Tre anni dopo "La ladra di parole" (ed. orig. 2020, trad. dall’inglese di Elisa Banfi, Nord, 2021), Abi Daré ritorna sulla scena letteraria italiana con il seguito della storia di Adunni, la quattordicenne semianalfabeta di Ikati convinta che “solo attraverso l’istruzione” si può cambiare la posizione delle donne all’interno della società nigeriana caratterizzata da una cultura profondamente rurale e patriarcale. Ancora una volta, l’intraprendente Adunni sorprende per la sua perspicacia e, nonostante la lettura pregressa di "La ladra di parole" sia auspicabile, la narrazione di "Un grido di luce" è comunque scorrevole, grazie ai puntuali ed esplicativi rimandi al precedente romanzo, e avvincente, grazie al sotterfugio del conto alla rovescia adottato dall’autrice per narrare gli eventi che, se non cambiati, potrebbero ostacolare l’ambizioso progetto di Adunni. La protagonista vuole andare a scuola per diventare insegnante poiché “il valore di una donna non si misura in base ai figli che ha”. Il risveglio delle coscienze può essere innescato solo con la trasmissione del sapere, e la conseguente consapevolezza individuale può portare al cambiamento sociale e culturale perché, come sostiene Adunni, “Dio ci ha dato il cervello, la mente e l’anima per fare cose grandi che cambiano il mondo”. Le due voci narranti Tia e Adunni hanno solo “diciotto ore a mezzanotte” per impedire il rito sacrificale di Adunni e di altre cinque coetanee. Ma le poche ore a disposizione servono anche per portare alla luce verità celate per decenni e l’impellente rapidità d’azione fa emergere il carattere combattivo di Adunni e quello attivista di Tia. L’affannosa corsa contro il tempo, se da un lato incolla chi legge al romanzo, dall’altro diventa lo strumento utilizzato per denunciare questioni e pratiche coloniali radicate nella società nigeriana: spose bambine, infibulazione, riti sacrificali, forme di schiavitù, oltre allo sconsiderato sfruttamento delle risorse naturali: “quando vai nella foresta” osserva Adunni “vedi alberi col corpo grande e una ferita profonda nella schiena […] immagino l’albero che piange e supplica i taglia legna di non ucciderlo [...] noi veniamo dalla terra, mangiamo dalla terra e un giorno torniamo nella terra, allora perché la trattiamo così male?”. Il finale aperto del romanzo fa sperare in un probabile ritorno del personaggio in libreria.
Il risveglio delle ragazze nigeriane
Maria Festa
2025-01-01
Abstract
Tre anni dopo "La ladra di parole" (ed. orig. 2020, trad. dall’inglese di Elisa Banfi, Nord, 2021), Abi Daré ritorna sulla scena letteraria italiana con il seguito della storia di Adunni, la quattordicenne semianalfabeta di Ikati convinta che “solo attraverso l’istruzione” si può cambiare la posizione delle donne all’interno della società nigeriana caratterizzata da una cultura profondamente rurale e patriarcale. Ancora una volta, l’intraprendente Adunni sorprende per la sua perspicacia e, nonostante la lettura pregressa di "La ladra di parole" sia auspicabile, la narrazione di "Un grido di luce" è comunque scorrevole, grazie ai puntuali ed esplicativi rimandi al precedente romanzo, e avvincente, grazie al sotterfugio del conto alla rovescia adottato dall’autrice per narrare gli eventi che, se non cambiati, potrebbero ostacolare l’ambizioso progetto di Adunni. La protagonista vuole andare a scuola per diventare insegnante poiché “il valore di una donna non si misura in base ai figli che ha”. Il risveglio delle coscienze può essere innescato solo con la trasmissione del sapere, e la conseguente consapevolezza individuale può portare al cambiamento sociale e culturale perché, come sostiene Adunni, “Dio ci ha dato il cervello, la mente e l’anima per fare cose grandi che cambiano il mondo”. Le due voci narranti Tia e Adunni hanno solo “diciotto ore a mezzanotte” per impedire il rito sacrificale di Adunni e di altre cinque coetanee. Ma le poche ore a disposizione servono anche per portare alla luce verità celate per decenni e l’impellente rapidità d’azione fa emergere il carattere combattivo di Adunni e quello attivista di Tia. L’affannosa corsa contro il tempo, se da un lato incolla chi legge al romanzo, dall’altro diventa lo strumento utilizzato per denunciare questioni e pratiche coloniali radicate nella società nigeriana: spose bambine, infibulazione, riti sacrificali, forme di schiavitù, oltre allo sconsiderato sfruttamento delle risorse naturali: “quando vai nella foresta” osserva Adunni “vedi alberi col corpo grande e una ferita profonda nella schiena […] immagino l’albero che piange e supplica i taglia legna di non ucciderlo [...] noi veniamo dalla terra, mangiamo dalla terra e un giorno torniamo nella terra, allora perché la trattiamo così male?”. Il finale aperto del romanzo fa sperare in un probabile ritorno del personaggio in libreria.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



