Accusato di mistificazione storica, stereotipizzazione razziale e “torture porn”, Detroit rappresenta un evento filmico estremamente conturbante e divisivo, distribuito a cinquant’anni dalle rivolte di Detroit e sull’onda del movimento Black Lives Matter. Contro una lettura critica di stampo impressionista rivolta spesso nei confronti del film, l’analisi si sofferma sul gioco delle parti e del mascheramento scandito nel corso dell’arco narrativo, rivelando la complessa rete di relazioni di potere differenziate per genere, classe ed etnia orchestrata dalla messa in scena. Se un film non è mero oggetto d’analisi bensì forma interpretante, ecco che la vicenda filmica diretta da Bigelow e sceneggiata da Mark Boal è in grado di illuminare un discorso di ordine superiore e semanticamente stratificato sul razzismo negli Stati Uniti. Partendo da queste premesse, l’analisi prende piede dalle teorie del dispositivo maturate da Michel Foucault e il pensiero continentale, e dalle pratiche di intervento sociale proposte nel Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal. Da un lato, i tre atti del film rivelano una tripartizione drammaturgica incentrata rispettivamente verso gli assetti tattico-spaziali, le tecnologie e le sovrastrutture alla base del dispositivo razziale americano. Dall’altro, l’affinità fra le pratiche di Teatro Forum e Teatro Invisibile e le strategie di messa in scena della sequenza ambientata all’Algiers Motel, affrontano l’ambiguità dei dispositivi contemporanei, insieme strumenti di liberazione e oppressione, stimolando così la coscienza politica e le emozioni spettatoriali.
Detroit
G Gatti
2023-01-01
Abstract
Accusato di mistificazione storica, stereotipizzazione razziale e “torture porn”, Detroit rappresenta un evento filmico estremamente conturbante e divisivo, distribuito a cinquant’anni dalle rivolte di Detroit e sull’onda del movimento Black Lives Matter. Contro una lettura critica di stampo impressionista rivolta spesso nei confronti del film, l’analisi si sofferma sul gioco delle parti e del mascheramento scandito nel corso dell’arco narrativo, rivelando la complessa rete di relazioni di potere differenziate per genere, classe ed etnia orchestrata dalla messa in scena. Se un film non è mero oggetto d’analisi bensì forma interpretante, ecco che la vicenda filmica diretta da Bigelow e sceneggiata da Mark Boal è in grado di illuminare un discorso di ordine superiore e semanticamente stratificato sul razzismo negli Stati Uniti. Partendo da queste premesse, l’analisi prende piede dalle teorie del dispositivo maturate da Michel Foucault e il pensiero continentale, e dalle pratiche di intervento sociale proposte nel Teatro dell’Oppresso di Augusto Boal. Da un lato, i tre atti del film rivelano una tripartizione drammaturgica incentrata rispettivamente verso gli assetti tattico-spaziali, le tecnologie e le sovrastrutture alla base del dispositivo razziale americano. Dall’altro, l’affinità fra le pratiche di Teatro Forum e Teatro Invisibile e le strategie di messa in scena della sequenza ambientata all’Algiers Motel, affrontano l’ambiguità dei dispositivi contemporanei, insieme strumenti di liberazione e oppressione, stimolando così la coscienza politica e le emozioni spettatoriali.File | Dimensione | Formato | |
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