Il conflitto sul sistema pensionistico in Italia, iniziato con la riforma Amato nel 1992, non ha ancora trovato una soluzione equa e sostenibile, nonostante i numerosi interventi legislativi. Il conflitto è sovente presentato come una contrapposizione radicale tra due schieramenti: i conservatori dello status quo pensionistico (i pensionati e i pensionandi, organizzati e mobilitati dai sindacati) e una minoranza di riformatori. I primi intendono mantenere i privilegi ancora garantiti dalla riforma Dini del 1995 (in particolare, ma non solo, l’istituto delle pensioni di anzianità); i secondi invece metter fine ai rilevanti squilibri finanziari (da decenni il deficit pensionistico annuale si aggira intorno al 4% del PIL). Scarse sono le ricerche empiriche sugli atteggiamenti degli italiani verso i progetti di riforma del sistema pensionistico. Questo lavoro presenta i risultati di una serie di sondaggi effettuati dal 1996 al 2001 su un panel (n variabile da 4008 a 5609 casi) e, in particolare, dell’indagine del 2001. Si tratta di campioni casuali e rappresentativi di numerose proprietà della popolazione italiana adulta (p. 111). Gli intervistati sono stati esposti ad alcune frasi (12 nel 2001) e invitati ad indicare, con un punteggio compreso tra 1 e 10, il loro grado di accordo o disaccordo. L’articolo presenta analisi mono e multivariate dei dati ed esamina le fonti di variazione di tre indici sintetici da essi ricavati (“proriforma”, “universalismo”, “informazione”). I risultati principali sono: a) non è affatto corroborata l’ipotesi secondo cui all’aumentare dell’età anagrafica aumenterebbe il grado di conservatorismo pensionistico. L’associazione tra le due variabili è assai debole. I più conservatori sono compresi nella coorte dei “capelli grigi” (da 40 a 49 anni), mentre ultrasessantenni e pensionati sono in media più favorevoli ad una riforma. b) Più in generale risulta falsificata l’ipotesi secondo cui gli atteggiamenti verso il welfare sarebbero associati alle fratture esistenti tra giovani e vecchi, tra ricchi e poveri e tra insiders e outsiders, mentre l’ideologia avrebbe scarsa influenza sulle domande di specifici programmi di welfare. I dati (p. 125) mostrano come le variabili politiche e professionali siano le più rilevanti nel modellare credenze e progetti sul sistema pensionistico. c) La divisione tra insiders e outsiders è la principale fonte di variazione del grado di informazione disponibile agli intervistati sul sistema pensionistico. Quasi il 20% del campione nazionale (diversi milioni di persone, se rapportato alla popolazione italiana adulta) ha risposto sistematicamente “non so” alle 12 frasi presentate. Si tratta anzitutto di studenti, disoccupati e casalinghe. d) La frattura tra conservatori e riformatori non è l’unica dimensione del conflitto pensionistico in Italia né la più rilevante. Un’altra differenza, sinora non apprezzata, separa i sostenitori (oltre il 60% degli intervistati) di una concezione universalistica e i fautori di una visione particolaristica ed usurpatoria del sistema pensionistico. Secondo i primi, le regole del sistema dovrebbero essere uguali per tutti e le prestazioni proporzionali all’entità dei contributi versati e all’età dell’interessato. Un progetto di riforma ispirato a questi principi — in pratica: una modifica e un’accelerazione della legge Dini — potrebbe godere di un consenso ampio, maggiore di quello accordato a un progetto esclusivamente basato sul principio della compatibilità finanziaria del sistema pensionistico. e) Nelle risposte di quasi metà degli intervistati coesistono preferenze incoerenti e contraddittorie: ad esempio, la volontà di conservare le pensioni di anzianità e garantire contemporaneamente la proporzionalità tra contributi e prestazioni. Ciò spiega almeno in parte perché sia tanto difficile realizzare una riforma soddisfacente del sistema pensionistico in Italia. In ogni caso, gli italiani sembrano più sensibili ai valori dell’eguaglianza e dell’equità che a quelli della previdenza. Meglio: potrebbero forse essere convinti ad essere più previdenti di fronte a un progetto di riforma basato sull’equità. Una prima versione di questo lavoro è stato pubblicata on line nel numero di aprile 2002 di “Political and Economic Trend” (www.politicaltrendonline.com) dell’ISPO. Un breve riassunto, dal titolo Poco previdenti, ma equi. Risultati di un sondaggio nazionale sul sistema pensionistico, si trova in in C. Beria di Argentine (a cura di), Nuove forme di welfare, Milano, Giuffrè, pp. 249-254.
Gli italiani sono più sensibili all’eguaglianza e all’equità che alla previdenza. Risultati di un sondaggio nazionale sul sistema pensionistico.
