La monografia nella sua interezza vuole indagare la funzione importante del volontario nel sostegno emotivo dei bambini malati, in particolare di malattie potenzialmente fatali come i tumori. L’impegno del volontario è complesso, poiché esige una preparazione che tenga conto delle caratteristiche delle malattie tumorali e dell’impatto fisico ed emotivo della malattia sul bambino. Il volontario, in alleanza con gli operatori che curano e assistono il bambino malato da un punto di vista medico-terapeutico, diventa una presenza fondamentale. In questo capitolo si analizza il ruolo del volontario nell’assistenza al bambino malato di tumore e alla famiglia. L’opera del volontario può inserirsi in modo proficuo nel contesto dell’équipe allargata di cura, all’interno della quale egli garantisce gratuitamente il contributo di una presenza non professionalizzata, a specificità “umanitaria”; non dovendo svolgere mansioni particolari, si propone come persona sensibile e desiderosa di offrire una partecipazione civile e sociale, impegnandosi a favore di chi sta vivendo una situazione di debolezza e di sofferenza. L’atteggiamento del volontario, quindi, oltre ad essere caratterizzato da interesse e rispetto, dovrebbe testimoniare l’impegno a rendere concreti alcuni valori della società civile, tra cui innanzi tutto la solidarietà, che diventa un suo obiettivo prioritario, pur rappresentando un elemento fondamentale nel lavoro di tutti gli operatori socio-sanitari. La figura del volontario richiama proprio la necessità dell’umanizzazione dell’intervento sanitario e con la sua stessa presenza attesta quanto sia preziosa la partecipazione umana. Il grado di coinvolgimento emotivo è elevato, se il volontario riesce a conservare un atteggiamento orientato all’ascolto e alla condivisione, del resto indispensabile per offrire un’esperienza di compagnia, così preziosa rispetto al vissuto emergente di isolamento e di esclusione, particolarmente intenso nelle patologie oncologiche. In campo pediatrico l’interazione assume una particolare complessità in quanto nell’incontro con il bambino/ragazzo malato in ospedale si avvia una conoscenza della famiglia, che diventa spesso molto intima sia in rapporto alla durata e/o all’intensità delle cure (che comporta numerose occasioni di contatto) sia in rapporto alla situazione di crisi contingente (che facilita l’emergenza delle fragilità attuali e delle precedenti esperienze negative e allo stesso tempo accelera in molti casi l’approfondimento degli scambi comunicativi). Il mantenimento da parte del volontario di un apporto vitale, positivo, equilibrato ed armonizzato il più possibile con gli interventi degli operatori non è mai semplice, ma in molti momenti non risulta possibile, con ripercussioni sfavorevoli sia sulla corretta gestione dei casi sia sull’esperienza personale del volontario stesso. La delicatezza del compito di assistenza in pediatria oncologica richiede di ipotizzare nel reclutamento dei volontari procedure di selezione e di formazione di base, preliminari all’inizio dell’attività, basate su criteri oggettivi (età compresa tra 20 e 60 anni, avvenuta elaborazione di eventuali lutti, non adesione a pratiche terapeutiche alternative) e soggettivi (riflessione su motivazioni e aspettative, esperienza personale durante il corso introduttivo). Per quanto riguarda le motivazioni, e frequente nei volontari oncologici la presenza di personali esperienze di perdita, spesso determinate da malattie tumorali. Non è possibile al riguardo semplicemente considerare la vicenda individuale come la miglior premessa e/o garanzia di un adeguato operato, perché talora (ogni volta che non è stata adeguatamente superata) essa condiziona pesantemente l’ottica del volontario e gli impedisce di fatto di guardare ai casi seguiti per come essi davvero a mano a mano si presentano. Gli assistiti si ritrovano così “costretti” a ricevere attribuzioni di ruoli e sentimenti e non vengono incontrati, né tanto meno riconosciuti, nel loro bisogno e nelle loro potenzialità attuali. Per quanto riguarda le aspettative, si osserva spesso una sopravvalutazione della possibilità di portare aiuto, che talora può arrivare fino a vere e proprie attese salvifiche, ma spesso non consente di individuare (e tanto meno di valorizzare) il percorso più realistico di intervento effettivamente praticabile, accettandone il limite. Nella formazione introduttiva è importante offrire una prima possibilità di confronto mediato con il contesto reale e la complessità emotivo-relazionale dell’attività di volontariato in pediatria oncologica; mentre nella formazione permanente si offrono percorsi di affinamento delle competenze in termini di conoscenza, capacità, abilità e attitudini.

