Premessa- Squid Game è la serie più vista di sempre su Netflix. Almeno, a oggi. I record, si sa, sono fatti per essere infranti, ma fino a questo mo- mento i numeri del Gioco del Calamaro sono impressionanti: 1,6 miliardi di ore viste in tutto il mondo, ovvero tutte e nove le puntate della prima stagione, della durata totale di circa nove ore, viste da 180 milioni di persone. Non solo è stata la serie “divorata” in binge watching più velocemente, ma è quella che ha avuto un apprezzamento unanime in ogni fascia di pubblico e che si è aggiudicata un premio dopo l’altro: O Yeong-su, l’attore che interpreta il N. 001, Oh Il-Nam, ha vinto ai Golden Globe Awards del 2021 come migliore attore non protagonista in una serie televisiva e la serie ha ricevuto, a febbraio 2022, quattro nomination ai 28th Screen Actors Guild Awards inclusa quella per la Migliore performance d’insieme in una serie dramma- tica. A luglio 2022 Squid Game ottiene 14 nomination agli Emmy Awards, gli Oscar della televisione, compresa quella per la miglior serie drammatica, un riconoscimento mai ottenuto prima da una serie in lingua straniera. Se qualcuno avesse voluto scommettere, avrebbe forse puntato su di un prodotto a stelle e strisce, e invece no: a sbaragliare tutti, lassù in cima alla piramide degli ascolti planetari, c’è Squid Game, girato in Corea del Sud, recitato in coreano, produttivamente costato poco, con un cast non riconoscibile al di fuori dei confini del sudest asiatico e che per più di dieci anni nessuno ha voluto produrre. Sì, tra gli altri record c’è anche questo: “Ojingeo geim” 오징어 게임 (questo il suo nome originale1) è rimasto in un cassetto per 12 anni, perché quel particolare mix creato dall’autore, Hwang Dong-hyuk, fatto di distopia, Confucianesimo, denuncia delle disparità sociali, attacco al capitalismo mondiale, citazionismo pop, postmodernismo, rimandi continui alla cultura occidentale e impressionante controllo della macchina narrativa, ovvero tutto quello che rende unico Squid Game, era dav- vero troppo per chiunque lo leggesse. In realtà, nel 2008 serviva qual- cosa che ancora non c’era o almeno che era nato nello stesso momento in cui lo sceneggiatore della serie ha partorito la sua idea, ovvero il servizio streaming di Netflix. Nel 2008, infatti, la società americana che noleggiava videocassette tentò un azzardo: smaterializzare i film e distribuirli attraverso un servizio streaming. Dodici anni dopo, Netflix è diventata un colosso dell’intrattenimento con una produzione annua di decine di miliardi di dollari di contenuti: serie, film, documentari, cartoni animati, show. Così come recita un proverbio buddista, «Quando l’allievo è pronto il maestro compare»: Hwang Dong-hyuk ora aveva un interlocutore ca- pace di capire quanto potenziale avesse il suo progetto. Questo saggio si prefigge lo scopo di scoprire e analizzare i motivi del successo della serie, e per farlo non possiamo che partire dalle peculiarità del mondo sudcoreano. Sì, perché la Corea del Sud è di per sé un particolarissimo crogiolo di culture in cui coesistono, si uniscono e miscelano (per alimentarsi e confondersi) elementi diversi tra loro quali il Confucianesimo che tutto permea, il cristianesimo che innerva antiche credenze, il capitalismo estremo che domina, schiaccia e ossessiona, l’onnipresente competizione sociale che si identifica in una piramide sacrificale da scalare a qualunque costo per arrivare in cima e soprattutto il suo essere un luogo del mondo in cui la guerra, la divisione, il concetto di frontiera e la differenza tra il sé e l’altro (che sia tra nord e sud o tra il credere in un Dio o in un altro) sono interiorizzati e accettati come ineluttabili fardelli della storia e della società in cui si vive. Per capire questo mondo così particolare, che negli ultimi anni ha fatto sempre più parlare di sé per il successo in tutti i campi, dalla musica, al cinema, alla tv, all’economia, c’era bisogno di un esperto. Ci guiderà, quindi, nella prima parte del saggio, Giuseppina