IL RILIEVO DELL’ORIGINAL INTENT NELL’INTERPRETAZIONE DELL’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA Stefania Ninatti Nel presente lavoro si è scelto di mettere alla prova il tema dell’utilizzo dei lavori preparatori all’interno della giurisprudenza costituzionale in un ambito che si scontra inevitabilmente con una delle parti più delicate e, forse, controverse della storia d’Italia, quale l’ordine dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica. Tale contesto mi sembrava potere rappresentare un buon punto di vista per evidenziare il peso che l’argomento storico – ancora genericamente inteso – può assumere nel periodare dei giudici costituzionali. Scorrendo l’analisi compiuta sull’utilizzo dei lavori preparatori in materia di rapporti fra Stato e Chiesa, emerge con chiarezza che tale ordine di motivazioni è quantitativamente minoritaria: tutto sommato, considerando l’ampio spettro di decisioni che ha coinvolto l’interpretazione dell’art. 7 Cost. davanti alla Corte, non sono molte le sentenze che si sono confrontate con questo genere di argomentazione. E, tuttavia, quando il giudice costituzionale ha scelto di servirsi dell’intenzione del legislatore per definire il quadro dei rapporti Stato – Chiesa, lo ha fatto in maniera forte, la motivazione storica, basata sulla lettura di lavori preparatori, ha spesso assunto un ruolo di primo piano che solo in rarissimi casi può essere confinata nell’ambito delle argomentazioni ad adiuvandum. E’ interessante anche notare che tale criterio interpretativo è stato invocato principalmente per leggere la normativa ordinaria civile e penale e, poi, attraverso la lente della legislazione si è misurato anche con il significato dell’art. 7 Cost. I richiami all’original intent direttamente del legislatore costituente sono stati più sporadici e, anche, meno precisi. Ma quest’osservazione è anche, in parte spiegabile con la genesi stessa dell’art. 7 Cost. E’ stato infatti detto che questa architettura assolutamente originale – fondata sui pilastri della libertà religiosa istituzionale, dell’autonomia degli ordinamenti e del principio pattizio –, sebbene chiara nella sua opzione di fondo, ha lasciato fin dal momento della sua formulazione aperte molte domande che si ripropongono nel tempo, sotto le più svariate spoglie, nelle aule dei tribunali fino ad arrivare in Corte costituzionale. E, in un certo senso, alla Corte viene spesso chiesto di fare quanto i costituenti avevano volutamente evitato di fare, cioè chiarire nel dettaglio tecnico come conciliare alcune norme dei Patti con le nuove norme costituzionali, rispettando tutte le sfumature dell’art. 7. Come vedremo, da tale contesto, nasce una corrispettiva cautela da parte della Corte costituzionale, almeno fino al momento in cui il legislatore non interviene a modificare il contenuto dei Patti, quasi fosse una political question. La consapevolezza del costituente nel disciplinare la specialità del regime Concordatario, viene dunque ampiamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte costituzionale: che l’intento generale del legislatore costituente fosse di riconoscere un regime specifico per l’ordinamento della Chiesa è l’assunto di partenza di ogni indagine interpretativa della Corte. Si potrà, poi, procedere a limitate e molto specifiche limature della normativa, ma sempre in attesa di una riforma del legislatore. La Corte, dunque, si mostra molto attenta a non superare questi limiti, dettati innanzitutto da stringenti ragioni politiche, e nello stesso tempo si fa guidare da quella che era l’impostazione di fondo dettata dall’approvazione dell’art. 7 Cost, cioè la scelta di riconoscere la specialità dell’ordinamento della Chiesa all’interno del sistema giuridico italiano
Il rilievo dell’original intent nell’interpretazione dell’art. 7 della Costituzione italiana
NINATTI, STEFANIA
2008-01-01
Abstract
IL RILIEVO DELL’ORIGINAL INTENT NELL’INTERPRETAZIONE DELL’ART. 7 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA Stefania Ninatti Nel presente lavoro si è scelto di mettere alla prova il tema dell’utilizzo dei lavori preparatori all’interno della giurisprudenza costituzionale in un ambito che si scontra inevitabilmente con una delle parti più delicate e, forse, controverse della storia d’Italia, quale l’ordine dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica. Tale contesto mi sembrava potere rappresentare un buon punto di vista per evidenziare il peso che l’argomento storico – ancora genericamente inteso – può assumere nel periodare dei giudici costituzionali. Scorrendo l’analisi compiuta sull’utilizzo dei lavori preparatori in materia di rapporti fra Stato e Chiesa, emerge con chiarezza che tale ordine di motivazioni è quantitativamente minoritaria: tutto sommato, considerando l’ampio spettro di decisioni che ha coinvolto l’interpretazione dell’art. 7 Cost. davanti alla Corte, non sono molte le sentenze che si sono confrontate con questo genere di argomentazione. E, tuttavia, quando il giudice costituzionale ha scelto di servirsi dell’intenzione del legislatore per definire il quadro dei rapporti Stato – Chiesa, lo ha fatto in maniera forte, la motivazione storica, basata sulla lettura di lavori preparatori, ha spesso assunto un ruolo di primo piano che solo in rarissimi casi può essere confinata nell’ambito delle argomentazioni ad adiuvandum. E’ interessante anche notare che tale criterio interpretativo è stato invocato principalmente per leggere la normativa ordinaria civile e penale e, poi, attraverso la lente della legislazione si è misurato anche con il significato dell’art. 7 Cost. I richiami all’original intent direttamente del legislatore costituente sono stati più sporadici e, anche, meno precisi. Ma quest’osservazione è anche, in parte spiegabile con la genesi stessa dell’art. 7 Cost. E’ stato infatti detto che questa architettura assolutamente originale – fondata sui pilastri della libertà religiosa istituzionale, dell’autonomia degli ordinamenti e del principio pattizio –, sebbene chiara nella sua opzione di fondo, ha lasciato fin dal momento della sua formulazione aperte molte domande che si ripropongono nel tempo, sotto le più svariate spoglie, nelle aule dei tribunali fino ad arrivare in Corte costituzionale. E, in un certo senso, alla Corte viene spesso chiesto di fare quanto i costituenti avevano volutamente evitato di fare, cioè chiarire nel dettaglio tecnico come conciliare alcune norme dei Patti con le nuove norme costituzionali, rispettando tutte le sfumature dell’art. 7. Come vedremo, da tale contesto, nasce una corrispettiva cautela da parte della Corte costituzionale, almeno fino al momento in cui il legislatore non interviene a modificare il contenuto dei Patti, quasi fosse una political question. La consapevolezza del costituente nel disciplinare la specialità del regime Concordatario, viene dunque ampiamente riconosciuta nella giurisprudenza della Corte costituzionale: che l’intento generale del legislatore costituente fosse di riconoscere un regime specifico per l’ordinamento della Chiesa è l’assunto di partenza di ogni indagine interpretativa della Corte. Si potrà, poi, procedere a limitate e molto specifiche limature della normativa, ma sempre in attesa di una riforma del legislatore. La Corte, dunque, si mostra molto attenta a non superare questi limiti, dettati innanzitutto da stringenti ragioni politiche, e nello stesso tempo si fa guidare da quella che era l’impostazione di fondo dettata dall’approvazione dell’art. 7 Cost, cioè la scelta di riconoscere la specialità dell’ordinamento della Chiesa all’interno del sistema giuridico italianoI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.