L'articolo indaga il rapporto tra autorità centrale e poteri locali di raggio cittadino tra Sette e Ottocento; lo studio, in particolare, intende approfondire l’analisi di tale rapporto all’interno del Regno di Sardegna e del Granducato di Toscana. In quel tornante di tardo Antico regime, entrambi gli Stati, infatti, furono impegnati nella elaborazione e nell’applicazione di progetti di riforma finalizzati alla ridefinizione del funzionamento degli enti locali nella loro dimensione locale e, conseguentemente, nei loro rapporti con l’autorità centrale, con lo Stato. Il “Regolamento de’ Pubblici” degli Stati sabaudi è del 1775 mentre la più radicale “Riforma comunitativa” elaborata dagli uomini del granduca toscano Pietro Leopoldo già dalla metà del secolo XVIII trovò applicazione tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta del XVII secolo. Queste riforme centrate sulle comunità locali nascevano da esigenze diverse e per certi versi opposte; prestando, dunque, attenzione sia all’elaborazione teorica sia alla definizione pratica di nuovi equilibri istituzionali, lo studio che qui si propone bene si presta all’applicazione di una metodologia di indagine basata sul confronto e sull’uso parallelo di ‘top down’ e ‘bottom up’. Perché si pensò di riformare le comunità locali? Quale contributo dettero le comunità locali all’elaborazione delle riforme nei due ‘Stati’? E, in relazione a questo aspetto, ci fu un processo di adattamento di una delle due parti (governo centrale, comunità locali) nella definizione dei nuovi ‘regimi cittadini’? Come funzionavano i ‘nuovi’ meccanismi di selezione dei governanti locali? Quale tipo di rapporto si instaurò tra l’autorità centrale e le comunità locali? Queste alcune delle domande a cui l'articolo intende rispondere gettando lo sguardo, soprattutto in relazione a quest’ultima domanda centrata sugli effetti della riforma nei due quadranti territoriali (sardo-piemontese e toscano), anche al vicino Ottocento quando il tema della riforma degli enti locali tornò di stringente attualità e quando i sovrani restaurati sui rispettivi troni risposero con disposizioni molto diverse tra loro ma in qualche maniera legate alle rispettive origini tardo settecentesche.
Una nuova Costituzione territoriale? Città e Governi centrali in Piemonte e in Toscana nella crisi dell’antico regime
chiavistelli Antonio
In corso di stampa
Abstract
L'articolo indaga il rapporto tra autorità centrale e poteri locali di raggio cittadino tra Sette e Ottocento; lo studio, in particolare, intende approfondire l’analisi di tale rapporto all’interno del Regno di Sardegna e del Granducato di Toscana. In quel tornante di tardo Antico regime, entrambi gli Stati, infatti, furono impegnati nella elaborazione e nell’applicazione di progetti di riforma finalizzati alla ridefinizione del funzionamento degli enti locali nella loro dimensione locale e, conseguentemente, nei loro rapporti con l’autorità centrale, con lo Stato. Il “Regolamento de’ Pubblici” degli Stati sabaudi è del 1775 mentre la più radicale “Riforma comunitativa” elaborata dagli uomini del granduca toscano Pietro Leopoldo già dalla metà del secolo XVIII trovò applicazione tra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta del XVII secolo. Queste riforme centrate sulle comunità locali nascevano da esigenze diverse e per certi versi opposte; prestando, dunque, attenzione sia all’elaborazione teorica sia alla definizione pratica di nuovi equilibri istituzionali, lo studio che qui si propone bene si presta all’applicazione di una metodologia di indagine basata sul confronto e sull’uso parallelo di ‘top down’ e ‘bottom up’. Perché si pensò di riformare le comunità locali? Quale contributo dettero le comunità locali all’elaborazione delle riforme nei due ‘Stati’? E, in relazione a questo aspetto, ci fu un processo di adattamento di una delle due parti (governo centrale, comunità locali) nella definizione dei nuovi ‘regimi cittadini’? Come funzionavano i ‘nuovi’ meccanismi di selezione dei governanti locali? Quale tipo di rapporto si instaurò tra l’autorità centrale e le comunità locali? Queste alcune delle domande a cui l'articolo intende rispondere gettando lo sguardo, soprattutto in relazione a quest’ultima domanda centrata sugli effetti della riforma nei due quadranti territoriali (sardo-piemontese e toscano), anche al vicino Ottocento quando il tema della riforma degli enti locali tornò di stringente attualità e quando i sovrani restaurati sui rispettivi troni risposero con disposizioni molto diverse tra loro ma in qualche maniera legate alle rispettive origini tardo settecentesche.File | Dimensione | Formato | |
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