Dall’arcaica sacertà consuetudinaria alla sacertà politica protorepubblicana. Rifiutando la diffusa tenenza a leggere le fonti antiche in tema di sacertà come descriventi nel loro complesso un istituto unitario e privo di sostanziali mutamenti di struttura nella sua evoluzione storica, lo studio esamina innanzitutto il diverso grado di affidabilità delle testimonianze antiche su tale tema, mostrando le incongruità presentate in particolare da Dionigi di Alicarnasso e la sua tendenza ad interpretare tale istituto secondo prospettive giuridiche di stampo greco, e riconosce invece maggiore attendibilità soprattutto ai passi recati dal De Verborum Significatione di Festo, sottilineando soprattutto come in questi, per quanto riguarda le ipotesi più antiche e religiose di sacertà, non si parli ancora di liceità di uccisione dell’homo sacer: per tal verso, rifacendosi alla figura dell’impius di età storica, ostracizzato dalla comunità dei cives ed affidato alla vendetta divina, si interpreta la sacertà originaria in termini di empietà e quindi come figura di per sé escludente ogni intervento sanzionatorio umano, da vedere anzi come offesa agli dei e alla loro “giurisdizione” esclusiva in materia, e si spiegano così le origini della non punibilità di chi uccida l’homo sacer come coinvolgimento anche del suo stesso assassino nella sfera sacra cui esso appartiene e dunque come prudenziale rifiuto del diritto umano di mischiarsi, punendo come omicida chi ne ha cagionato la morte, in una questione che riguarda esclusivamente la divinità; diversa sarebbe invece, come varie fonti se rettamente interpretate testimoniano, la più recente sacertà di tipo politico, che si ritrova nell’adfectatio regni e nell’attentato alla inviolabilità del tribuno della plebe, fattispecie che si fondano su di un giuramento collettivo circa il mantenimento della forma repubblicana e dell’assetto patrizio-plebeo dello Stato e che renderebbero Roma in quanto tale spergiura ed esposta alla vendetta divina qualora tali impegni non venissero rispettati, così da rendere lecita ad ognuno, per evitare tali esiziali conseguenze, l’uccisione di chi viola in tal senso l’assetto costituzionale della civitas.
Dall’arcaica sacertà consuetudinaria alla sacertà politica protorepubblicana
ZUCCOTTI, Ferdinando
2009-01-01
Abstract
Dall’arcaica sacertà consuetudinaria alla sacertà politica protorepubblicana. Rifiutando la diffusa tenenza a leggere le fonti antiche in tema di sacertà come descriventi nel loro complesso un istituto unitario e privo di sostanziali mutamenti di struttura nella sua evoluzione storica, lo studio esamina innanzitutto il diverso grado di affidabilità delle testimonianze antiche su tale tema, mostrando le incongruità presentate in particolare da Dionigi di Alicarnasso e la sua tendenza ad interpretare tale istituto secondo prospettive giuridiche di stampo greco, e riconosce invece maggiore attendibilità soprattutto ai passi recati dal De Verborum Significatione di Festo, sottilineando soprattutto come in questi, per quanto riguarda le ipotesi più antiche e religiose di sacertà, non si parli ancora di liceità di uccisione dell’homo sacer: per tal verso, rifacendosi alla figura dell’impius di età storica, ostracizzato dalla comunità dei cives ed affidato alla vendetta divina, si interpreta la sacertà originaria in termini di empietà e quindi come figura di per sé escludente ogni intervento sanzionatorio umano, da vedere anzi come offesa agli dei e alla loro “giurisdizione” esclusiva in materia, e si spiegano così le origini della non punibilità di chi uccida l’homo sacer come coinvolgimento anche del suo stesso assassino nella sfera sacra cui esso appartiene e dunque come prudenziale rifiuto del diritto umano di mischiarsi, punendo come omicida chi ne ha cagionato la morte, in una questione che riguarda esclusivamente la divinità; diversa sarebbe invece, come varie fonti se rettamente interpretate testimoniano, la più recente sacertà di tipo politico, che si ritrova nell’adfectatio regni e nell’attentato alla inviolabilità del tribuno della plebe, fattispecie che si fondano su di un giuramento collettivo circa il mantenimento della forma repubblicana e dell’assetto patrizio-plebeo dello Stato e che renderebbero Roma in quanto tale spergiura ed esposta alla vendetta divina qualora tali impegni non venissero rispettati, così da rendere lecita ad ognuno, per evitare tali esiziali conseguenze, l’uccisione di chi viola in tal senso l’assetto costituzionale della civitas.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.