Dopo aver lavorato come avvocata per i diritti umani, Mona Arshi si dedica con successo alla scrittura creativa. Nel 2015 pubblica "Small Hands" (Liverpool UP), aggiudicandosi il Forward Prize for Poetry, Best First Collection e il Manchester Poetry Prize. Nel 2021 pubblica il suo primo romanzo, "Somebody Loves You", selezionato per il Jhalak Prize e il Goldsmiths Prize, tradotto quattro anni dopo in Italia con il titolo "Il silenzio è la voce che ho scelto". Ruby, voce narrante, è una giovane che desta curiosità. Il suo “stato di muta come un pesce è una stranezza che disturba […] perché il mio QI è troppo alto […] eppure continuo a scegliere di non parlare”. Al nono mese di gravidanza Ruby continuava a stare nella pancia della mamma “risoluta e inamovibile”, ma quando nacque era “un’urlatrice”. Improvvisamente, qualche anno più tardi, la piccola Ruby smette di parlare e il non proferir parola diventa “la cosa più certa della mia vita”. La narrazione è suddivisa in sessantacinque capitoli che evocano la struttura di un diario personale. Questa raccolta di pensieri, sogni e paure non è cristallizzata da riferimenti temporali specifici, né da formule di saluto che introducono o concludono il racconto della giornata. La narrazione non è neppure lineare: Ruby ci trasporta avanti e indietro nel tempo, sparpagliando dettagli in una trama frammentata. Chi legge viene informato sull’origine della sua famiglia e sulle forme di discriminazione e pregiudizio a cui era costantemente sottoposta: come l’assistente sanitaria, “l’orribile signora Norton […] che non si fidava delle donne indiane e delle loro abitudini di puericultura”, convinta che la madre di Ruby avesse applicato “della pasta chapati non sterile al seno” per curare gli attacchi di mastite, compromettendo di conseguenza la salute della neonata; o Clare, che due giorni dopo il dodicesimo compleanno di Ruby le comunica, a mezzo lettera, che non possono più essere amiche di penna perché il padre “ha scoperto che sei una pachistana”. La madre di Ruby è soggetta a continue crisi depressive, forse perché “qualcosa a livello del cuore era morto […] quando era venuta in Inghilterra”. Scompare dalla vita delle figlie e del marito per qualche periodo, per poi farvi ritorno con “pillole per la solitudine” e dedicarsi esclusivamente alla cura del giardino. Il padre di Ruby è costantemente immerso nei suoi pensieri e crede nell’uguaglianza tra gli esseri umani: “tutti sono come noi […] gli spazzini in strada sono come noi… gli inglesi, persino loro sono come noi”. La sorella maggiore Rania, invece, “è una gran chiacchierona e un’imbonitrice”: la sua arte fa male ai “bulbi oculari” di Ruby, oltre a farla “vomitare”, ma Rania riesce a vendere con profitto i suoi dipinti bussando di porta in porta alle case dell’eccentrico quartiere di Camden. Ruby è riflessiva: osserva e commenta con arguzia e ironia le persone e le situazioni che completano la sua quotidianità – la nonna Biji, che ogni volta lasciava riluttante l’India per colmare le assenze della figlia; la Terribile zia Numero Uno, che conviveva con un uomo e appendeva manifesti per il Partito laburista all’insaputa dei familiari; la signora Kendrick, convinta che Gesù sarebbe venuto a salvare Ruby dal mutismo; la signora Boland, che “dovrebbe di tanto in tanto sperimentare la qualità del restare senza parole”, poiché vedeva nell’università il luogo ideale per Ruby per trovare la sua voce, essere normale e soprattutto trovare la sua “gente”. La determinatezza di Ruby a vivere la quotidianità senza articolare alcuna parola stride piacevolmente con la realtà dei giorni nostri, dove abbondano e prevaricano gli urlatori che esprimono solo opinioni come se fossero verità uniche e imprescindibili. Forse questo romanzo è dedicato proprio a loro.
