Il testo, strutturato in due parti, si propone di esplorare gli spazi che l'attuale sistema di obbligatorietà di esercizio dell'azione penale lascia intravedere nella prospettiva di una possibile introduzione di strumenti per l'alleggerimento dell'onere, formalmente indefettibile, del pubblico ministero di promuovere l'accusa, legati alla limitata gravità del fatto di reato. Nella prima parte, dunque, si tenta di riassumere l'attuale "stato dell'arte" in tema di "tenuta" del principio dell'art. 112 Cost., attraverso un quadro che, innanzitutto, delinea i significati storici sottesi alla scelta effettuata dai Costituenti al tempo dell'ormai lontana nascita del sistema repubblicano, e, successivamente, evidenzia quali siano a tutt'oggi i valori che sopravvivono, racchiusi nella laconica disposizione della Carta fondamentale. Giungendo, attraverso questo percorso, ad individuare la persistenza di un forte nucleo di principi irrinunciabili, e riconducibili proprio a quell'enunciato normativo, lo scritto affronta – sempre nella prima parte, intitolata, appunto «I princìpi» - un altro aspetto preliminare all'analisi di possibili soluzioni deflattive legate alla scarsa rilevanza del fatto, ossia la possibilità di delineare, in astratto, una vera e propria "categoria" omogenea di comportamenti che, pur integrando una fattispecie di reato, si attestano al livello più basso di gravità. La tematica – che è stata abbondantemente esplorata dalla scuola di matrice tedesca, espressamente dedicatasi allo studio delle figure di reato bagatellari – è qui affrontata proprio nell'ottica di verificare la possibilità di stabilire un legame tra questa possibile categoria dell'"esiguità" e la regola di obbligatorietà dell'azione penale, per individuare così un segmento entro il quale sperimentare regole che attenuino l'obbligo dell'art. 112 Cost. Del resto, come posto in luce nella seconda parte dello scritto, il legislatore italiano non è certo del tutto estraneo ad esperienze normative di questo tipo. Ecco, allora, che questa sezione dello scritto dedica un primo capitolo alla presentazione delle diverse iniziative che - talvolta sfociate in veri e propri provvedimenti legislativi, altre volte bloccatesi allo stato di proposte di legge - hanno, nel corso degli ultimi venti anni, portato alla ribalta il tema della scarsa rilevanza del fatto di reato, proprio in collegamento con la questione della sussistenza, anche in tali casi, dell'obbligo di esercitare l'azione penale. Una volta presentate, nelle loro caratteristiche essenziali tali esperienza normative, i successivi capitoli si occupano di studiare più analiticamente, i singoli parametri attraverso i quali il legislatore ha fin qui connotato, ai menzionati fini di decongestione del carico processuale, l'esiguità del reato: innanzitutto si analizzano i parametri di stampo oggettivo, o tendenzialmente oggettivo, di individuazione del fatto tenue e successivamente si esplorano quelli di tipo soggettivo. Il legislatore, infatti, ha sempre fatto ricorso ad una gamma articolata di criteri di individuazione dei fatti riconducibili all'alveo applicativo degli istituti deflattivi di volta in volta introdotti, mostrando di voler dare apprezzamento non solo alle caratteristiche obiettive del fatto in concreto realizzato – come, ad esempio, lo scarso ammontare del danno causato (inteso il danno nelle sue molteplici configurazioni ed implicazioni, tanto prettamente economico-monetarie, quanto morali e personali), oppure l'episodicità cronologica della trasgressione – ma anche a profili marcatamente legati alle caratteristiche ed alla situazione personale dell'agente, quali le sue esigenze educative, lavorative, o sanitarie. Nei cenni conclusivi, poi, si cerca di tirare le fila del discorso, non solo riconducendo ad unità, con alcune considerazioni d'insieme, le diverse problematiche affrontate, ma anche attraverso la proposta di un plausibile spazio di sperimentazione", delimitato proprio dal raccordo tra il perdurante valore del principio di obbligatorietà dell'azione penale e l'esistenza di una categoria di fatti che, pur rispondenti a figure astratte di reato, per la loro scarsa gravità, meritano di essere trattati, quanto meno sul piano processuale, in maniera differenziata.