Il ruolo del volontario nell'assistenza al bambino malato di tumore e alla famiglia

MASSAGLIA, Pia
2010-01-01

Abstract

La monografia nella sua interezza vuole indagare la funzione importante del volontario nel sostegno emotivo dei bambini malati, in particolare di malattie potenzialmente fatali come i tumori. L’impegno del volontario è complesso, poiché esige una preparazione che tenga conto delle caratteristiche delle malattie tumorali e dell’impatto fisico ed emotivo della malattia sul bambino. Il volontario, in alleanza con gli operatori che curano e assistono il bambino malato da un punto di vista medico-terapeutico, diventa una presenza fondamentale. In questo capitolo si analizza il ruolo del volontario nell’assistenza al bambino malato di tumore e alla famiglia. L’opera del volontario può inserirsi in modo proficuo nel contesto dell’équipe allargata di cura, all’interno della quale egli garantisce gratuitamente il contributo di una presenza non professionalizzata, a specificità “umanitaria”; non dovendo svolgere mansioni particolari, si propone come persona sensibile e desiderosa di offrire una partecipazione civile e sociale, impegnandosi a favore di chi sta vivendo una situazione di debolezza e di sofferenza. L’atteggiamento del volontario, quindi, oltre ad essere caratterizzato da interesse e rispetto, dovrebbe testimoniare l’impegno a rendere concreti alcuni valori della società civile, tra cui innanzi tutto la solidarietà, che diventa un suo obiettivo prioritario, pur rappresentando un elemento fondamentale nel lavoro di tutti gli operatori socio-sanitari. La figura del volontario richiama proprio la necessità dell’umanizzazione dell’intervento sanitario e con la sua stessa presenza attesta quanto sia preziosa la partecipazione umana. Il grado di coinvolgimento emotivo è elevato, se il volontario riesce a conservare un atteggiamento orientato all’ascolto e alla condivisione, del resto indispensabile per offrire un’esperienza di compagnia, così preziosa rispetto al vissuto emergente di isolamento e di esclusione, particolarmente intenso nelle patologie oncologiche. In campo pediatrico l’interazione assume una particolare complessità in quanto nell’incontro con il bambino/ragazzo malato in ospedale si avvia una conoscenza della famiglia, che diventa spesso molto intima sia in rapporto alla durata e/o all’intensità delle cure (che comporta numerose occasioni di contatto) sia in rapporto alla situazione di crisi contingente (che facilita l’emergenza delle fragilità attuali e delle precedenti esperienze negative e allo stesso tempo accelera in molti casi l’approfondimento degli scambi comunicativi). Il mantenimento da parte del volontario di un apporto vitale, positivo, equilibrato ed armonizzato il più possibile con gli interventi degli operatori non è mai semplice, ma in molti momenti non risulta possibile, con ripercussioni sfavorevoli sia sulla corretta gestione dei casi sia sull’esperienza personale del volontario stesso. La delicatezza del compito di assistenza in pediatria oncologica richiede di ipotizzare nel reclutamento dei volontari procedure di selezione e di formazione di base, preliminari all’inizio dell’attività, basate su criteri oggettivi (età compresa tra 20 e 60 anni, avvenuta elaborazione di eventuali lutti, non adesione a pratiche terapeutiche alternative) e soggettivi (riflessione su motivazioni e aspettative, esperienza personale durante il corso introduttivo). Per quanto riguarda le motivazioni, e frequente nei volontari oncologici la presenza di personali esperienze di perdita, spesso determinate da malattie tumorali. Non è possibile al riguardo semplicemente considerare la vicenda individuale come la miglior premessa e/o garanzia di un adeguato operato, perché talora (ogni volta che non è stata adeguatamente superata) essa condiziona pesantemente l’ottica del volontario e gli impedisce di fatto di guardare ai casi seguiti per come essi davvero a mano a mano si presentano. Gli assistiti si ritrovano così “costretti” a ricevere attribuzioni di ruoli e sentimenti e non vengono incontrati, né tanto meno riconosciuti, nel loro bisogno e nelle loro potenzialità attuali. Per quanto riguarda le aspettative, si osserva spesso una sopravvalutazione della possibilità di portare aiuto, che talora può arrivare fino a vere e proprie attese salvifiche, ma spesso non consente di individuare (e tanto meno di valorizzare) il percorso più realistico di intervento effettivamente praticabile, accettandone il limite. Nella formazione introduttiva è importante offrire una prima possibilità di confronto mediato con il contesto reale e la complessità emotivo-relazionale dell’attività di volontariato in pediatria oncologica; mentre nella formazione permanente si offrono percorsi di affinamento delle competenze in termini di conoscenza, capacità, abilità e attitudini.
2010
L'assistenza ai bambini malati di tumore. Manuale per la formazione dei volontari
Cortina
111
135
9788860303585
Massaglia P
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