Il contributo offre una ricognizione dei casi di omotransfobia affrontati dalla giustizia penale italiana, analizzando sotto quali fattispecie i fatti siano stati sussunti e se e attraverso quali istituti il movente omotransfobico abbia fatto ingresso nel giudizio. Pur in mancanza di un intervento normativo ad hoc, infatti, molte forme di omotransfobia, sia fisica che verbale, possono integrare fattispecie già presenti nel Codice penale, che costituiscono reato a prescindere dal movente d’odio. In primo luogo, dunque, ci si occuperà dei casi in cui l’omotransfobia trova una risposta da parte dell’ordinamento a mezzo del diritto penale, andando a evidenziare eventuali differenze di trattamento rispetto ai delitti motivati da finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per questi ultimi, infatti, il legislatore è da tempo intervenuto dando espressa rilevanza al movente, sia per aggravare il trattamento sanzionatorio che, in taluni casi, per fondare la criminalizzazione. Nella seconda parte, invece, si prenderanno in considerazione i vuoti di tutela: i casi di discriminazione e propaganda per i quali il diritto penale non dispone di strumenti di persecuzione e punizione. Infine, ci si occuperà del campo di applicazione privilegiato del discorso omotransfobico e della “parola odiosa” in generale: i social media con le loro ulteriori problematicità in relazione all’uso dello strumento penale.
La giurisprudenza penale italiana di fronte alle discriminazioni delle persone LGBTQIA+
Paolo Caroli
2022-01-01
Abstract
Il contributo offre una ricognizione dei casi di omotransfobia affrontati dalla giustizia penale italiana, analizzando sotto quali fattispecie i fatti siano stati sussunti e se e attraverso quali istituti il movente omotransfobico abbia fatto ingresso nel giudizio. Pur in mancanza di un intervento normativo ad hoc, infatti, molte forme di omotransfobia, sia fisica che verbale, possono integrare fattispecie già presenti nel Codice penale, che costituiscono reato a prescindere dal movente d’odio. In primo luogo, dunque, ci si occuperà dei casi in cui l’omotransfobia trova una risposta da parte dell’ordinamento a mezzo del diritto penale, andando a evidenziare eventuali differenze di trattamento rispetto ai delitti motivati da finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso. Per questi ultimi, infatti, il legislatore è da tempo intervenuto dando espressa rilevanza al movente, sia per aggravare il trattamento sanzionatorio che, in taluni casi, per fondare la criminalizzazione. Nella seconda parte, invece, si prenderanno in considerazione i vuoti di tutela: i casi di discriminazione e propaganda per i quali il diritto penale non dispone di strumenti di persecuzione e punizione. Infine, ci si occuperà del campo di applicazione privilegiato del discorso omotransfobico e della “parola odiosa” in generale: i social media con le loro ulteriori problematicità in relazione all’uso dello strumento penale.File | Dimensione | Formato | |
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