La monografia, nell’intento di offrire un’analisi dell’azione civile da reato che da un lato affronti i più significativi problemi interpretativi, dall’altro fornisca lo spunto per considerazioni di sistema, anche in una prospettiva de iure condendo, utilizza quale "chiave di lettura" i principi costituzionali. Tali principi vengono in considerazione dapprima quali criteri di orientamento nella scelta fra i diversi "modelli" di azione civile da reato e peculiarmente fra il modello del "cumulo" e quello della "separazione". A questo proposito, nel primo capitolo del lavoro ci si chiede se l’actio risarcitoria all’interno del processo penale sia costituzionalmente compatibile - quesito a cui si risponde positivamente, criticando l’orientamento che ravvisa nel regime del cumulo un insanabile contrasto coi principi del giusto processo ex art. 111 Cost. -, e poi se la Costituzione si limiti a consentire, o addirittura imponga, l’esperibilità dell’azione de damno nella sede penale. Sotto quest’ultimo profilo, particolare attenzione è dedicata al rapporto di mezzo a fine tra la costituzione di parte civile e la garanzia del diritto di azione ex art. 24 comma 1 Cost. Pur convenendosi con la Corte costituzionale sul fatto che l’esercizio dell’azione civile in sede penale sia sì una modalità di tutela del predetto diritto, ma non imprescindibile - a soddisfare la garanzia costituzionale bastando che il danneggiato da reato possa adire un giudice, non necessariamente quello penale -, si arriva a conclusioni in parte diverse quanto alla tutela della pretesa risarcitoria del danneggiato che sia anche vittima del reato: per costui, infatti, la facoltà di agire in sede penale - dove potrà contare sui poteri di investigazione e prova del pubblico ministero, nonchè, ove previsti dalla legge, sui poteri istruttori del giudice - rappresenta una garanzia di "maggiore effettività" del diritto di azione, giacchè permette, in conformità al principio di uguaglianza "sostanziale" ex art. 3 comma 2 Cost., di rimuovere lo squilibrio di fatto in cui la vittima-attore (si pensi, in particolare, alle vittime di reati a forte valenza intimidatoria), potrebbe trovarsi rispetto all’imputato-convenuto se fosse costretta ad agire esclusivamente in sede civile. A favore del riconoscimento al danneggiato-vittima della facoltà di adire il giudice penale depone, inoltre, la peculiare natura della pretesa risarcitoria da reato, nella quale è ravvisabile una componente di tipo penalistico. Nella seconda e nella terza parte del lavoro si scende dal piano dei modelli a quello del sistema vigente - nel quale l’actio risarcitoria può essere proposta, secondo una scelta tendenzialmente libera del danneggiato, sia davanti al giudice civile, sia davanti a quello penale -, allo scopo di verificare come i principi costituzionali debbano incidere sulla discipina dell’azione civile, in una prospettiva tanto “esterna” quanto “interna” al processo penale. Parlando di prospettiva “esterna” si allude al rapporto fra la disciplina processual-civilistica e quella processual-penalistica della medesima azione di danno: nel secondo capitolo del volume si procede, anzitutto, a ricostruire le profonde divergenze fra l’una e l’altra disciplina - in tema, rispettivamente, di proposizione dell’azione, di regime probatorio (con particolare attenzione alla disciplina della testimonianza “di parte”), di chiamata del terzo, di misure cautelari, di provvisoria esecutività della sentenza e di impugnazioni -, per poi verificare se, ed in che limiti, tali divergenze siano ragionevoli a norma di Costituzione, o, in caso contrario, se ne sia possibile una correzione interpretativa. L’operazione è condotta vuoi alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale - per la quale, in sintesi, le disparità di disciplina fra l’actio risarcitoria esperita in sede penale e quella esperita nella sede propria si giustificano per la natura subordinata ed accessoria dell’azione civile rispetto a quella penale, confliggendo però con gli artt. 3 e 24 Cost. allorchè siano gratuite (cioè non assolvano ad alcuna esigenza propria del processo penale) o mortifichino il ruolo di una parte sino a vanificarne, di fatto, il diritto di azione o difesa -, vuoi avendo riguardo all’esigenza, già segnalata, di offrire una maggior tutela, agli effetti dell’art. 3 comma 2 Cost., al danneggiato-vittima. In una prospettiva “interna” al processo penale, nel terzo capitolo si cerca infine di evidenziare le più significative disparità di trattamento fra la parte civile e il responsabile civile da un lato, e le parti necessarie dall’altro, onde chiarire se queste disparità si traducano in una lesione dell’art. 111 comma 2 Cost. o siano giustificate, ancora una volta, dalla subalternità del rapporto processuale civile incardinato in sede penale. Ravvisate le disparità più “critiche” in tema di richiesta di rimessione, di diritto alla prova, di procedimenti speciali, di “partecipazione al processo”, si ricerca una soluzione in via intepretativa, o, laddove ciò non sia possibile, si formula qualche proposta de iure condendo.

