In questo testo ho lavorato attorno ad alcune idee e parole chiave. Le riassumoqui brevemente. Le AI spesso confermano quanto sappiamo giàma ce lo dicono a modo loro, spesso attraverso quelli che per noi umani sono errori (si vedano gli esempi delle mani “disegnate” male, del volto di Mina riconosciuto dalla macchina solo quando stilizzato, delle mascherine mediche affiorate sulla pelle dei volti di Bots of New York). Le AI non apprendono alcun linguaggio dalla mole di dati su cui sono addestrate, ma riconoscono pattern che riescono a replicare, dandoci l’illusione di padroneggiare il linguaggio verbale naturale o “linguaggi locali” come stilipittorici e musicali. Le AI possiedono una agency, le loro azioni hanno effetti nel mondo reale, ma non un’intenzionalità paragonabile a quella umana (seguono solo una proceduralità), e spostano un po’ più in là il confine della delega insita in qualsiasi tecnologia che funga da giunzione tra progettazione ed esecuzione, poiché non ci consentono di entrare nel merito del loro operare (neppure gli informatici che le progettano sanno come lavorano esattamente). Chiamo lo iato tra progettazione ed esecuzione schizopoiesi, e suggerisco che è a questo fattore che vadanoattribuiti la paura e gli scrupoli etici (entrambi comprensibili, necessari i secondi) che accompagnano l’avanzare delle tecnologie dell’automazione.Dobbiamo poter immaginare che lo sguardo distante delle AI riesca a farci scorgere non solo – come detto – quanto già sappiamo, in modo nuovo, ma anche a farci intuire quanto non conosciamo ancora, anche di noi stessi. Dobbiamo poter immaginare una disciplina del senso che riesca a leggere testi che veicolano significato, raccontano storie al di là delle consuete forme linguistiche cui siamo abituati ad associarlo e associarle.
Oracol·AI·rità del volto
Gabriele Marino
2023-01-01
Abstract
In questo testo ho lavorato attorno ad alcune idee e parole chiave. Le riassumoqui brevemente. Le AI spesso confermano quanto sappiamo giàma ce lo dicono a modo loro, spesso attraverso quelli che per noi umani sono errori (si vedano gli esempi delle mani “disegnate” male, del volto di Mina riconosciuto dalla macchina solo quando stilizzato, delle mascherine mediche affiorate sulla pelle dei volti di Bots of New York). Le AI non apprendono alcun linguaggio dalla mole di dati su cui sono addestrate, ma riconoscono pattern che riescono a replicare, dandoci l’illusione di padroneggiare il linguaggio verbale naturale o “linguaggi locali” come stilipittorici e musicali. Le AI possiedono una agency, le loro azioni hanno effetti nel mondo reale, ma non un’intenzionalità paragonabile a quella umana (seguono solo una proceduralità), e spostano un po’ più in là il confine della delega insita in qualsiasi tecnologia che funga da giunzione tra progettazione ed esecuzione, poiché non ci consentono di entrare nel merito del loro operare (neppure gli informatici che le progettano sanno come lavorano esattamente). Chiamo lo iato tra progettazione ed esecuzione schizopoiesi, e suggerisco che è a questo fattore che vadanoattribuiti la paura e gli scrupoli etici (entrambi comprensibili, necessari i secondi) che accompagnano l’avanzare delle tecnologie dell’automazione.Dobbiamo poter immaginare che lo sguardo distante delle AI riesca a farci scorgere non solo – come detto – quanto già sappiamo, in modo nuovo, ma anche a farci intuire quanto non conosciamo ancora, anche di noi stessi. Dobbiamo poter immaginare una disciplina del senso che riesca a leggere testi che veicolano significato, raccontano storie al di là delle consuete forme linguistiche cui siamo abituati ad associarlo e associarle.File | Dimensione | Formato | |
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