinare e uniformare l’avanzata del cristianesimo nell’Estremo Oriente erano stati numerosi, sin dagli anni quaranta del Seicento, ma non erano riusciti a far cessare le discussioni che dalla Cina erano giunte in Europa, alimentando il pensiero libertino, le critiche e la propaganda del mondo protestante verso il paganesimo autorizzato dalla Chiesa di Roma, le preoccupazioni dei giansenisti per una Chiesa che, a loro avviso, si era allontanata dalle sue origini e le accuse dei più grandi oppositori della Compagnia di Gesù e del suo metodo missionario. Il materiale documentario conservato presso archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede permette di ricostruire le ultime osservazioni intorno alla ritualità cinese, quelle su cui si fondò la condanna definitiva di Benedetto XIV, salito al soglio pontificio nel 1740. Si tratta di discussioni preliminari intorno alla metodologia da seguire nella valutazione della ritualità, di ricchi dossier descrittivi, quasi da antropologi, delle cerimonie cinesi, frutto delle interviste ai padri missionari della Cina, di discussioni su questioni giuridiche, come ad esempio, sul valore da attribuire ai permessi e alle proibizioni emesse precedentemente da Roma sui riti. Nel 1741 le discussioni non coinvolgevano più la traduzione del nome di Dio, per essere tutte rivolte a indagare la natura dei riti autorizzati dalle cosiddette otto Permissioni concesse dal legato apostolico Carlo Ambrogio Mezzabarba, la cui valutazione impegnò a lungo i cardinali e il Sant’Uffizio senza riuscire a far emergere una condanna compatta. Quante di quelle otto permissioni erano fedeli alla Costituzione Ex illa die del 1715 con cui erano resi leciti solo i riti di natura puramente civile delegando alle autorità competenti – in questo caso il legato Mezzabarba in partenza per la Cina nel 1720-21 – il compito di definirle se di natura religiosa o civile? Ciò, scrivevano i cardinali, era “quanto dimandato da Benedetto XIV”. Nel gennaio del 1742 erano già pronte le osservazioni alla prima stesura della bolla. Ora non si dibatteva più sulle questioni metodologiche o giuridiche che avevano caratterizzato la prima fase dei consulti, ma si dava spazio alla cautela, alla sensibilità e alle ragioni politiche, alla necessità di mantenere una posizione di equilibrio che non prestasse troppo il fianco alle critiche gianseniste e non fosse troppo distruttiva dell’immagine della Compagnia di Gesù. L’occasione di discussione era inoltre utilizzata per suggerire che per il futuro si ridefinisse la gerarchia dei soggetti coinvolti nella valutazione del cristianesimo in Estremo Oriente: ridurre i poteri della Congregazione di Propaganda e la possibilità per i missionari di presentare quesiti e dubbi per esaltare i poteri dell’Inquisizione nelle direttive del cristianesimo in Cina.
Superstizione, monoteismo e unità della Chiesa: Benedetto XIV e la condanna dei riti cinesi (1742)
CATTO, MICHELA
2013-01-01
Abstract
Benedetto XIV e i riti cinesi. Il Sant'Uffizio e la stesura della Ex quo singulari. 600 parole L’11 luglio del 1742 Benedetto XIV emanava la bolla Ex quo singulari con la quale desiderava mettere fine alla questione dei riti cinesi e forse, ancora prima, ai dissidi e alle disubbidienze che la discussione intorno a queste ritualità aveva scatenato tra gli ordini religiosi, in Cina come in Europa. Sin dalla morte di Matteo Ricci (1610) e con l’arrivo in Estremo Oriente di ordini religiosi diversi dalla Compagnia di Gesù (che aveva goduto sino al 1600 del privilegio di evangelizzare in esclusiva il Celeste Impero) si erano sviluppate tra i missionari (e spesso indipendentemente dall’ordine religioso di appartenenza) differenti opinioni sul valore e il significato da conferire ai riti, a Confucio e ai defunti, praticati da tutti i cinesi. Erano cerimonie di natura religiosa o civile? Erano cerimonie idolatriche e superstiziose o la loro pratica poteva essere permessa al cinese convertito? I provvedimenti presi dalle autorità romane per disciplinare e uniformare l’avanzata del cristianesimo nell’Estremo Oriente erano stati numerosi, sin dagli anni quaranta del Seicento, ma non erano riusciti a far cessare le discussioni che dalla Cina erano giunte in Europa, alimentando il pensiero libertino, le critiche e la propaganda del mondo protestante verso il paganesimo autorizzato dalla Chiesa di Roma, le preoccupazioni dei giansenisti per una Chiesa che, a loro avviso, si era allontanata dalle sue origini e le accuse dei più grandi oppositori della Compagnia di Gesù e del suo metodo missionario. Il materiale documentario conservato presso archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede permette di ricostruire le ultime osservazioni intorno alla ritualità cinese, quelle su cui si fondò la condanna definitiva di Benedetto XIV, salito al soglio pontificio nel 1740. Si tratta di discussioni preliminari intorno alla metodologia da seguire nella valutazione della ritualità, di ricchi dossier descrittivi, quasi da antropologi, delle cerimonie cinesi, frutto delle interviste ai padri missionari della Cina, di discussioni su questioni giuridiche, come ad esempio, sul valore da attribuire ai permessi e alle proibizioni emesse precedentemente da Roma sui riti. Nel 1741 le discussioni non coinvolgevano più la traduzione del nome di Dio, per essere tutte rivolte a indagare la natura dei riti autorizzati dalle cosiddette otto Permissioni concesse dal legato apostolico Carlo Ambrogio Mezzabarba, la cui valutazione impegnò a lungo i cardinali e il Sant’Uffizio senza riuscire a far emergere una condanna compatta. Quante di quelle otto permissioni erano fedeli alla Costituzione Ex illa die del 1715 con cui erano resi leciti solo i riti di natura puramente civile delegando alle autorità competenti – in questo caso il legato Mezzabarba in partenza per la Cina nel 1720-21 – il compito di definirle se di natura religiosa o civile? Ciò, scrivevano i cardinali, era “quanto dimandato da Benedetto XIV”. Nel gennaio del 1742 erano già pronte le osservazioni alla prima stesura della bolla. Ora non si dibatteva più sulle questioni metodologiche o giuridiche che avevano caratterizzato la prima fase dei consulti, ma si dava spazio alla cautela, alla sensibilità e alle ragioni politiche, alla necessità di mantenere una posizione di equilibrio che non prestasse troppo il fianco alle critiche gianseniste e non fosse troppo distruttiva dell’immagine della Compagnia di Gesù. L’occasione di discussione era inoltre utilizzata per suggerire che per il futuro si ridefinisse la gerarchia dei soggetti coinvolti nella valutazione del cristianesimo in Estremo Oriente: ridurre i poteri della Congregazione di Propaganda e la possibilità per i missionari di presentare quesiti e dubbi per esaltare i poteri dell’Inquisizione nelle direttive del cristianesimo in Cina.File | Dimensione | Formato | |
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