La monografia intitolata: “Furto d’uso. Saggio su alcuni profili dell’art. 626, primo comma, n. 1 del codice penale italiano”, edita da Giappichelli nel 2000 abbraccia alcuni profili teoretici e strutturali che testimoniano come una sottofattispecie di rilievo apparentemente secondario possa costituire un crocevia dogmatico rispetto ad alcune questioni di fondo del sistema. Fra queste, l’antica disputa sull’esegesi dei termini civilistici importati nell’ambito penale nonché la più recente disputa relativa alle dimensioni effettive che il principio di colpevolezza presenta nell’ordinamento positivo italiano. Relativamente al primo profilo, viene suggerita una ricostruzione della figura della detenzione penalistica, il cui interesse concerne più di un delitto: contrariamente a quanto ritenuto dalla maggioranza dei penalisti, particolarmente sensibili alla tradizione romanistico-pandettistica, la detenzione non è una relazione fra entità eterogenee (persona e cosa), bensì una relazione interpersonale qualificata dal diritto e, segnatamente, dal capoverso dell’art. 1140 c.c., il quale delinea le diverse figure di chi possiede direttamente in nome proprio (il possessore-detentore) di chi possiede tramite una terza persona (il possessore non detentore) e, implicitamente, di chi possiede in nome altrui (detentore) nell’interesse proprio (come il comodatario) o altrui (come il depositario). La smaterializzazione codicistica del possesso consente di leggere gli artt. 624 e 626 c.p., senza formulare una interpretazione antiletterale dell’inciso “sottraendola a chi la detiene”. Relativamente al secondo profilo, il fine specifico perseguito dall’autore, non rientrando nel dolo inteso in senso tecnico, può essere considerato un elemento oggettivo di fattispecie che esprime la direzione della condotta verso uno scopo, contribuendo a tipicizzarla. Come tale, esso si pone in stretta relazione con la condotta restitutoria, la quale risulta qualificabile come elemento marginale di fattispecie rientrante nella figura degli indici, cioè dei fatti giuridici strumentali che intervengono a modificare la rilevanza virtuale di altri fatti già potenzialmente capaci di produrre conseguenze giuridiche. Questo elemento marginale non costituisce una condizione (perché non si tratta di un avvenimento futuro ed incerto, rispetto al quale non sia concepibile un divieto di realizzazione), bensì un fenomeno di natura circostanziale, come attestano diversi criteri. Configurata la condotta restitutoria come post-factum attenuante (rispetto al furto comune), correlata alla presenza, sin dall’origine, dello scopo di far uso solo momentaneo della res e di reintegrare successivamente il soggetto passivo nel possesso, questa condotta susseguente al nucleo centrale del fatto risulta essenziale nell’economia dell’offesa e perciò non può essere sottratta al generalissimo principio di personalità dell’illecito, desumibile dall’art. 27 Cost. e dall’art. 45 c.p. Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale, non osta a questa ricostruzione l’ipotesi di mancata restituzione per effetto dell’intervento della forza pubblica, perché tale intervento non può aprioristicamente essere considerato astrattamente imprevenibile ed irresistibile e perciò esula dai fattori rientranti nello spettro dell’art. 45 c.p. Ogni altro fattore impeditivo della restituzione nel quale siano correttamente ravvisabili gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, consente invece l’applicazione della figura attenuata sulla base del solo scopo restitutorio.

Furto d'uso. Saggio su alcuni profili dell'art. 626, primo comma, n. 1 del codice penale italiano

LICCI, Giorgio
2000-01-01

Abstract

La monografia intitolata: “Furto d’uso. Saggio su alcuni profili dell’art. 626, primo comma, n. 1 del codice penale italiano”, edita da Giappichelli nel 2000 abbraccia alcuni profili teoretici e strutturali che testimoniano come una sottofattispecie di rilievo apparentemente secondario possa costituire un crocevia dogmatico rispetto ad alcune questioni di fondo del sistema. Fra queste, l’antica disputa sull’esegesi dei termini civilistici importati nell’ambito penale nonché la più recente disputa relativa alle dimensioni effettive che il principio di colpevolezza presenta nell’ordinamento positivo italiano. Relativamente al primo profilo, viene suggerita una ricostruzione della figura della detenzione penalistica, il cui interesse concerne più di un delitto: contrariamente a quanto ritenuto dalla maggioranza dei penalisti, particolarmente sensibili alla tradizione romanistico-pandettistica, la detenzione non è una relazione fra entità eterogenee (persona e cosa), bensì una relazione interpersonale qualificata dal diritto e, segnatamente, dal capoverso dell’art. 1140 c.c., il quale delinea le diverse figure di chi possiede direttamente in nome proprio (il possessore-detentore) di chi possiede tramite una terza persona (il possessore non detentore) e, implicitamente, di chi possiede in nome altrui (detentore) nell’interesse proprio (come il comodatario) o altrui (come il depositario). La smaterializzazione codicistica del possesso consente di leggere gli artt. 624 e 626 c.p., senza formulare una interpretazione antiletterale dell’inciso “sottraendola a chi la detiene”. Relativamente al secondo profilo, il fine specifico perseguito dall’autore, non rientrando nel dolo inteso in senso tecnico, può essere considerato un elemento oggettivo di fattispecie che esprime la direzione della condotta verso uno scopo, contribuendo a tipicizzarla. Come tale, esso si pone in stretta relazione con la condotta restitutoria, la quale risulta qualificabile come elemento marginale di fattispecie rientrante nella figura degli indici, cioè dei fatti giuridici strumentali che intervengono a modificare la rilevanza virtuale di altri fatti già potenzialmente capaci di produrre conseguenze giuridiche. Questo elemento marginale non costituisce una condizione (perché non si tratta di un avvenimento futuro ed incerto, rispetto al quale non sia concepibile un divieto di realizzazione), bensì un fenomeno di natura circostanziale, come attestano diversi criteri. Configurata la condotta restitutoria come post-factum attenuante (rispetto al furto comune), correlata alla presenza, sin dall’origine, dello scopo di far uso solo momentaneo della res e di reintegrare successivamente il soggetto passivo nel possesso, questa condotta susseguente al nucleo centrale del fatto risulta essenziale nell’economia dell’offesa e perciò non può essere sottratta al generalissimo principio di personalità dell’illecito, desumibile dall’art. 27 Cost. e dall’art. 45 c.p. Tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte costituzionale, non osta a questa ricostruzione l’ipotesi di mancata restituzione per effetto dell’intervento della forza pubblica, perché tale intervento non può aprioristicamente essere considerato astrattamente imprevenibile ed irresistibile e perciò esula dai fattori rientranti nello spettro dell’art. 45 c.p. Ogni altro fattore impeditivo della restituzione nel quale siano correttamente ravvisabili gli estremi del caso fortuito o della forza maggiore, consente invece l’applicazione della figura attenuata sulla base del solo scopo restitutorio.
2000
Giappichelli
1
88
9788834802403
Furto d'uso; detenzione penalistica; condotta restitutoria; possesso
G. LICCI
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