Con il libro Teatro dell’Oppresso ed altre poetiche politiche (1976), Augusto Boal ottenne una meteorica fama internazionale per le sue tecniche di teatro popolare che avevano contribuito a causare la sua persecuzione ed esilio, da parte del regime militare brasiliano nel 1971. Nei decenni successivi, sebbene un po’ cristallizzato a quel momento storico come oggetto di studio, Boal ha sviluppato la sua pratica e riflessione pedagogica, come artista/autore di libri tradotti in molte lingue, in dialogo con contesti politico-filosofici del momento, prima in Francia dove risiedeva negli anni 80 e poi in Brasile, dove fece ritorno nel 1989. Tutto il suo percorso valorizza, più che l’opera, i processi percettivi e cognitivi provocati dalla sua esecuzione, incorporando il pubblico come agente dell’emancipazione collettiva che ne deriva. Una volta abolita la separazione spaziale tra platea e palco, Boal annulla l'asimmetria creativa ed epistemica insita nella funzione-spettatore – quella che destina una parte dei partecipanti alla passività ed al mero consumo dell’opera. Nelle proposte di Boal, l’opera diventa un gioco-esercizio di cui gli attori (e l’autore) scrivono le istruzioni, aggiornandole continuamente alle condizioni date nelle comunità che vorranno utilizzare tale metodo di lotta politica. In tal modo gli spettatori sono soggettivati come spett-attori, sia della rappresentazione e sia della lotta rappresentata, già che essi entrano in scena per provare a risolverla (teatro-forum), propongono le loro soluzioni per il buongoverno della comunità (teatro legislativo) e creano situazioni di “interruzione” performativa nello spazio pubblico, in modo da socializzare la discussione su questioni di comune interesse (teatro invisibile e teatro-giornale). La finzione è il dispositivo ove si realizza la prova generale del cambiamento possibile; il cittadino, non necessariamente un artista professionista, attraverso l’arte diventa un agente potenziale del cambiamento reale non solo proprio, ma della comunità di cui fa parte. L’arte “crea” questa comunità isonomica ed attivista. Oggi, il Teatro degli Oppressi è un vasto arsenale di tecniche applicate da milioni di persone nei cinque continenti come strumento di lotta, analisi e trasformazione degli scenari sociali. Al tempo stesso, oggi è acclarato il valore “relazionale” di proposte artistiche che esulano dagli spazi consolidati (teatri, gallerie, musei) ed accolgono/alimentano nuove forme di soggettività e di comunità (come allestimenti site specific, happening, flash-mobs etc). Essendo io stessa regista e drammaturga, da trent’anni impegnata in giro per il mondo in progetti artistici che sono anche laboratori di emancipazione ed impegno civile, con tecniche che invento a partire dalle idee di Boal, in questa relazione vorrei mettere a confronto le proposte attiviste sopra descritte con quelle contemporanee.
Teatro degli oppressi e arte relazionale. L’attivismo teatrale di Augusto Boal in Brasile a confronto con nuove metodologie attiviste
Alessandra Vannucci
First
2024-01-01
Abstract
Con il libro Teatro dell’Oppresso ed altre poetiche politiche (1976), Augusto Boal ottenne una meteorica fama internazionale per le sue tecniche di teatro popolare che avevano contribuito a causare la sua persecuzione ed esilio, da parte del regime militare brasiliano nel 1971. Nei decenni successivi, sebbene un po’ cristallizzato a quel momento storico come oggetto di studio, Boal ha sviluppato la sua pratica e riflessione pedagogica, come artista/autore di libri tradotti in molte lingue, in dialogo con contesti politico-filosofici del momento, prima in Francia dove risiedeva negli anni 80 e poi in Brasile, dove fece ritorno nel 1989. Tutto il suo percorso valorizza, più che l’opera, i processi percettivi e cognitivi provocati dalla sua esecuzione, incorporando il pubblico come agente dell’emancipazione collettiva che ne deriva. Una volta abolita la separazione spaziale tra platea e palco, Boal annulla l'asimmetria creativa ed epistemica insita nella funzione-spettatore – quella che destina una parte dei partecipanti alla passività ed al mero consumo dell’opera. Nelle proposte di Boal, l’opera diventa un gioco-esercizio di cui gli attori (e l’autore) scrivono le istruzioni, aggiornandole continuamente alle condizioni date nelle comunità che vorranno utilizzare tale metodo di lotta politica. In tal modo gli spettatori sono soggettivati come spett-attori, sia della rappresentazione e sia della lotta rappresentata, già che essi entrano in scena per provare a risolverla (teatro-forum), propongono le loro soluzioni per il buongoverno della comunità (teatro legislativo) e creano situazioni di “interruzione” performativa nello spazio pubblico, in modo da socializzare la discussione su questioni di comune interesse (teatro invisibile e teatro-giornale). La finzione è il dispositivo ove si realizza la prova generale del cambiamento possibile; il cittadino, non necessariamente un artista professionista, attraverso l’arte diventa un agente potenziale del cambiamento reale non solo proprio, ma della comunità di cui fa parte. L’arte “crea” questa comunità isonomica ed attivista. Oggi, il Teatro degli Oppressi è un vasto arsenale di tecniche applicate da milioni di persone nei cinque continenti come strumento di lotta, analisi e trasformazione degli scenari sociali. Al tempo stesso, oggi è acclarato il valore “relazionale” di proposte artistiche che esulano dagli spazi consolidati (teatri, gallerie, musei) ed accolgono/alimentano nuove forme di soggettività e di comunità (come allestimenti site specific, happening, flash-mobs etc). Essendo io stessa regista e drammaturga, da trent’anni impegnata in giro per il mondo in progetti artistici che sono anche laboratori di emancipazione ed impegno civile, con tecniche che invento a partire dalle idee di Boal, in questa relazione vorrei mettere a confronto le proposte attiviste sopra descritte con quelle contemporanee.File | Dimensione | Formato | |
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