Nel nostro ordinamento l'azione di classe sembra non trovare «pace»: dopo le infauste vicende della prima (2007) e della seconda versione (2010), entrambe confinate nel codice del consumo, l'ultima riforma (2019) l'ha collocata nel codice generale di rito, spezzandone la tensione esclusiva a strumento di tutela consumeristica. Ma la ricollocazione non ne ha potuto camuffare la portata sostanziale: depositaria di una disciplina ormai folta e per certi versi cavillosa, la nostra "class action" mantiene ed anzi accresce la sua capacità di modellare il diritto sostanziale, prima che il processo (essa è sempre «più» rimedio e sempre «meno» rito alternativo). Ma il trapianto legale - dall'archetipo nordamericano agli esperimenti europei di ultima fattura - se davvero ambisce ad incrementare effettività e deflazione della giustizia civile, dev'essere maneggiato con le lenti e con l'armamentario concettuale del processo di classe, anziché con quelli del tradizionale processo a due; ed è un'arte ancora poco praticata fuori dell'ambiente di origine (come mostrano, in maniera emblematica, proprio gli insuccessi della prima e soprattutto della seconda versione, l'unica, fino ad ora, ad aver raccolto un riscontro pratico). La futura esperienza applicativa dirà se l'ultima riforma, che libera l'istituto dalle precorse restrizioni consumeristiche, sarà capace di guadagnare uno spazio reale nel sistema vigente: al di là del suo ambientamento processuale, molto dipenderà da quanto l'azione saprà instaurare una nuova coscienza dei diritti omogenei di classe, non già la mera moltiplicazione numerica del diritto individuale, ma posizioni realmente collettive e purtuttavia capaci di tutela civile. Di qui la prospettiva di un (graduale) superamento del diritto soggettivo nel processo di massa, che pare riannodarsi all'idea di un diritto omogeneo spettante alla classe come tale, anziché alla sommatoria di posizioni individuali simili.
Diritti soggettivi e processo di massa
EDOARDO FERRANTE
2020-01-01
Abstract
Nel nostro ordinamento l'azione di classe sembra non trovare «pace»: dopo le infauste vicende della prima (2007) e della seconda versione (2010), entrambe confinate nel codice del consumo, l'ultima riforma (2019) l'ha collocata nel codice generale di rito, spezzandone la tensione esclusiva a strumento di tutela consumeristica. Ma la ricollocazione non ne ha potuto camuffare la portata sostanziale: depositaria di una disciplina ormai folta e per certi versi cavillosa, la nostra "class action" mantiene ed anzi accresce la sua capacità di modellare il diritto sostanziale, prima che il processo (essa è sempre «più» rimedio e sempre «meno» rito alternativo). Ma il trapianto legale - dall'archetipo nordamericano agli esperimenti europei di ultima fattura - se davvero ambisce ad incrementare effettività e deflazione della giustizia civile, dev'essere maneggiato con le lenti e con l'armamentario concettuale del processo di classe, anziché con quelli del tradizionale processo a due; ed è un'arte ancora poco praticata fuori dell'ambiente di origine (come mostrano, in maniera emblematica, proprio gli insuccessi della prima e soprattutto della seconda versione, l'unica, fino ad ora, ad aver raccolto un riscontro pratico). La futura esperienza applicativa dirà se l'ultima riforma, che libera l'istituto dalle precorse restrizioni consumeristiche, sarà capace di guadagnare uno spazio reale nel sistema vigente: al di là del suo ambientamento processuale, molto dipenderà da quanto l'azione saprà instaurare una nuova coscienza dei diritti omogenei di classe, non già la mera moltiplicazione numerica del diritto individuale, ma posizioni realmente collettive e purtuttavia capaci di tutela civile. Di qui la prospettiva di un (graduale) superamento del diritto soggettivo nel processo di massa, che pare riannodarsi all'idea di un diritto omogeneo spettante alla classe come tale, anziché alla sommatoria di posizioni individuali simili.File | Dimensione | Formato | |
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