De Nicola, Ph.D. presso la Seoul National University in antropologia culturale e coreanista, attualmente docente ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma. Sarà lei a darci i parametri interpretativi di concetti fondanti come il Confucianesimo e la Hallyu, la cosiddetta “Onda culturale coreana”, che ha portato all’esplosione dei K-drama, le sempre più popolari serie sudcoreane. Nella seconda parte, invece, dopo aver cercato quali siano le sue fonti primigenie (letterarie e cinematografiche), smonteremo la serie pezzo per pezzo in un’opera di reverse engineering che mira a trovare gli archetipi e le strutture narrative che stanno alla base del suo successo. Procederemo con le sinossi delle nove puntate e con la scalettatura, scena per scena, delle puntate 1 e 9 (la prima e l’ultima), analizzando i due episodi in dettaglio per cercare di capire i modelli drammaturgici al lavoro; passeremo alla destrutturazione delle linee narrative della prima stagione alla ricerca delle radici seriali, cinematografiche e narrative e, infine, approfondiremo i personaggi e cercheremo di capire le regole narratologiche che sono state usate per crearli. Per noi è stato un viaggio interessante e appassionante che ci ha portati a confrontarci con un universo solo apparentemente lontano dal nostro. Ne è valsa la pena. Siamo convinti di aver capito perché Squid Game abbia avuto un successo così pervasivo, immediato e stupefacente: il suo segreto è... che la serie è scritta benissimo. Sembra banale, ma vedrete che non è così: la sceneggiatura del Gioco del Calamaro è un precisissimo meccanismo a orologeria che, come un’immensa ragnatela il cui centro si trova in Corea del Sud, unisce in uno straordinario disegno concentrico buona parte dell’impalcatura della cultura mondiale.

Hallyu, K-Drama, cultura e società

De Nicola, Giuseppina
2022-01-01

Abstract

Premessa- Squid Game è la serie più vista di sempre su Netflix. Almeno, a oggi. I record, si sa, sono fatti per essere infranti, ma fino a questo mo- mento i numeri del Gioco del Calamaro sono impressionanti: 1,6 miliardi di ore viste in tutto il mondo, ovvero tutte e nove le puntate della prima stagione, della durata totale di circa nove ore, viste da 180 milioni di persone. Non solo è stata la serie “divorata” in binge watching più velocemente, ma è quella che ha avuto un apprezzamento unanime in ogni fascia di pubblico e che si è aggiudicata un premio dopo l’altro: O Yeong-su, l’attore che interpreta il N. 001, Oh Il-Nam, ha vinto ai Golden Globe Awards del 2021 come migliore attore non protagonista in una serie televisiva e la serie ha ricevuto, a febbraio 2022, quattro nomination ai 28th Screen Actors Guild Awards inclusa quella per la Migliore performance d’insieme in una serie dramma- tica. A luglio 2022 Squid Game ottiene 14 nomination agli Emmy Awards, gli Oscar della televisione, compresa quella per la miglior serie drammatica, un riconoscimento mai ottenuto prima da una serie in lingua straniera. Se qualcuno avesse voluto scommettere, avrebbe forse puntato su di un prodotto a stelle e strisce, e invece no: a sbaragliare tutti, lassù in cima alla piramide degli ascolti planetari, c’è Squid Game, girato in Corea del Sud, recitato in coreano, produttivamente costato poco, con un cast non riconoscibile al di fuori dei confini del sudest asiatico e che per più di dieci anni nessuno ha voluto produrre. Sì, tra gli altri record c’è anche questo: “Ojingeo geim” 오징어 게임 (questo il suo nome originale1) è rimasto in un cassetto per 12 anni, perché quel particolare mix creato dall’autore, Hwang Dong-hyuk, fatto di distopia, Confucianesimo, denuncia delle disparità sociali, attacco al capitalismo mondiale, citazionismo pop, postmodernismo, rimandi continui alla cultura occidentale e impressionante controllo della macchina narrativa, ovvero tutto quello che rende unico Squid Game, era dav- vero troppo per chiunque lo leggesse. In realtà, nel 2008 serviva qual- cosa che ancora non c’era o almeno che