Questo lavoro si concentra sulla difficile questione della compatibilità delle normative introdotte in molti ordinamenti per la tutela ambientale con i principi fondamentali di un’economia di libero mercato. La normativa ambientale è basata sull’assunto dell’esistenza di un grave fallimento del mercato, che non sarebbe in grado di proteggere in modo soddisfacente beni pubblici come l’aspirazione a vivere in un mondo pulito e che non si surriscalda per effetto del contributo dell’uomo. Di per sé, si tratta di una giustificazione classica all’intervento statale nell’economia, ma la recente ondata di norme sembra andare oltre e imporre un ripensamento di alcuni fondamentali cardini del sistema capitalista. Là dove si impone ai manager, ad esempio, di orientare la propria condotta al perseguimento dell’ambiente in modo prioritario rispetto alla massimizzazione del profitto, si mette in discussione un aspetto centrale della corporate governance come fin qui essa si è evoluta. Allo stesso modo, là dove si impone ai produttori l’abbandono delle auto a motore endotermico o ai privati l’effettuazione di ingenti investimenti per rendere più efficienti le abitazioni dal punto di vista energetico, come ha fatto di recente l’Unione europea, si interferisce in maniera assai marcata con la libertà imprenditoriale e il diritto di proprietà, rendendole serventi rispetto al perseguimento di obiettivi di interesse generale ritenuti preminenti. La domanda che occorre porsi è quindi se tali normative volte a perseguire uno sviluppo sostenibile siano compatibili con il sistema di mercato, o comportino la necessità di un suo ripensamento dalle fondamenta. In questo articolo si espone la tesi della estrema difficoltà di riconciliare le norme sulla sostenibilità con gli assunti fondamentali del sistema di libero mercato, con la conseguenza che appare evidente che ci si trovi di fronte ad una scelta molto precisa. Da un lato, è possibile dare priorità agli obiettivi di sostenibilità, ma in quel caso appare inevitabile che si abbandoni il sistema giuridico-economico che ha contraddistinto lo sviluppo negli ultimi secoli; dall’altro, se non si è pronti a un tale sacrificio, occorre ripensare invece l’approccio alla sostenibilità seguito sin qui, ed esplorare piuttosto vie alternative come quelle di un ambientalismo di libero mercato, che passino da una tutela più forte dei diritti di proprietà, riducendo i casi di commons e proteggendo fortemente le prerogative dei proprietari lesi. La riflessione su questi temi è quanto mai urgente, per comprendere se esista effettivamente una terza via di compromesso tra socializzazione e privatizzazione, o se invece, come è stato sostenuto, questa possibilità in verità è illusoria, e il perseguimento della sostenibilità nel modo in cui è stato portato avanti sia incompatibile con il libero mercato.
Regole di sostenibilità socio-ambientale e principi del libero mercato: verso un nuovo paradigma?
de caria
2024-01-01
Abstract
Questo lavoro si concentra sulla difficile questione della compatibilità delle normative introdotte in molti ordinamenti per la tutela ambientale con i principi fondamentali di un’economia di libero mercato. La normativa ambientale è basata sull’assunto dell’esistenza di un grave fallimento del mercato, che non sarebbe in grado di proteggere in modo soddisfacente beni pubblici come l’aspirazione a vivere in un mondo pulito e che non si surriscalda per effetto del contributo dell’uomo. Di per sé, si tratta di una giustificazione classica all’intervento statale nell’economia, ma la recente ondata di norme sembra andare oltre e imporre un ripensamento di alcuni fondamentali cardini del sistema capitalista. Là dove si impone ai manager, ad esempio, di orientare la propria condotta al perseguimento dell’ambiente in modo prioritario rispetto alla massimizzazione del profitto, si mette in discussione un aspetto centrale della corporate governance come fin qui essa si è evoluta. Allo stesso modo, là dove si impone ai produttori l’abbandono delle auto a motore endotermico o ai privati l’effettuazione di ingenti investimenti per rendere più efficienti le abitazioni dal punto di vista energetico, come ha fatto di recente l’Unione europea, si interferisce in maniera assai marcata con la libertà imprenditoriale e il diritto di proprietà, rendendole serventi rispetto al perseguimento di obiettivi di interesse generale ritenuti preminenti. La domanda che occorre porsi è quindi se tali normative volte a perseguire uno sviluppo sostenibile siano compatibili con il sistema di mercato, o comportino la necessità di un suo ripensamento dalle fondamenta. In questo articolo si espone la tesi della estrema difficoltà di riconciliare le norme sulla sostenibilità con gli assunti fondamentali del sistema di libero mercato, con la conseguenza che appare evidente che ci si trovi di fronte ad una scelta molto precisa. Da un lato, è possibile dare priorità agli obiettivi di sostenibilità, ma in quel caso appare inevitabile che si abbandoni il sistema giuridico-economico che ha contraddistinto lo sviluppo negli ultimi secoli; dall’altro, se non si è pronti a un tale sacrificio, occorre ripensare invece l’approccio alla sostenibilità seguito sin qui, ed esplorare piuttosto vie alternative come quelle di un ambientalismo di libero mercato, che passino da una tutela più forte dei diritti di proprietà, riducendo i casi di commons e proteggendo fortemente le prerogative dei proprietari lesi. La riflessione su questi temi è quanto mai urgente, per comprendere se esista effettivamente una terza via di compromesso tra socializzazione e privatizzazione, o se invece, come è stato sostenuto, questa possibilità in verità è illusoria, e il perseguimento della sostenibilità nel modo in cui è stato portato avanti sia incompatibile con il libero mercato.File | Dimensione | Formato | |
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