L’art. 6 del codice della proprietà industriale, nel prendere in considerazione la comunione di diritti di proprietà industriale, si limita a fare rinvio alle norme del codice civile in tema di comunione, in quanto compatibili. Tuttavia, la disciplina del codice civile è stata pensata con esclusivo riferimento ai beni materiali. Ciò determina non pochi problemi interpretativi, anche in considerazione dell’ampio risalto che la comunione di diritti di proprietà industriale ha assunto negli ultimi anni, soprattutto con riferimento alla comunione di brevetto: sia sufficiente pensare ai rapporti tra Università ed impresa privata e alla necessità di regolare le modalità di intitolazione e di sfruttamento delle privative derivanti da simili collaborazioni. A differenza dei beni materiali, che si prestano per lo più ad un utilizzo turnario, quelli immateriali possono essere tendenzialmente oggetto di uno sfruttamento plurimo, indipendente e contemporaneo in tutta la loro pienezza. Già solo ciò giustificherebbe la diversa attenzione che molti ordinamenti stranieri hanno riservato alla fattispecie, con la delineazione di una disciplina specifica. Il legislatore italiano, invece, ha optato per una una differente situazione di comodo che non solo gli ha evitato la necessità di prendere in considerazione le particolarità della fattispecie, ma che lo ha portato ad accomunare tutti i diritti di proprietà industriale nella medesima soluzione. È invece di tutta evidenza che le problematiche relative alla comunione di marchio possono essere molto differenti rispetto a quelle relative alla comunione di brevetto, tanto per rimanere ai casi più importanti. Così, già solo con riferimento alla questione della possibilità di sfruttamento diretto del bene comune da parte di ciascun contitolare nell’ambito della propria attività di impresa, nel caso della comunione di marchio sussistono esigenze di tutela dell’affidamento dei consumatori a non essere sviati dalla possibilità che prodotti recanti il medesimo marchio, ma provenienti da imprese differenti, presentino differenze qualitative rilevanti: tali esigenze non esistono invece nel caso della comunione di brevetto, dove invece dovrebbero essere ritenute maggiormente meritevoli di attenzione esigenze di promozione della concorrenza tra le imprese contitolari. Il discorso potrebbe invece essere impostato diversamente con riferimento allo sfruttamento negoziale del diritto comune. Tutto concorre tuttavia ad evidenziare l’opportunità che i contitolari regolino i rapporti tra loro nel modo più dettagliato possibile, anche con riguardo al possibile scioglimento della comunione.
Commento all'art. 6 del codice della proprietà industriale
GANDIN, Roberto
2005-01-01
Abstract
L’art. 6 del codice della proprietà industriale, nel prendere in considerazione la comunione di diritti di proprietà industriale, si limita a fare rinvio alle norme del codice civile in tema di comunione, in quanto compatibili. Tuttavia, la disciplina del codice civile è stata pensata con esclusivo riferimento ai beni materiali. Ciò determina non pochi problemi interpretativi, anche in considerazione dell’ampio risalto che la comunione di diritti di proprietà industriale ha assunto negli ultimi anni, soprattutto con riferimento alla comunione di brevetto: sia sufficiente pensare ai rapporti tra Università ed impresa privata e alla necessità di regolare le modalità di intitolazione e di sfruttamento delle privative derivanti da simili collaborazioni. A differenza dei beni materiali, che si prestano per lo più ad un utilizzo turnario, quelli immateriali possono essere tendenzialmente oggetto di uno sfruttamento plurimo, indipendente e contemporaneo in tutta la loro pienezza. Già solo ciò giustificherebbe la diversa attenzione che molti ordinamenti stranieri hanno riservato alla fattispecie, con la delineazione di una disciplina specifica. Il legislatore italiano, invece, ha optato per una una differente situazione di comodo che non solo gli ha evitato la necessità di prendere in considerazione le particolarità della fattispecie, ma che lo ha portato ad accomunare tutti i diritti di proprietà industriale nella medesima soluzione. È invece di tutta evidenza che le problematiche relative alla comunione di marchio possono essere molto differenti rispetto a quelle relative alla comunione di brevetto, tanto per rimanere ai casi più importanti. Così, già solo con riferimento alla questione della possibilità di sfruttamento diretto del bene comune da parte di ciascun contitolare nell’ambito della propria attività di impresa, nel caso della comunione di marchio sussistono esigenze di tutela dell’affidamento dei consumatori a non essere sviati dalla possibilità che prodotti recanti il medesimo marchio, ma provenienti da imprese differenti, presentino differenze qualitative rilevanti: tali esigenze non esistono invece nel caso della comunione di brevetto, dove invece dovrebbero essere ritenute maggiormente meritevoli di attenzione esigenze di promozione della concorrenza tra le imprese contitolari. Il discorso potrebbe invece essere impostato diversamente con riferimento allo sfruttamento negoziale del diritto comune. Tutto concorre tuttavia ad evidenziare l’opportunità che i contitolari regolino i rapporti tra loro nel modo più dettagliato possibile, anche con riguardo al possibile scioglimento della comunione.File | Dimensione | Formato | |
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