Muta come un pesce
Maria Festa
First
2025-01-01
Abstract
Dopo aver lavorato come avvocata per i diritti umani, Mona Arshi si dedica con successo alla scrittura creativa. Nel 2015 pubblica "Small Hands" (Liverpool UP), aggiudicandosi il Forward Prize for Poetry, Best First Collection e il Manchester Poetry Prize. Nel 2021 pubblica il suo primo romanzo, "Somebody Loves You", selezionato per il Jhalak Prize e il Goldsmiths Prize, tradotto quattro anni dopo in Italia con il titolo "Il silenzio è la voce che ho scelto". Ruby, voce narrante, è una giovane che desta curiosità. Il suo “stato di muta come un pesce è una stranezza che disturba […] perché il mio QI è troppo alto […] eppure continuo a scegliere di non parlare”. Al nono mese di gravidanza Ruby continuava a stare nella pancia della mamma “risoluta e inamovibile”, ma quando nacque era “un’urlatrice”. Improvvisamente, qualche anno più tardi, la piccola Ruby smette di parlare e il non proferir parola diventa “la cosa più certa della mia vita”. La narrazione è suddivisa in sessantacinque capitoli che evocano la struttura di un diario personale. Questa raccolta di pensieri, sogni e paure non è cristallizzata da riferimenti temporali specifici, né da formule di saluto che introducono o concludono il racconto della giornata. La narrazione non è neppure lineare: Ruby ci trasporta avanti e indietro nel tempo, sparpagliando dettagli in una trama frammentata. Chi legge viene informato sull’origine della sua famiglia e sulle forme di discriminazione e pregiudizio a cui era costantemente sottoposta: come l’assistente sanitaria, “l’orribile signora Norton […] che non si fidava delle donne indiane e delle loro abitudini di puericultura”, convinta che la madre di Ruby avesse applicato “della pasta chapati non sterile al seno” per curare gli attacchi di mastite, compromettendo di conseguenza la salute della neonata; o Clare, che due giorni dopo il dodicesimo compleanno di Ruby le comunica, a mezzo lettera, che non possono più essere amiche di penna perché il padre “ha scoperto che sei una pachistana”. La madre di Ruby è soggetta a continue crisi depressive, forse perché “qualcosa a livello del cuore era morto […] quando era venuta in Inghilterra”. Scompare dalla vita delle figlie e del marito per qualche periodo, per poi farvi ritorno con “pillole per la solitudine” e dedicarsi esclusivamente alla cura del giardino. Il padre di Ruby è costantemente immerso nei suoi pensieri e crede nell’uguaglianza tra gli esseri umani: “tutti sono come noi […] gli spazzini in strada sono come noi… gli inglesi, persino loro sono come noi”. La sorella maggiore Rania, invece, “è una gran chiacchierona e un’imbonitrice”: la sua arte fa male ai “bulbi oculari” di Ruby, oltre a farla “vomitare”, ma Rania riesce a vendere con profitto i suoi dipinti bussando di porta in porta alle case dell’eccentrico quartiere di Camden. Ruby è riflessiva: osserva e commenta con arguzia e ironia le persone e le situazioni che completano la sua quotidianità – la nonna Biji, che ogni volta lasciava riluttante l’India per colmare le assenze della figlia; la Terribile zia Numero Uno, che conviveva con un uomo e appendeva manifesti per il Partito laburista all’insaputa dei familiari; la signora Kendrick, convinta che Gesù sarebbe venuto a salvare Ruby dal mutismo; la signora Boland, che “dovrebbe di tanto in tanto sperimentare la qualità del restare senza parole”, poiché vedeva nell’università il luogo ideale per Ruby per trovare la sua voce, essere normale e soprattutto trovare la sua “gente”. La determinatezza di Ruby a vivere la quotidianità senza articolare alcuna parola stride piacevolmente con la realtà dei giorni nostri, dove abbondano e prevaricano gli urlatori che esprimono solo opinioni come se fossero verità uniche e imprescindibili. Forse questo romanzo è dedicato proprio a loro.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.



