A sette anni Anna Maria sente tutto il peso del proprio corpo. Ogni mattina sale sullo scuolabus e sa «che appena sarò dentro riceverò quelle occhiate strane, che mi fanno venire voglia di tenere la testa bassa». Lei e la sorella gemella sono le uniche bambine nere della scuola elementare di Roma che frequentano, e il confronto con gli altri si ripropone costante: «le mie mani nere sono sfiorate dai capelli biondi della bambina seduta davanti a me. La sua coda di cavallo ondeggia regolare, mentre le treccine che noi portiamo sempre si muovono scomposte.» È questo l’incipit de Il corpo nero di Anna Maria Gehnyei (Fandango, pp. 174, € 16), che con lo pseudonimo ‘Karima 2G’ è già nota come artista di musica grime. ‘2G’ sta per ‘seconda generazione’, essendo Gehnyei nata da genitori liberiani trasferitisi a Roma alla fine degli anni ’70. In uno dei suoi pezzi, Karima 2G canta «Before you get recognized, you gotta be blackenized» («Per essere riconosciuta, devi prima essere annerita»), proprio come nel primo capitolo di questo libro, dove vive il ‘fardello della rappresentazione’ teorizzato da Shohat e Stam, cioè l’incarnare agli occhi degli altri un intero gruppo umano e perdere così la propria individualità. Allo stesso tempo la protagonista dimostra subito quel desiderio di impossessarsi dello sguardo di cui scriveva bell hooks: visto che gli altri bambini durante l’intervallo non le fanno giocare a nascondino con loro, Anna Maria e la sorella salgono sulla terrazza (proibita) della scuola, e il peso del proprio corpo sembra alleggerirsi: «Da lassù tutto è ancora più bello, vediamo gli altri bambini in lontananza e ci sembrano piccoli.» Autobiografia romanzata o romanzo autobiografico, Il corpo nero è costruito su episodi come questo, tappe emblematiche di un bildungsroman metropolitano in un’Italia sempre più multiculturale. Un libro da leggere in parallelo con un altro testo fondamentale di questi anni, L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda (66thand2nd 2021): se Uyangoda utilizzava eventi autobiografici come spunto per riflessioni teoriche, Gehnyei si concentra sulla propria vicenda personale in modo diretto, senza alcun filtro – o almeno, questa può essere la prima impressione. In realtà, la cifra de Il corpo nero è ben più sofisticata di come sembra, a partire dal genere letterario. Gehnyei mescola autobiografismo e romanzo del mistero che ruota intorno alle origini della famiglia, legate ai traumi della spaventosa guerra civile liberiana: «Io sono taciturna, persa nelle domande che vorrei fare ai miei genitori. Stanno diventando così tante che non so più come fare a tenerle solo per me.» Sono molti i punti interrogativi («ho fame delle mie radici»), che si risolveranno solo nel primo viaggio in Liberia dei capitoli finali. C’è anche il ricorso al genere epistolare, con una lettera al padre tormentato (e ai suoi silenzi); e una lettera alla madre dal titolo «La principessa dei diamanti», a sua volta parodia della fiaba perché i diamanti sono anche la causa scatenante della guerra civile. Le pagine più serene sono quelle che raccontano di un appartamento romano pieno di parenti e amici, dove si mescolano italiano, inglese, pidgin liberiano, kpelle e grebo dalla Liberia, krio dalla Sierra Leone. Un gruppo che va oltre i legami di sangue e costruisce una comunità di cura, accogliendo ad esempio una ragazza giamaicana che diventa la tata delle gemelle, e porta così nella casa anche il Jamaican English. La sorellanza è una parte importante di questa famiglia allargata, ed emerge con forza quando le due ragazze hanno le prime mestruazioni. Se Il corpo nero va quindi ben oltre le questioni legate al pregiudizio di colore, quest’ultimo è comunque presente con forza. Karima 2G gioca spesso sull’appropriazione caricaturale dello stereotipo razzista, nelle sue canzoni e videoclip ispirate al becerume politico italiano come Bunga bunga e Orangutan. All’opposto, la Anna Maria che si racconta in questo libro è sempre misurata e composta di fronte a certe brutture istituzionali, come la pattuglia che ferma proprio lei alla fermata del bus o alla poliziotta in questura che spruzza deodorante: «Ma lei riesce a dormire la notte? Si sente la coscienza a posto anche se pensa che queste persone siano animali?» Dopo anni di code per rinnovi di permessi, quando finalmente arriva la cittadinanza la reazione è di cattivo umore, ma solo in parte inaspettata: «non mi va di essere elegante, non è un’occasione speciale. Anzi lo è, ma non dovrebbe esserlo e per questo non mi va di arrivare là tutta in ghingheri come se dovessi ricevere un premio […] perché avere la cittadinanza non è un mio diritto come lo è per tutte le persone con cui sono andata a scuola, con cui lavoro o esco?»

