Saggio sull’“Orlando furioso” (1532). La ricerca affronta la questione, al centro del poema ariostesco, della pazzia come condizione dell’esistenza umana e immanente alla ragione, della scoperta che, come il Sileno di Alcibiade, più volte citato da Erasmo, tutte le cose umane hanno due facce. Rileva che nella degradazione politica, sociale, economica dell’Italia del primo Cinquecento, nella constatazione che il mondo splendido dell’idillio (della nobiltà di sangue e di anima, della cortesia e del valore, della forza fisica) del poema boiardesco non è più possibile, lo stato della storia e della parola permettono solo parodia, ironia, satira, cioè negazione, antifrasi, capovolgimento, oppure nostalgia per ciò che non è più e non sarà mai più. Nel saggio, l’idea che la follia domina la terra ed è reversibile con la ragione, esemplificata nel poema in primo luogo da Orlando che perde e riacquista la ragione, fonda un progetto di poetica che sperimenta fino al rovesciamento parodico la materia umanistica e popolare, latina e gotica delle armi e degli amori, contaminata e dilatata all’infinito, e corrode e capovolge con la follia le virtù e i valori che istituiscono Orlando, difensore della fede, e ribaltano lo statuto di gentilezza, di cortesia, di regalità di Angelica che sposa l’umile fante Medoro e scompare dalla scena del poema “riversa in sul sabbione”. L’idea della pazzia come condizione del vivere umano è, infatti, nel “Furioso”, occasione di un discorso morale e critico sulla vita e i suoi sogni, sulla realtà e l’apparenza, sul vero e sul falso, e sulla storia, sul potere, sulla poesia cortigiana e su quella garantita dalla libertà dello spirito, sinceramente aderente al progetto del principe, sul potere della parola che istituisce e legittima l’immagine del dominio politico. È riflessione anche sulla poesia del poema, finzione mirabilmente organizzata, piacere che fonda moralità e civiltà.
Dentro il Sileno
ZANDRINO, Barbara
1988-01-01
Abstract
Saggio sull’“Orlando furioso” (1532). La ricerca affronta la questione, al centro del poema ariostesco, della pazzia come condizione dell’esistenza umana e immanente alla ragione, della scoperta che, come il Sileno di Alcibiade, più volte citato da Erasmo, tutte le cose umane hanno due facce. Rileva che nella degradazione politica, sociale, economica dell’Italia del primo Cinquecento, nella constatazione che il mondo splendido dell’idillio (della nobiltà di sangue e di anima, della cortesia e del valore, della forza fisica) del poema boiardesco non è più possibile, lo stato della storia e della parola permettono solo parodia, ironia, satira, cioè negazione, antifrasi, capovolgimento, oppure nostalgia per ciò che non è più e non sarà mai più. Nel saggio, l’idea che la follia domina la terra ed è reversibile con la ragione, esemplificata nel poema in primo luogo da Orlando che perde e riacquista la ragione, fonda un progetto di poetica che sperimenta fino al rovesciamento parodico la materia umanistica e popolare, latina e gotica delle armi e degli amori, contaminata e dilatata all’infinito, e corrode e capovolge con la follia le virtù e i valori che istituiscono Orlando, difensore della fede, e ribaltano lo statuto di gentilezza, di cortesia, di regalità di Angelica che sposa l’umile fante Medoro e scompare dalla scena del poema “riversa in sul sabbione”. L’idea della pazzia come condizione del vivere umano è, infatti, nel “Furioso”, occasione di un discorso morale e critico sulla vita e i suoi sogni, sulla realtà e l’apparenza, sul vero e sul falso, e sulla storia, sul potere, sulla poesia cortigiana e su quella garantita dalla libertà dello spirito, sinceramente aderente al progetto del principe, sul potere della parola che istituisce e legittima l’immagine del dominio politico. È riflessione anche sulla poesia del poema, finzione mirabilmente organizzata, piacere che fonda moralità e civiltà.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.