Azione civile nel processo penale e principi costituzionali

LAVARINI, Barbara
2009-01-01

Abstract

La monografia, nell’intento di offrire un’analisi dell’azione civile da reato che da un lato affronti i più significativi problemi interpretativi, dall’altro fornisca lo spunto per considerazioni di sistema, anche in una prospettiva de iure condendo, utilizza quale "chiave di lettura" i principi costituzionali. Tali principi vengono in considerazione dapprima quali criteri di orientamento nella scelta fra i diversi "modelli" di azione civile da reato e peculiarmente fra il modello del "cumulo" e quello della "separazione". A questo proposito, nel primo capitolo del lavoro ci si chiede se l’actio risarcitoria all’interno del processo penale sia costituzionalmente compatibile - quesito a cui si risponde positivamente, criticando l’orientamento che ravvisa nel regime del cumulo un insanabile contrasto coi principi del giusto processo ex art. 111 Cost. -, e poi se la Costituzione si limiti a consentire, o addirittura imponga, l’esperibilità dell’azione de damno nella sede penale. Sotto quest’ultimo profilo, particolare attenzione è dedicata al rapporto di mezzo a fine tra la costituzione di parte civile e la garanzia del diritto di azione ex art. 24 comma 1 Cost. Pur convenendosi con la Corte costituzionale sul fatto che l’esercizio dell’azione civile in sede penale sia sì una modalità di tutela del predetto diritto, ma non imprescindibile - a soddisfare la garanzia costituzionale bastando che il danneggiato da reato possa adire un giudice, non necessariamente quello penale -, si arriva a conclusioni in parte diverse quanto alla tutela della pretesa risarcitoria del danneggiato che sia anche vittima del reato: per costui, infatti, la facoltà di agire in sede penale - dove potrà contare sui poteri di investigazione e prova del pubblico ministero, nonchè, ove previsti dalla legge, sui poteri istruttori del giudice - rappresenta una garanzia di "maggiore effettività" del diritto di azione, giacchè permette, in conformità al principio di uguaglianza "sostanziale" ex art. 3 comma 2 Cost., di rimuovere lo squilibrio di fatto in cui la vittima-attore (si pensi, in particolare, alle vittime di reati a forte valenza intimidatoria), potrebbe trovarsi rispetto all’imputato-convenuto se fosse costretta ad agire esclusivamente in sede civile. A favore del riconoscimento al danneggiato-vittima della facoltà di adire il giudice penale depone, inoltre, la peculiare natura della pretesa risarcitoria da reato, nella quale è ravvisabile una componente di tipo penalistico. Nella seconda e nella terza parte del lavoro si scende dal piano dei modelli a quello del sistema vigente - nel quale l’actio risarcitoria può essere proposta, secondo una scelta tendenzialmente libera del danneggiato, sia davanti al giudice civile, sia davanti a quello penale -, allo scopo di verificare come i principi costituzionali debbano incidere sulla discipina dell’azione civile, in una prospettiva tanto “esterna” quanto “interna” al processo penale. Parlando di prospettiva “esterna” si allude al rapporto fra la disciplina processual-civilistica e quella processual-penalistica della medesima azione di danno: nel secondo capitolo del volume si procede, anzitutto, a ricostruire le profonde divergenze fra l’una e l’altra disciplina - in tema, rispettivamente, di proposizione dell’azione, di regime probatorio (con particolare attenzione alla disciplina della testimonianza “di parte”), di chiamata del terzo, di misure cautelari, di provvisoria esecutività della sentenza e di impugnazioni -, per poi verificare se, ed in che limiti, tali divergenze siano ragionevoli a norma di Costituzione, o, in caso contrario, se ne sia possibile una correzione interpretativa. L’operazione è condotta vuoi alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale - per la quale, in sintesi, le disparità di disciplina fra l’actio risarcitoria esperita in sede penale e quella esperita nella sede propria si giustificano per la natura subordinata ed accessoria dell’azione civile rispetto a quella penale, confliggendo però con gli artt. 3 e 24 Cost. allorchè siano gratuite (cioè non assolvano ad alcuna esigenza propria del processo penale) o mortifichino il ruolo di una parte sino a vanificarne, di fatto, il diritto di azione o difesa -, vuoi avendo riguardo all’esigenza, già segnalata, di offrire una maggior tutela, agli effetti dell’art. 3 comma 2 Cost., al danneggiato-vittima. In una prospettiva “interna” al processo penale, nel terzo capitolo si cerca infine di evidenziare le più significative disparità di trattamento fra la parte civile e il responsabile civile da un lato, e le parti necessarie dall’altro, onde chiarire se queste disparità si traducano in una lesione dell’art. 111 comma 2 Cost. o siano giustificate, ancora una volta, dalla subalternità del rapporto processuale civile incardinato in sede penale. Ravvisate le disparità più “critiche” in tema di richiesta di rimessione, di diritto alla prova, di procedimenti speciali, di “partecipazione al processo”, si ricerca una soluzione in via intepretativa, o, laddove ciò non sia possibile, si formula qualche proposta de iure condendo.
2009
G. Giappichelli Editore
1
213
9788834896273
Processo penale; azione civile; parte civile.
B. LAVARINI
File in questo prodotto:
Non ci sono file associati a questo prodotto.

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/63987
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact