«Lascia perde… ma poi so’ tutti fissati… Cittadinanza di qua, cittadinanza di là, manco fosse tutta ’sta meraviglia…». Snodo del dibattito sull’immigrazione, la cittadinanza acquista rilievo anche nella letteratura del cosiddetto ‘postcoloniale italiano’, come il saggio di Nadeesha Uyangoda L’unica persona nera nella stanza (66thand2nd 2021) e il romanzo autobiografico di Anna Maria Gehnyei Il corpo nero (Fandango 2023). In quelle due opere era ovviamente un traguardo ambìto, ma allo stesso tempo carico di frustrazioni, perché dovrebbe essere un diritto e non un premio. La signora Meraviglia di Saba Anglana (Sellerio, pp. 297, euro 17) mette la cittadinanza al proprio centro e nel proprio titolo alla luce della frase citata sopra, pronunciata dall’impiegata di un patronato di Ostia. Lanciatasi nell’impresa di far ottenere la cittadinanza a sua zia Dighei, ormai da quarant’anni in Italia, la protagonista le risponde: «Meraviglia? Senta, non è che la cittadinanza è una signora da corteggiare. Noi vorremmo semplicemente far valere i nostri diritti». Il libro di Anglana, però, non narra solo i meandri kakfiani e tragicomici della burocrazia dell’immigrazione: la meravigliosa cittadinanza è il punto d’arrivo di un’opera stratificata e ricca di risonanze. Romanzo autobiografico e insieme storia famigliare, il libro è costruito su una doppia narrazione a capitoli alterni che racconta l’Italia di oggi parallelamente alla vicenda iniziata da nonna Abebech – ragazzina etiope rapita, abusata e infine (dopo due gravidanze) abbandonata da un ascaro somalo. Trasferitasi a Mogadiscio, mette su famiglia con un ex ribelle che era stato internato nei campi di concentramento italiani, etiope come lei. Abebech e Worku avranno altri otto figli, inclusa la madre della protagonista. Le pagine che raccontano la Mogadiscio del dopoguerra, con i suoi vicoli a pettine verso il mare, sono intrise di un lirismo in cui l’esperienza di Anglana (musicista e attrice) traduce l’inafferrabile in forma di parola-suono multilingue, a partire dalla X aspirata del somalo: “Xamar era il nome di Mogadiscio per i somali, si pronunciava con lo stesso suono di Xanfar [vento], era un altro nome con l’aria dentro. Sono nate dallo stesso respiro, pensò la donna quando arrivò in faccia all’oceano». E la presenza del mare diventa un’attrazione costante, fonte di bellezza e pericoli: «E il sole di Xamar nel tardo pomeriggio era una calamita accesa d’arancio. A quell’ora del tramonto, quando si alza la marea come una lacrima che l’occhio del porto non sa trattenere, le gambe non possono che portarti verso il mare». Nella capitale somala, la comunità etiope vive le emarginazioni e le forme di solidarietà riservate alla minoranza di stranieri. La Mogadiscio amministrata dagli italiani è una realtà complessa, lontana dalla solita dicotomia colonizzatore-colonizzato. La signora Meraviglia problematizza questo contesto dell’Africa ‘italiana’ in maniera simile a un’altra importante opera uscita di recente, il romanzo tigrino L’ascaro di Ghebreyesus Hailu (1927; Tamu 2024). Tra una miriade di gioie e pericoli, e tra sgridate a furia di «uirrr!» («tutte quelle erre anticipavano il suono di una bruciante scudisciata sulle gambe»), Abebech cresce la famiglia a Mogadiscio fino a quando l’avvento di Siad Barre spinge gli ‘stranieri’ alla fuga, e la protagonista-bambina finisce nel paese del padre italiano. E qui, nei capitoli ambientati in epoca odierna, non è facile per lei, ormai adulta, spiegare ai vari funzionari la complessità delle origini della zia – etiope, ma senza aver mai vissuto in Etiopia; proveniente dalla Somalia, ma senza averne mai ottenuto la cittadinanza: «se l’Africa è per tutti una giungla fitta, qui la burocrazia selvaggia è pronta a inghiottirti viva se sei ‘niente’ e ti perdi anche solo una carta». A fronte di questa montagna da scalare, sognata come un mostro ricoperto di griffe e con «l’addome scolpito su cui è inciso L’ITALIA CHE AVANZA», per fortuna c’è il sostegno di un avvocato dotato di una bella dose di contagiosa ironia. Leggendo La signora Meraviglia, ci si rende progressivamente conto che le due narrazioni che strutturano il romanzo sono ben più connesse di due trame parallele ed affini. La protagonista continua a sentire la presenza delle radici, sempre più intensamente. La storia di nonna Abebech contiene un trauma profondo che ha percorso tutta la famiglia fino a lei, «come una memoria trasmessa nelle cellule» che si può affrontare solo tornando al suo inizio, grazie alle voci di madre, zie e zii: «occorre occuparsi delle radici per potersene liberare». E, come sul manto stradale attorno alla pineta di Ostia, queste radici riaffioreranno in maniere sconvolgenti, anche per lettrici e lettori.