Esiguità del fatto e regole per l'esercizio dell'azione penale

QUATTROCOLO, Serena
2004-01-01

Abstract

Il testo, strutturato in due parti, si propone di esplorare gli spazi che l'attuale sistema di obbligatorietà di esercizio dell'azione penale lascia intravedere nella prospettiva di una possibile introduzione di strumenti per l'alleggerimento dell'onere, formalmente indefettibile, del pubblico ministero di promuovere l'accusa, legati alla limitata gravità del fatto di reato. Nella prima parte, dunque, si tenta di riassumere l'attuale "stato dell'arte" in tema di "tenuta" del principio dell'art. 112 Cost., attraverso un quadro che, innanzitutto, delinea i significati storici sottesi alla scelta effettuata dai Costituenti al tempo dell'ormai lontana nascita del sistema repubblicano, e, successivamente, evidenzia quali siano a tutt'oggi i valori che sopravvivono, racchiusi nella laconica disposizione della Carta fondamentale. Giungendo, attraverso questo percorso, ad individuare la persistenza di un forte nucleo di principi irrinunciabili, e riconducibili proprio a quell'enunciato normativo, lo scritto affronta – sempre nella prima parte, intitolata, appunto «I princìpi» - un altro aspetto preliminare all'analisi di possibili soluzioni deflattive legate alla scarsa rilevanza del fatto, ossia la possibilità di delineare, in astratto, una vera e propria "categoria" omogenea di comportamenti che, pur integrando una fattispecie di reato, si attestano al livello più basso di gravità. La tematica – che è stata abbondantemente esplorata dalla scuola di matrice tedesca, espressamente dedicatasi allo studio delle figure di reato bagatellari – è qui affrontata proprio nell'ottica di verificare la possibilità di stabilire un legame tra questa possibile categoria dell'"esiguità" e la regola di obbligatorietà dell'azione penale, per individuare così un segmento entro il quale sperimentare regole che attenuino l'obbligo dell'art. 112 Cost. Del resto, come posto in luce nella seconda parte dello scritto, il legislatore italiano non è certo del tutto estraneo ad esperienze normative di questo tipo. Ecco, allora, che questa sezione dello scritto dedica un primo capitolo alla presentazione delle diverse iniziative che - talvolta sfociate in veri e propri provvedimenti legislativi, altre volte bloccatesi allo stato di proposte di legge - hanno, nel corso degli ultimi venti anni, portato alla ribalta il tema della scarsa rilevanza del fatto di reato, proprio in collegamento con la questione della sussistenza, anche in tali casi, dell'obbligo di esercitare l'azione penale. Una volta presentate, nelle loro caratteristiche essenziali tali esperienza normative, i successivi capitoli si occupano di studiare più analiticamente, i singoli parametri attraverso i quali il legislatore ha fin qui connotato, ai menzionati fini di decongestione del carico processuale, l'esiguità del reato: innanzitutto si analizzano i parametri di stampo oggettivo, o tendenzialmente oggettivo, di individuazione del fatto tenue e successivamente si esplorano quelli di tipo soggettivo. Il legislatore, infatti, ha sempre fatto ricorso ad una gamma articolata di criteri di individuazione dei fatti riconducibili all'alveo applicativo degli istituti deflattivi di volta in volta introdotti, mostrando di voler dare apprezzamento non solo alle caratteristiche obiettive del fatto in concreto realizzato – come, ad esempio, lo scarso ammontare del danno causato (inteso il danno nelle sue molteplici configurazioni ed implicazioni, tanto prettamente economico-monetarie, quanto morali e personali), oppure l'episodicità cronologica della trasgressione – ma anche a profili marcatamente legati alle caratteristiche ed alla situazione personale dell'agente, quali le sue esigenze educative, lavorative, o sanitarie. Nei cenni conclusivi, poi, si cerca di tirare le fila del discorso, non solo riconducendo ad unità, con alcune considerazioni d'insieme, le diverse problematiche affrontate, ma anche attraverso la proposta di un plausibile spazio di sperimentazione", delimitato proprio dal raccordo tra il perdurante valore del principio di obbligatorietà dell'azione penale e l'esistenza di una categoria di fatti che, pur rispondenti a figure astratte di reato, per la loro scarsa gravità, meritano di essere trattati, quanto meno sul piano processuale, in maniera differenziata.
2004
jovene
1
406
9788824315326
azione penale; Costituzione; pubblico ministero; archiviazione
Serena QUATTROCOLO
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/41487
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