Secondo la definizione prevalente di banca centrale, ancorché se ne discuta l’ampiezza degli obiettivi, una banca centrale è un attore economico che, per essere tale, ossia per poter assolvere efficacemente i propri compiti, deve distinguersi dalle istituzioni politiche, in particolare dall’esecutivo, dell’entità statuale di cui è espressione, sia essa uno Stato nazionale o un’unione di Stati, e godere di sostanziale autonomia nel governo della moneta e delle istituzioni finanziarie. La definizione più basilare di banca centrale ne definisce le funzioni, perseguite mediante una dotazione variabile di strumenti a seconda dello specifico mandato assegnato alle singole banche centrali, in termini di esercizio di responsabilità di governo della moneta (la funzione macroeconomica) e stabilità delle istituzioni finanziarie (la funzione microeconomica). La nozione di banca centrale è stata tuttavia oggetto di radicali oscillazioni e mutazioni. Le ragioni e le funzioni di questa istituzione hanno oscillato, in uno spettro particolarmente largo, tra gli estremi del mercato e quelli dello Stato, combinandosi variamente nelle singole esperienze storiche e nazionali. Negli ultimi decenni la moltiplicazione delle banche centrali per effetto della creazione di nuovi Stati nazionali seguita alla fine della Guerra fredda parrebbe offrire un’indicazione forte, come era avvenuto dopo la fine della prima guerra mondiale, della relazione quasi esistenziale tra la banca centrale e l’idea stessa di Stato nazionale, un’evidenza che era peraltro apparsa in plastica evidenza anche nei processi di decolonizzazione degli anni quaranta-sessanta. La funzione delle banche centrali appare dispiegarsi lungo un crinale di responsabilità e influenza politica ambiguo, poiché l’autonomia dei banchieri centrali dai propri rispettivi esecutivi tende a presentarsi in alcune circostanze come capacità di influenza attiva sulle scelte politiche degli stessi esecutivi, rovesciandosi così il principio su cui viene fondato il paradigma dell’autonomia della banca centrale. Le banche centrali, in effetti, non sono pertanto necessariamente condizionate dalle scelte dei rispettivi esecutivi, esercitano anzi talvolta rilevanti poteri di influenza, come corpi sì politici ma non sottoposti a forme di accountability paragonabili a quelle cui soggiacciono i responsabili politici propriamente intesi, laddove sollecitano misure che riguardano il debito pubblico, il mercato del lavoro e il mercato dei beni e servizi promuovendone riforme e indicando regole di comportamento sia degli attori economici sia degli attori sociali e politici. In alcuni casi la banca centrale è stato un attore istituzionale fondamentale nei processi decisionali relativi alle condizioni (macroeconomiche) alle quali è stata subordinata la partecipazione all’integrazione monetaria europea.
Banche centrali e processi di state-building: prospettive di ricerca
Piluso
2025-01-01
Abstract
Secondo la definizione prevalente di banca centrale, ancorché se ne discuta l’ampiezza degli obiettivi, una banca centrale è un attore economico che, per essere tale, ossia per poter assolvere efficacemente i propri compiti, deve distinguersi dalle istituzioni politiche, in particolare dall’esecutivo, dell’entità statuale di cui è espressione, sia essa uno Stato nazionale o un’unione di Stati, e godere di sostanziale autonomia nel governo della moneta e delle istituzioni finanziarie. La definizione più basilare di banca centrale ne definisce le funzioni, perseguite mediante una dotazione variabile di strumenti a seconda dello specifico mandato assegnato alle singole banche centrali, in termini di esercizio di responsabilità di governo della moneta (la funzione macroeconomica) e stabilità delle istituzioni finanziarie (la funzione microeconomica). La nozione di banca centrale è stata tuttavia oggetto di radicali oscillazioni e mutazioni. Le ragioni e le funzioni di questa istituzione hanno oscillato, in uno spettro particolarmente largo, tra gli estremi del mercato e quelli dello Stato, combinandosi variamente nelle singole esperienze storiche e nazionali. Negli ultimi decenni la moltiplicazione delle banche centrali per effetto della creazione di nuovi Stati nazionali seguita alla fine della Guerra fredda parrebbe offrire un’indicazione forte, come era avvenuto dopo la fine della prima guerra mondiale, della relazione quasi esistenziale tra la banca centrale e l’idea stessa di Stato nazionale, un’evidenza che era peraltro apparsa in plastica evidenza anche nei processi di decolonizzazione degli anni quaranta-sessanta. La funzione delle banche centrali appare dispiegarsi lungo un crinale di responsabilità e influenza politica ambiguo, poiché l’autonomia dei banchieri centrali dai propri rispettivi esecutivi tende a presentarsi in alcune circostanze come capacità di influenza attiva sulle scelte politiche degli stessi esecutivi, rovesciandosi così il principio su cui viene fondato il paradigma dell’autonomia della banca centrale. Le banche centrali, in effetti, non sono pertanto necessariamente condizionate dalle scelte dei rispettivi esecutivi, esercitano anzi talvolta rilevanti poteri di influenza, come corpi sì politici ma non sottoposti a forme di accountability paragonabili a quelle cui soggiacciono i responsabili politici propriamente intesi, laddove sollecitano misure che riguardano il debito pubblico, il mercato del lavoro e il mercato dei beni e servizi promuovendone riforme e indicando regole di comportamento sia degli attori economici sia degli attori sociali e politici. In alcuni casi la banca centrale è stato un attore istituzionale fondamentale nei processi decisionali relativi alle condizioni (macroeconomiche) alle quali è stata subordinata la partecipazione all’integrazione monetaria europea.| File | Dimensione | Formato | |
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