Cheria bent Abdurrahaman, una donna libica, si presentò il 29 gennaio del 1923, accompagnata dal suo avvocato, dinanzi al Tribunale Regionale di Tripoli, per opporsi alla richiesta presentata dall’avvocato militare al Tribunale di Zavia e ottenuta dal Presidente Regionale di Tripoli, di confisca e di vendita di alcuni beni mobili dei quali lei stessa rivendicava la proprietà. Erano questi gli anni della “pacificazione” della Libia, che seguirono l’occupazione italiana con la guerra italo-turca del 1911-12, e che furono accompagnati da una vasta opera di confisca ai danni dei libici. Il sequestro e il pignoramento dei beni, di oggetti e animali di vario genere, contestato da Cheria, era stato deciso a danno di suo marito Sadek ben Hag, inquisito dal Governo italiano per delitto di tradimento. La confisca era stata decisa per via della presunzione, basata sull’art. 10 D.L. 15 aprile 1917, n. 939, che i mobili esistenti nella casa coniugale fossero di proprietà del marito. Tuttavia, in seguito alla richiesta della donna, il tribunale accolse la prova testimoniale di proprietà dei beni da lei presentata, e riconobbe che questi erano effettivamente di proprietà della moglie, e non del Sadek, giungendo pertanto alla revoca della confisca. Quest’ultima, come riconosceva il magistrato italiano, «non può che colpire solo i beni del condannato ma mai quelli dei parenti o prossimi congiunti [...] Nella specie, poi, non vi è dubbio che, essendo la reclamante una indigena, ella potesse secondo la consuetudine fornire a mezzo di testi la prova dell’alligato [sic] suo diritto di proprietà sui mobili e semoventi colpiti dal sequestro autorizzato in odio al marito».
Pluralismo giuridico e diritto di famiglia nella Libia coloniale italiana
silvia bruzzi
2021-01-01
Abstract
Cheria bent Abdurrahaman, una donna libica, si presentò il 29 gennaio del 1923, accompagnata dal suo avvocato, dinanzi al Tribunale Regionale di Tripoli, per opporsi alla richiesta presentata dall’avvocato militare al Tribunale di Zavia e ottenuta dal Presidente Regionale di Tripoli, di confisca e di vendita di alcuni beni mobili dei quali lei stessa rivendicava la proprietà. Erano questi gli anni della “pacificazione” della Libia, che seguirono l’occupazione italiana con la guerra italo-turca del 1911-12, e che furono accompagnati da una vasta opera di confisca ai danni dei libici. Il sequestro e il pignoramento dei beni, di oggetti e animali di vario genere, contestato da Cheria, era stato deciso a danno di suo marito Sadek ben Hag, inquisito dal Governo italiano per delitto di tradimento. La confisca era stata decisa per via della presunzione, basata sull’art. 10 D.L. 15 aprile 1917, n. 939, che i mobili esistenti nella casa coniugale fossero di proprietà del marito. Tuttavia, in seguito alla richiesta della donna, il tribunale accolse la prova testimoniale di proprietà dei beni da lei presentata, e riconobbe che questi erano effettivamente di proprietà della moglie, e non del Sadek, giungendo pertanto alla revoca della confisca. Quest’ultima, come riconosceva il magistrato italiano, «non può che colpire solo i beni del condannato ma mai quelli dei parenti o prossimi congiunti [...] Nella specie, poi, non vi è dubbio che, essendo la reclamante una indigena, ella potesse secondo la consuetudine fornire a mezzo di testi la prova dell’alligato [sic] suo diritto di proprietà sui mobili e semoventi colpiti dal sequestro autorizzato in odio al marito».File | Dimensione | Formato | |
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