Una sorellanza vissuta tra gli sguardi altrui: "Il corpo nero", romanzo di Anna Maria Gehnyei (Fandango)

Deandrea, Pietro
2023-01-01

Abstract

A sette anni Anna Maria sente tutto il peso del proprio corpo. Ogni mattina sale sullo scuolabus e sa «che appena sarò dentro riceverò quelle occhiate strane, che mi fanno venire voglia di tenere la testa bassa». Lei e la sorella gemella sono le uniche bambine nere della scuola elementare di Roma che frequentano, e il confronto con gli altri si ripropone costante: «le mie mani nere sono sfiorate dai capelli biondi della bambina seduta davanti a me. La sua coda di cavallo ondeggia regolare, mentre le treccine che noi portiamo sempre si muovono scomposte.» È questo l’incipit de Il corpo nero di Anna Maria Gehnyei (Fandango, pp. 174, € 16), che con lo pseudonimo ‘Karima 2G’ è già nota come artista di musica grime. ‘2G’ sta per ‘seconda generazione’, essendo Gehnyei nata da genitori liberiani trasferitisi a Roma alla fine degli anni ’70. In uno dei suoi pezzi, Karima 2G canta «Before you get recognized, you gotta be blackenized» («Per essere riconosciuta, devi prima essere annerita»), proprio come nel primo capitolo di questo libro, dove vive il ‘fardello della rappresentazione’ teorizzato da Shohat e Stam, cioè l’incarnare agli occhi degli altri un intero gruppo umano e perdere così la propria individualità. Allo stesso tempo la protagonista dimostra subito quel desiderio di impossessarsi dello sguardo di cui scriveva bell hooks: visto che gli altri bambini durante l’intervallo non le fanno giocare a nascondino con loro, Anna Maria e la sorella salgono sulla terrazza (proibita) della scuola, e il peso del proprio corpo sembra alleggerirsi: «Da lassù tutto è ancora più bello, vediamo gli altri bambini in lontananza e ci sembrano piccoli.» Autobiografia romanzata o romanzo autobiografico, Il corpo nero è costruito su episodi come questo, tappe emblematiche di un bildungsroman metropolitano in un’Italia sempre più multiculturale. Un libro da leggere in parallelo con un altro testo fondamentale di questi anni, L’unica persona nera nella stanza di Nadeesha Uyangoda (66thand2nd 2021): se Uyangoda utilizzava eventi autobiografici come spunto per riflessioni teoriche, Gehnyei si concentra sulla propria vicenda personale in modo diretto, senza alcun filtro – o almeno, questa può essere la prima impressione. In realtà, la cifra de Il corpo nero è ben più sofisticata di come sembra, a partire dal genere letterario. Gehnyei mescola autobiografismo e romanzo del mistero che ruota intorno alle origini della famiglia, legate ai traumi della spaventosa guerra civile liberiana: «Io sono taciturna, persa nelle domande che vorrei fare ai miei genitori. Stanno diventando così tante che non so più come fare a tenerle solo per me.» Sono molti i punti interrogativi («ho fame delle mie radici»), che si risolveranno solo nel primo viaggio in Liberia dei capitoli finali. C’è anche il ricorso al genere epistolare, con una lettera al padre tormentato (e ai suoi silenzi); e una lettera alla madre dal titolo «La principessa dei diamanti», a sua volta parodia della fiaba perché i diamanti sono anche la causa scatenante della guerra civile. Le pagine più serene sono quelle che raccontano di un appartamento romano pieno di parenti e amici, dove si mescolano italiano, inglese, pidgin liberiano, kpelle e grebo dalla Liberia, krio dalla Sierra Leone. Un gruppo che va oltre i legami di sangue e costruisce una comunità di cura, accogliendo ad esempio una ragazza giamaicana che diventa la tata delle gemelle, e porta così nella casa anche il Jamaican English. La sorellanza è una parte importante di questa famiglia allargata, ed emerge con forza quando le due ragazze hanno le prime mestruazioni. Se Il corpo nero va quindi ben oltre le questioni legate al pregiudizio di colore, quest’ultimo è comunque presente con forza. Karima 2G gioca spesso sull’appropriazione caricaturale dello stereotipo razzista, nelle sue canzoni e videoclip ispirate al becerume politico italiano come Bunga bunga e Orangutan. All’opposto, la Anna Maria che si racconta in questo libro è sempre misurata e composta di fronte a certe brutture istituzionali, come la pattuglia che ferma proprio lei alla fermata del bus o alla poliziotta in questura che spruzza deodorante: «Ma lei riesce a dormire la notte? Si sente la coscienza a posto anche se pensa che queste persone siano animali?» Dopo anni di code per rinnovi di permessi, quando finalmente arriva la cittadinanza la reazione è di cattivo umore, ma solo in parte inaspettata: «non mi va di essere elegante, non è un’occasione speciale. Anzi lo è, ma non dovrebbe esserlo e per questo non mi va di arrivare là tutta in ghingheri come se dovessi ricevere un premio […] perché avere la cittadinanza non è un mio diritto come lo è per tutte le persone con cui sono andata a scuola, con cui lavoro o esco?»
2023
LIII
140 (14/6/23)
13
13
https://ilmanifesto.it/una-sorellanza-vissuta-tra-gli-sguardi-altrui
letteratura italiana, postcoloniale, migrazioni, Liberia, seconde generazioni, grime, multiculturalismo
Deandrea, Pietro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1912410
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