Contraddizioni e radici da reinventare e interrogare

Deandrea, Pietro
2024-01-01

Abstract

«Lascia perde… ma poi so’ tutti fissati… Cittadinanza di qua, cittadinanza di là, manco fosse tutta ’sta meraviglia…». Snodo del dibattito sull’immigrazione, la cittadinanza acquista rilievo anche nella letteratura del cosiddetto ‘postcoloniale italiano’, come il saggio di Nadeesha Uyangoda L’unica persona nera nella stanza (66thand2nd 2021) e il romanzo autobiografico di Anna Maria Gehnyei Il corpo nero (Fandango 2023). In quelle due opere era ovviamente un traguardo ambìto, ma allo stesso tempo carico di frustrazioni, perché dovrebbe essere un diritto e non un premio. La signora Meraviglia di Saba Anglana (Sellerio, pp. 297, euro 17) mette la cittadinanza al proprio centro e nel proprio titolo alla luce della frase citata sopra, pronunciata dall’impiegata di un patronato di Ostia. Lanciatasi nell’impresa di far ottenere la cittadinanza a sua zia Dighei, ormai da quarant’anni in Italia, la protagonista le risponde: «Meraviglia? Senta, non è che la cittadinanza è una signora da corteggiare. Noi vorremmo semplicemente far valere i nostri diritti». Il libro di Anglana, però, non narra solo i meandri kakfiani e tragicomici della burocrazia dell’immigrazione: la meravigliosa cittadinanza è il punto d’arrivo di un’opera stratificata e ricca di risonanze. Romanzo autobiografico e insieme storia famigliare, il libro è costruito su una doppia narrazione a capitoli alterni che racconta l’Italia di oggi parallelamente alla vicenda iniziata da nonna Abebech – ragazzina etiope rapita, abusata e infine (dopo due gravidanze) abbandonata da un ascaro somalo. Trasferitasi a Mogadiscio, mette su famiglia con un ex ribelle che era stato internato nei campi di concentramento italiani, etiope come lei. Abebech e Worku avranno altri otto figli, inclusa la madre della protagonista. Le pagine che raccontano la Mogadiscio del dopoguerra, con i suoi vicoli a pettine verso il mare, sono intrise di un lirismo in cui l’esperienza di Anglana (musicista e attrice) traduce l’inafferrabile in forma di parola-suono multilingue, a partire dalla X aspirata del somalo: “Xamar era il nome di Mogadiscio per i somali, si pronunciava con lo stesso suono di Xanfar [vento], era un altro nome con l’aria dentro. Sono nate dallo stesso respiro, pensò la donna quando arrivò in faccia all’oceano». E la presenza del mare diventa un’attrazione costante, fonte di bellezza e pericoli: «E il sole di Xamar nel tardo pomeriggio era una calamita accesa d’arancio. A quell’ora del tramonto, quando si alza la marea come una lacrima che l’occhio del porto non sa trattenere, le gambe non possono che portarti verso il mare». Nella capitale somala, la comunità etiope vive le emarginazioni e le forme di solidarietà riservate alla minoranza di stranieri. La Mogadiscio amministrata dagli italiani è una realtà complessa, lontana dalla solita dicotomia colonizzatore-colonizzato. La signora Meraviglia problematizza questo contesto dell’Africa ‘italiana’ in maniera simile a un’altra importante opera uscita di recente, il romanzo tigrino L’ascaro di Ghebreyesus Hailu (1927; Tamu 2024). Tra una miriade di gioie e pericoli, e tra sgridate a furia di «uirrr!» («tutte quelle erre anticipavano il suono di una bruciante scudisciata sulle gambe»), Abebech cresce la famiglia a Mogadiscio fino a quando l’avvento di Siad Barre spinge gli ‘stranieri’ alla fuga, e la protagonista-bambina finisce nel paese del padre italiano. E qui, nei capitoli ambientati in epoca odierna, non è facile per lei, ormai adulta, spiegare ai vari funzionari la complessità delle origini della zia – etiope, ma senza aver mai vissuto in Etiopia; proveniente dalla Somalia, ma senza averne mai ottenuto la cittadinanza: «se l’Africa è per tutti una giungla fitta, qui la burocrazia selvaggia è pronta a inghiottirti viva se sei ‘niente’ e ti perdi anche solo una carta». A fronte di questa montagna da scalare, sognata come un mostro ricoperto di griffe e con «l’addome scolpito su cui è inciso L’ITALIA CHE AVANZA», per fortuna c’è il sostegno di un avvocato dotato di una bella dose di contagiosa ironia. Leggendo La signora Meraviglia, ci si rende progressivamente conto che le due narrazioni che strutturano il romanzo sono ben più connesse di due trame parallele ed affini. La protagonista continua a sentire la presenza delle radici, sempre più intensamente. La storia di nonna Abebech contiene un trauma profondo che ha percorso tutta la famiglia fino a lei, «come una memoria trasmessa nelle cellule» che si può affrontare solo tornando al suo inizio, grazie alle voci di madre, zie e zii: «occorre occuparsi delle radici per potersene liberare». E, come sul manto stradale attorno alla pineta di Ostia, queste radici riaffioreranno in maniere sconvolgenti, anche per lettrici e lettori.
2024
LIV
136
13
13
https://ilmanifesto.it/
Anglana, postcoloniale italiano, narrativa, Etiopia, Somalia, letteratura italiana
Deandrea, Pietro
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1983870
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