L’istanza municipalizzatrice in Italia, benché più tardiva e più limitata rispetto ad altre realtà europee, matura già a fine Ottocento, in età crispina, quando l’accelerazione dei processi di inurbamento e di industrializzazione delle città rese l’esercizio del governo del territorio urbano una componente oltremodo significativa dell’attività delle amministrazioni. All’inizio del Novecento, in assenza di un quadro normativo di riferimento, la diffusa presenza di gestori privati operanti in regime di monopolio si rivelava sempre più incompatibile sia con l’efficienza del sistema economico sia con le condizioni di vita dei cittadini tanto che l’esigenza della “mano pubblica” cominciò a rappresentare un terreno unificante di orientamenti politici e correnti di pensiero tra loro molto differenti (oltre alla tradizione socialista e a una parte del mondo cattolico, anche alcune componenti del mondo liberale progressiste o tecnocratiche che fossero). L’aprirsi di un trend finalmente positivo dell’economia e l’evoluzione del quadro politico generale (con l’avvio della cosiddetta “svolta liberale” di Zanardelli e Giolitti), unitamente alle pressioni dei partiti popolari, consentirono di porre mano alla razionalizzazione e alla modernizzazione del settore dei servizi locali fino a giungere all’emanazione della legge n. 103 del 29 marzo 1903, nota anche come “legge Giolitti”. Una legge che è rimasta tra le più importanti dell’età liberale (punto di riferimento per gli amministratori per quasi un secolo, unitamente al Testo Unico n. 2578 del 1925), sebbene fin dagli inizi presentasse anche notevoli limiti, sia di tipo burocratico sia di carattere sostanziale, tanto che finì per essere giudicata proprio dalle forze che maggiormente ne avevano auspicato l’emanazione, come il partito socialista. Il fascismo, privo di un proprio, organico punto di vista in materia, sul piano delle politiche locali non rappresentò una soluzione di continuità netta rispetto ai precedenti modelli di gestione. Benché fosse arrivato al governo sull’onda di una violentissima campagna contro il “bolscevismo amministrativo” dei Comuni socialisti (ma lo stesso valeva anche per quelli guidati dai cattolici popolari), esso in realtà non mostrò mai alcuna seria intenzione di adottare un modello di città, alternativo a quello liberal-democratico dell’età giolittiana. Sul piano legislativo il regime dimostrò chiaramente di voler razionalizzare, non certo distruggere, il sistema delle municipalizzazioni, emanando il 15 ottobre del 1925 un Testo Unico, il n. 2578, che doveva sostituire la legge giolittiana del 1903 ma che di fatto ne faceva proprii l’impianto di fondo e lo spirito. Alcuni aspetti della vecchia normativa furono modificati, ma non si trattò in alcun modo di una rivoluzione, tanto meno nel senso auspicato dagli avversari delle municipalizzazioni, considerate evidentemente un patrimonio ormai irrinunciabile.

Le municipalizzazioni in Italia

ADORNI, Daniela
2007-01-01

Abstract

L’istanza municipalizzatrice in Italia, benché più tardiva e più limitata rispetto ad altre realtà europee, matura già a fine Ottocento, in età crispina, quando l’accelerazione dei processi di inurbamento e di industrializzazione delle città rese l’esercizio del governo del territorio urbano una componente oltremodo significativa dell’attività delle amministrazioni. All’inizio del Novecento, in assenza di un quadro normativo di riferimento, la diffusa presenza di gestori privati operanti in regime di monopolio si rivelava sempre più incompatibile sia con l’efficienza del sistema economico sia con le condizioni di vita dei cittadini tanto che l’esigenza della “mano pubblica” cominciò a rappresentare un terreno unificante di orientamenti politici e correnti di pensiero tra loro molto differenti (oltre alla tradizione socialista e a una parte del mondo cattolico, anche alcune componenti del mondo liberale progressiste o tecnocratiche che fossero). L’aprirsi di un trend finalmente positivo dell’economia e l’evoluzione del quadro politico generale (con l’avvio della cosiddetta “svolta liberale” di Zanardelli e Giolitti), unitamente alle pressioni dei partiti popolari, consentirono di porre mano alla razionalizzazione e alla modernizzazione del settore dei servizi locali fino a giungere all’emanazione della legge n. 103 del 29 marzo 1903, nota anche come “legge Giolitti”. Una legge che è rimasta tra le più importanti dell’età liberale (punto di riferimento per gli amministratori per quasi un secolo, unitamente al Testo Unico n. 2578 del 1925), sebbene fin dagli inizi presentasse anche notevoli limiti, sia di tipo burocratico sia di carattere sostanziale, tanto che finì per essere giudicata proprio dalle forze che maggiormente ne avevano auspicato l’emanazione, come il partito socialista. Il fascismo, privo di un proprio, organico punto di vista in materia, sul piano delle politiche locali non rappresentò una soluzione di continuità netta rispetto ai precedenti modelli di gestione. Benché fosse arrivato al governo sull’onda di una violentissima campagna contro il “bolscevismo amministrativo” dei Comuni socialisti (ma lo stesso valeva anche per quelli guidati dai cattolici popolari), esso in realtà non mostrò mai alcuna seria intenzione di adottare un modello di città, alternativo a quello liberal-democratico dell’età giolittiana. Sul piano legislativo il regime dimostrò chiaramente di voler razionalizzare, non certo distruggere, il sistema delle municipalizzazioni, emanando il 15 ottobre del 1925 un Testo Unico, il n. 2578, che doveva sostituire la legge giolittiana del 1903 ma che di fatto ne faceva proprii l’impianto di fondo e lo spirito. Alcuni aspetti della vecchia normativa furono modificati, ma non si trattò in alcun modo di una rivoluzione, tanto meno nel senso auspicato dagli avversari delle municipalizzazioni, considerate evidentemente un patrimonio ormai irrinunciabile.
2007
Il trasporto pubblico a Torino nel secolo dell’industria: ATM, SATTI, GTT
Comune di Torino
15
47
9788878850163
D. ADORNI
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