Non colpisce che un letterato vissuto a cavallo tra Sette- e Ottocento veda in Orazio il suo poeta latino preferito, né che un ebreo convertito ed ex-Abate continui a respirare una cultura fatta di formule e di allusioni al Vecchio Testamento. Colpisce invece il lettore la quasi assoluta mancanza di riferimenti al teatro latino, sia quello comico arcaico sia quello tragico di Seneca, per non parlare dei classici greci del V sec. a.C., nelle Memorie di uno dei massimi autori – se non del massimo autore – del teatro in musica dell’epoca. Giungere alla conclusione che tali testi, sicuramente non tra le prime letture nei seminari veneti del Settecento, non facessero parte del bagaglio culturale di Da Ponte e che l’apprendistato di librettista e di commediografo e tragediografo in proprio sia avvenuto in primo luogo su testi a lui contemporanei o di poco anteriori , con un rapporto di seconda mano con le fonti classiche, è a tutta prima lecito. A distogliermi dall’aderire a questo partito stanno le ricerche di Questa e Raffaelli, che hanno mostrato, almeno nel Don Giovanni e nelle Nozze, reminiscenze e allusioni plautine, che presuppongono letture dirette e meditate degli originali. Può essere stato piuttosto, a mio avviso, un fattore psicologico ad aver generato questa ‘congiura del silenzio’ sugli autori latini di teatro: giunto agli ottant’anni, Da Ponte ripensa alla sua vita e la presenta al lettore con giustificabili omissioni e con voluta enfasi su alcuni elementi del suo carattere e su alcune circostanze ricorrenti . Una di queste è il suo amore per la poesia, che nacque con i classici latini (Orazio e Virgilio, appunto) e che solo dopo si trasferì ai classici italiani, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso in primo luogo. Fu forse per questa sorta di imprinting iniziale che la penna del memorialista non si allontanò dai territori frequentati da adolescente. La lettura del teatro latino venne, certo, ma venne dopo e, almeno a giudicare dalle Memorie, fu confinata nel bagaglio tecnico dell’autore di tragedie, cantate e libretti d’opera e non passò nella memoria poetica che si era formata tra Ceneda e Portogruaro e che, in qualche modo, lì rimase sempre.

Lorenzo Da Ponte e il latino. In margine alle Memorie

MALASPINA, Ermanno
2008-01-01

Abstract

Non colpisce che un letterato vissuto a cavallo tra Sette- e Ottocento veda in Orazio il suo poeta latino preferito, né che un ebreo convertito ed ex-Abate continui a respirare una cultura fatta di formule e di allusioni al Vecchio Testamento. Colpisce invece il lettore la quasi assoluta mancanza di riferimenti al teatro latino, sia quello comico arcaico sia quello tragico di Seneca, per non parlare dei classici greci del V sec. a.C., nelle Memorie di uno dei massimi autori – se non del massimo autore – del teatro in musica dell’epoca. Giungere alla conclusione che tali testi, sicuramente non tra le prime letture nei seminari veneti del Settecento, non facessero parte del bagaglio culturale di Da Ponte e che l’apprendistato di librettista e di commediografo e tragediografo in proprio sia avvenuto in primo luogo su testi a lui contemporanei o di poco anteriori , con un rapporto di seconda mano con le fonti classiche, è a tutta prima lecito. A distogliermi dall’aderire a questo partito stanno le ricerche di Questa e Raffaelli, che hanno mostrato, almeno nel Don Giovanni e nelle Nozze, reminiscenze e allusioni plautine, che presuppongono letture dirette e meditate degli originali. Può essere stato piuttosto, a mio avviso, un fattore psicologico ad aver generato questa ‘congiura del silenzio’ sugli autori latini di teatro: giunto agli ottant’anni, Da Ponte ripensa alla sua vita e la presenta al lettore con giustificabili omissioni e con voluta enfasi su alcuni elementi del suo carattere e su alcune circostanze ricorrenti . Una di queste è il suo amore per la poesia, che nacque con i classici latini (Orazio e Virgilio, appunto) e che solo dopo si trasferì ai classici italiani, Dante, Petrarca, Ariosto e Tasso in primo luogo. Fu forse per questa sorta di imprinting iniziale che la penna del memorialista non si allontanò dai territori frequentati da adolescente. La lettura del teatro latino venne, certo, ma venne dopo e, almeno a giudicare dalle Memorie, fu confinata nel bagaglio tecnico dell’autore di tragedie, cantate e libretti d’opera e non passò nella memoria poetica che si era formata tra Ceneda e Portogruaro e che, in qualche modo, lì rimase sempre.
2008
Amicitiae templa serena. Studi in onore di G. ARICÒ
Vita e Pensiero
II
951
967
9788834313978
Da Ponte Lorenzo; Memoirs; Libretto; Mozart Wolfgang Amadeus; Ceneda; Italian Settecento; Bible
Ermanno Malaspina
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