era nato nello stesso momento in cui lo sceneggiatore della serie ha partorito la sua idea, ovvero il servizio streaming di Netflix. Nel 2008, infatti, la società americana che noleggiava videocassette tentò un azzardo: smaterializzare i film e distribuirli attraverso un servizio streaming. Dodici anni dopo, Netflix è diventata un colosso dell’intrattenimento con una produzione annua di decine di miliardi di dollari di contenuti: serie, film, documentari, cartoni animati, show. Così come recita un proverbio buddista, «Quando l’allievo è pronto il maestro compare»: Hwang Dong-hyuk ora aveva un interlocutore ca- pace di capire quanto potenziale avesse il suo progetto. Questo saggio si prefigge lo scopo di scoprire e analizzare i motivi del successo della serie, e per farlo non possiamo che partire dalle peculiarità del mondo sudcoreano. Sì, perché la Corea del Sud è di per sé un particolarissimo crogiolo di culture in cui coesistono, si uniscono e miscelano (per alimentarsi e confondersi) elementi diversi tra loro quali il Confucianesimo che tutto permea, il cristianesimo che innerva antiche credenze, il capitalismo estremo che domina, schiaccia e ossessiona, l’onnipresente competizione sociale che si identifica in una piramide sacrificale da scalare a qualunque costo per arrivare in cima e soprattutto il suo essere un luogo del mondo in cui la guerra, la divisione, il concetto di frontiera e la differenza tra il sé e l’altro (che sia tra nord e sud o tra il credere in un Dio o in un altro) sono interiorizzati e accettati come ineluttabili fardelli della storia e della società in cui si vive. Per capire questo mondo così particolare, che negli ultimi anni ha fatto sempre più parlare di sé per il successo in tutti i campi, dalla musica, al cinema, alla tv, all’economia, c’era bisogno di un esperto. Ci guiderà, quindi, nella prima parte del saggio, Giuseppina De Nicola, Ph.D. presso la Seoul National University in antropologia culturale e coreanista, attualmente docente ricercatrice presso l’Università La Sapienza di Roma. Sarà lei a darci i parametri interpretativi di concetti fondanti come il Confucianesimo e la Hallyu, la cosiddetta “Onda culturale coreana”, che ha portato all’esplosione dei K-drama, le sempre più popolari serie sudcoreane. Nella seconda parte, invece, dopo aver cercato quali siano le sue fonti primigenie (letterarie e cinematografiche), smonteremo la serie pezzo per pezzo in un’opera di reverse engineering che mira a trovare gli archetipi e le strutture narrative che stanno alla base del suo successo. Procederemo con le sinossi delle nove puntate e con la scalettatura, scena per scena, delle puntate 1 e 9 (la prima e l’ultima), analizzando i due episodi in dettaglio per cercare di capire i modelli drammaturgici al lavoro; passeremo alla destrutturazione delle linee narrative della prima stagione alla ricerca delle radici seriali, cinematografiche e narrative e, infine, approfondiremo i personaggi e cercheremo di capire le regole narratologiche che sono state usate per crearli. Per noi è stato un viaggio interessante e appassionante che ci ha portati a confrontarci con un universo solo apparentemente lontano dal nostro. Ne è valsa la pena. Siamo convinti di aver capito perché Squid Game abbia avuto un successo così pervasivo, immediato e stupefacente: il suo segreto è... che la serie è scritta benissimo. Sembra banale, ma vedrete che non è così: la sceneggiatura del Gioco del Calamaro è un precisissimo meccanismo a orologeria che, come un’immensa ragnatela il cui centro si trova in Corea del Sud, unisce in uno straordinario disegno concentrico buona parte dell’impalcatura della cultura mondiale.
2022
Squid game. Analisi della struttura drammaturgica della serie (1. stagione)
Dino Audino Editore srl
13
32
9788875275389
squid game; drama coreane; serialità; hallyu; cultura coreana; drammaturgia
De Nicola, Giuseppina
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1935365
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