Di fronte alla scelta interventista, i crucci dell’Orlando giurista lasciano il passo al patriottismo dell’Orlando politico in cui, come in altri esponenti del ceto politico liberale progressista, la visione della guerra come ripresa e coronamento degli ideali risorgimentali è sempre più sovrastata da un «patriottismo nazionalistico» imperniato sull’idea di potenza. Ciononostante, la sua condotta, quale responsabile del ministero degli Interni del governo Boselli, è spesso al centro della discussione per i suoi tratti liberali, attaccata da interventisti e nazionalisti perché ritenuta troppo blanda nel reprimere la propaganda antibellica, ma al tempo stesso ritenuta troppo severa da radicali, socialisti, ma anche liberali di destra per il pressante intervento della censura. Divenuto presidente del Consiglio dopo la cruciale rotta di Caporetto, epilogo del crescente distacco delle masse popolari dalla vita pubblica e dalle istituzioni, per l’Orlando padre della giuspubblicistica italiana, si tratta di difendere la sovranità dello Stato-persona, mantenergli cioè tutta la forza e tutta l’autorità necessaria nella crisi di transizione che il paese sta attraversando. Di qui, un’azione di governo incisiva imperniata sia sulla riorganizzazione della macchina burocratico-militare volta ad imprimere alla guerra, pur nel rispetto delle competenze specifiche, un indirizzo politico, sia sullo strenuo tentativo di governare quella spinta decisiva al processo di democratizzazione delle istituzioni e del rapporto tra istituzioni e cittadini che la “guerra totale” ha impresso corrodendo alla base forme e modelli del vecchio ordine politico. La guerra dunque come occasione di mutamento: un’idea sulla quale convergono, insieme ad Orlando, esponenti di primo piano come Nitti, Giolitti e lo stesso Sonnino la cui collaborazione se porterà al successo difensivo del giugno 1918 e a quello offensivo dell’autunno sarà tuttavia destinata a frantumarsi di fronte ai problemi posti dalla pace. Nel lungo periodo, quando si riaprirà la lotta politica all’indomani della fine della guerra e del tormentato processo di pacificazione, apparirà come, tra il 1917 e il 1919, dietro al misurarsi e al posizionarsi sulla questione delle sorti del conflitto da parte delle più eminenti personalità del ministero, sia maturata la definitiva crisi del ceto politico liberale e si sia dipanata la lotta per l’affermazione di una nuova leadership politica che sostanzialmente definisce se stessa in opposizione a Giolitti e al «sistema giolittiano».
Orlando al governo
ADORNI, Daniela
2008-01-01
Abstract
Di fronte alla scelta interventista, i crucci dell’Orlando giurista lasciano il passo al patriottismo dell’Orlando politico in cui, come in altri esponenti del ceto politico liberale progressista, la visione della guerra come ripresa e coronamento degli ideali risorgimentali è sempre più sovrastata da un «patriottismo nazionalistico» imperniato sull’idea di potenza. Ciononostante, la sua condotta, quale responsabile del ministero degli Interni del governo Boselli, è spesso al centro della discussione per i suoi tratti liberali, attaccata da interventisti e nazionalisti perché ritenuta troppo blanda nel reprimere la propaganda antibellica, ma al tempo stesso ritenuta troppo severa da radicali, socialisti, ma anche liberali di destra per il pressante intervento della censura. Divenuto presidente del Consiglio dopo la cruciale rotta di Caporetto, epilogo del crescente distacco delle masse popolari dalla vita pubblica e dalle istituzioni, per l’Orlando padre della giuspubblicistica italiana, si tratta di difendere la sovranità dello Stato-persona, mantenergli cioè tutta la forza e tutta l’autorità necessaria nella crisi di transizione che il paese sta attraversando. Di qui, un’azione di governo incisiva imperniata sia sulla riorganizzazione della macchina burocratico-militare volta ad imprimere alla guerra, pur nel rispetto delle competenze specifiche, un indirizzo politico, sia sullo strenuo tentativo di governare quella spinta decisiva al processo di democratizzazione delle istituzioni e del rapporto tra istituzioni e cittadini che la “guerra totale” ha impresso corrodendo alla base forme e modelli del vecchio ordine politico. La guerra dunque come occasione di mutamento: un’idea sulla quale convergono, insieme ad Orlando, esponenti di primo piano come Nitti, Giolitti e lo stesso Sonnino la cui collaborazione se porterà al successo difensivo del giugno 1918 e a quello offensivo dell’autunno sarà tuttavia destinata a frantumarsi di fronte ai problemi posti dalla pace. Nel lungo periodo, quando si riaprirà la lotta politica all’indomani della fine della guerra e del tormentato processo di pacificazione, apparirà come, tra il 1917 e il 1919, dietro al misurarsi e al posizionarsi sulla questione delle sorti del conflitto da parte delle più eminenti personalità del ministero, sia maturata la definitiva crisi del ceto politico liberale e si sia dipanata la lotta per l’affermazione di una nuova leadership politica che sostanzialmente definisce se stessa in opposizione a Giolitti e al «sistema giolittiano».File | Dimensione | Formato | |
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