BALDISSERA, Alberto
2002-01-01
Abstract
Il conflitto sul sistema pensionistico in Italia, iniziato con la riforma Amato nel 1992, non ha ancora trovato una soluzione equa e sostenibile, nonostante i numerosi interventi legislativi. Il conflitto è sovente presentato come una contrapposizione radicale tra due schieramenti: i conservatori dello status quo pensionistico (i pensionati e i pensionandi, organizzati e mobilitati dai sindacati) e una minoranza di riformatori. I primi intendono mantenere i privilegi ancora garantiti dalla riforma Dini del 1995 (in particolare, ma non solo, l’istituto delle pensioni di anzianità); i secondi invece metter fine ai rilevanti squilibri finanziari (da decenni il deficit pensionistico annuale si aggira intorno al 4% del PIL). Scarse sono le ricerche empiriche sugli atteggiamenti degli italiani verso i progetti di riforma del sistema pensionistico. Questo lavoro presenta i risultati di una serie di sondaggi effettuati dal 1996 al 2001 su un panel (n variabile da 4008 a 5609 casi) e, in particolare, dell’indagine del 2001. Si tratta di campioni casuali e rappresentativi di numerose proprietà della popolazione italiana adulta (p. 111). Gli intervistati sono stati esposti ad alcune frasi (12 nel 2001) e invitati ad indicare, con un punteggio compreso tra 1 e 10, il loro grado di accordo o disaccordo. L’articolo presenta analisi mono e multivariate dei dati ed esamina le fonti di variazione di tre indici sintetici da essi ricavati (“proriforma”, “universalismo”, “informazione”). I risultati principali sono: a) non è affatto corroborata l’ipotesi secondo cui all’aumentare dell’età anagrafica aumenterebbe il grado di conservatorismo pensionistico. L’associazione tra le due variabili è assai debole. I più conservatori sono compresi nella coorte dei “capelli grigi” (da 40 a 49 anni), mentre ultrasessantenni e pensionati sono in media più favorevoli ad una riforma. b) Più in generale risulta falsificata l’ipotesi secondo cui gli atteggiamenti verso il welfare sarebbero associati alle fratture esistenti tra giovani e vecchi, tra ricchi e poveri e tra insiders e outsiders, mentre l’ideologia avrebbe scarsa influenza sulle domande di specifici programmi di welfare. I dati (p. 125) mostrano come le variabili politiche e professionali siano le più rilevanti nel modellare credenze e progetti sul sistema pensionistico. c) La divisione tra insiders e outsiders è la principale fonte di variazione del grado di informazione disponibile agli intervistati sul sistema pensionistico. Quasi il 20% del campione nazionale (diversi milioni di persone, se rapportato alla popolazione italiana adulta) ha risposto sistematicamente “non so” alle 12 frasi presentate. Si tratta anzitutto di studenti, disoccupati e casalinghe. d) La frattura tra conservatori e riformatori non è l’unica dimensione del conflitto pensionistico in Italia né la più rilevante. Un’altra differenza, sinora non apprezzata, separa i sostenitori (oltre il 60% degli intervistati) di una concezione universalistica e i fautori di una visione particolaristica ed usurpatoria del sistema pensionistico. Secondo i primi, le regole del sistema dovrebbero essere uguali per tutti e le prestazioni proporzionali all’entità dei contributi versati e all’età dell’interessato. Un progetto di riforma ispirato a questi principi — in pratica: una modifica e un’accelerazione della legge Dini — potrebbe godere di un consenso ampio, maggiore di quello accordato a un progetto esclusivamente basato sul principio della compatibilità finanziaria del sistema pensionistico. e) Nelle risposte di quasi metà degli intervistati coesistono preferenze incoerenti e contraddittorie: ad esempio, la volontà di conservare le pensioni di anzianità e garantire contemporaneamente la proporzionalità tra contributi e prestazioni. Ciò spiega almeno in parte perché sia tanto difficile realizzare una riforma soddisfacente del sistema pensionistico in Italia. In ogni caso, gli italiani sembrano più sensibili ai valori dell’eguaglianza e dell’equità che a quelli della previdenza. Meglio: potrebbero forse essere convinti ad essere più previdenti di fronte a un progetto di riforma basato sull’equità. Una prima versione di questo lavoro è stato pubblicata on line nel numero di aprile 2002 di “Political and Economic Trend” (www.politicaltrendonline.com) dell’ISPO. Un breve riassunto, dal titolo Poco previdenti, ma equi. Risultati di un sondaggio nazionale sul sistema pensionistico, si trova in in C. Beria di Argentine (a cura di), Nuove forme di welfare, Milano, Giuffrè, pp. 249-254.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.