Londra, luglio 2010. Per chi ama il teatro, può essere allettante l’idea di trascorrere una mite domenica pomeriggio al King’s Head Theatre (praticamente, il retro di un pub), ad ascoltare un monologo recitato nell’ostica ma musicale parlata scouse di Liverpool. Mentre compro il biglietto al bancone, però, non mancano le perplessità: possibile che neanche qui ci si possa liberare delle nostre ossessioni politiche? Il titolo del monologo scritto da John Graham Davies e diretto da Matt Rutter, infatti, è Beating Berlusconi! – “Battere Berlusconi!” (o anche “Picchiare Berlusconi!”, e il doppio senso non è casuale). Ma non mi sono pentito d’essere entrato, anzi. Di origini irlandesi, operaie e di sinistra, oltre che tifoso dei Reds, il protagonista Kenny Noonan incarna lo spirito della tradizione scouse. Nella primavera del 2005 il Liverpool, dopo molti anni, è di nuovo in finale di Champions League. Si gioca ad Istanbul, contro il Milan. E’ il caso di andare alla partita, visti i debiti e un terzo figlio in arrivo? Mentre cerca il biglietto con tutti questi dubbi, Kenny non si ritrova più nel centro della sua Liverpool, la modernizzata Città della Cultura: “’Sti bastardi hanno buttato giù metà dei negozietti della zona. Il Duca di Westminster ha acquistato un bel boccone di centro cittadino, 920 milioni di sterline. Pensavo di fare un’offerta anch’io, ma poi ho pensato, gli si dovrà pur dare una possibilità, a quel Duca… […] Mi scaldo davvero mentre osservo tutte quelle macerie. E penso, che cazzo ne sanno tutti ‘sti minchioni della nostra cultura? Non la cultura dei progetti d’impresa e dei tassi di produzione. Parlo dell’autentica cultura operaia di Liverpool. Quindi mi sono detto, è ora che qualcuno scriva ‘sta cazzo di storia.” Così comincia un percorso a ritroso nella memoria, e ci si rende subito conto che questo è un racconto di calcio ma anche la storia di una certa Inghilterra a partire dagli anni ’70. Cominciando con la prima finale contro il Borussia, a Roma nel 1977, che Kenny va a vedere in treno col padre, ma anche con l’ascesa di Margaret Thatcher: “A casa c’ho ‘sta cazzutissima scatola di fuochi artificiali. E’ 5 anni che sta in un cassetto, in attesa che quella vacca della Thatcher tiri le cuoia. Sul serio. Mi ricordo com’era, se eri nero o irlandese. E soprattutto se eri di Liverpool. Il nemico interno – come i minatori. E aveva ragione lei, noi eravamo il nemico. E lo so che è un cliché, ma il calcio era un modo per mostrare le due dita.” Ride molto il pubblico durante il monologo, ma si è lontani da quello che noi siamo abituati a definire British humour. Non c’è proprio understatement in questa tradizione britannica di satira popolare, crassa e politicamente scorretta ma allo stesso tempo ben diversa dalla superficialità dei nostri canali televisivi, perché capace di far riflettere su cosa si è diventati. La comicità del testo di Davies possiede una forte dose di spirito critico; l’anima di Liverpool è nota per il suo atteggiamento lamentoso – “barometro del dissenso pubblico nazionale”, come scrive l’autore. E, aggiungerei, con la dote di saper distinguere la sostanza dal fumo dei consulenti globali, che resta uno dei modi più efficaci per affrontare il berlusconismo, se non Berlusconi. Per guarire le aree in rivolta depresse dalla disoccupazione, l’idea dei Conservatori è geniale: un Festival del Giardinaggio: “I media non parlavano d’altro. Heseltine, Ministro per le Aree Urbane, in visita all’orrida Liverpool lacerata dagli scontri. Heseltine, il titillatore del clitoride Tory, risolverà la depressione dei ghetti con uno svolazzo del suo biondo ciuffo. E come? Facile: coi fiori […] simbolo perfetto per il thatcherismo, no? Hai due milioni di persone che vivono col sussidio, così distogli l’attenzione costruendo mucchi di giardini in economia. Solo che nel nostro caso li hanno fatti sulla vecchia discarica cittadina. Sta ancora marcendo, sotto i fiori. Mentre te ne stai tra le rose dei Tory, senti solo puzza di putrido.” Interpretato da un istrionico Paul Duckworth (che si avvale dell’uso di immagini e filmati d’epoca), Kenny non si limita a raccontare, ma ricostruisce i dialoghi recitando tutti i personaggi, come i due compagni di stadio e di strada, il piccolo spacciatore Minty e il gigante buono Moose, musulmano di origini somale. O il padre di Kenny, che non ha il coraggio di guardare i famosi rigori della finale contro la Roma nell’84: “Se ne sta in cucina e la telecronaca cerchiamo di fargliela noi, e Grobelaar fa il suo numero delle gambe molli e urliamo Grobbo fa le gambe molli! e lui Che cacchio dici, gambe molli?!? e arriva di corsa con addosso questi guanti di gomma. E così teso che si è appena messo a pulire il forno. E quando Barney insacca l’ultimo rigore, lui salta per la casa in questi guanti di gomma blu brillante.” Più tardi il calcio, e non solo quello, riserva i suoi brutti momenti: il massacro di tifosi juventini all’Heysel del 1985 e la conseguente campagna diffamatoria della Thatcher (“e il gioco non è mai più stato lo stesso, da allora”: raccontato da un red, merita già da solo il prezzo del biglietto), l’analoga tragedia di Hillsborough dell’88, il divorzio dei genitori di Kenny. Il comico si alterna a un senso del tragico che riesce a commuovere – qui è la cifra della commedia all’italiana che viene subito in mente. Gli anni ’90 sono segnati dall’ottimismo del New Labour di Blair e dal Brit Pop, di fronte a cui Kenny storce ovviamente il naso, e a buon diritto: Moose si è arruolato in Ulster per poi morire in Iraq, mentre l’eterno sballone Minty si è dato una ripulita e gestisce un bar alla moda, dedicandosi allo snowboard: “Lo snowboard?!? Che questo serva da monito a tutti voi, fattoni presenti in sala. Quel che dice il governo è vero. Può cominciare con un innocuo spinello ogni tanto, ma guardate dove si va a finire. Lo snowboard… cazzo.” Così si ritorna alla finale del 2005, Liverpool-Milan, tra il desiderio di rivivere i momenti di gloria del passato e le persone care che non ci sono più. Kenny si ritrova trascinato in questa marea rossa di tifosi, e le parti ambientate ad Istanbul sono tra le più belle del monologo: “Nell’uscire dal mercato, vedo ‘sto manifesto. E’ in turco, ma non c’è bisogno di conoscere la lingua. George Bush è una scimmia che calpesta Bagdad, mentre Blair è un bavoso barboncino. Un po’ ingiusto nei confronti di scimmie e barboncini, ma perché no? Non c’è davvero da stupirsi, la Turchia è un paese musulmano. C’è un sacco di gente incazzata per l’Iraq a Liverpool, immagino che qui gli debba uscire il fumo dalle orecchie.” Alla fine del primo tempo, il Milan vince già tre a zero. Disperato, Kenny è convinto di aver fatto il più grande errore della sua vita e si mette a cercare da bere, perdendosi nello stadio, finché non capita nella zona vip. E qui si arriva finalmente al significato del titolo, e al suo doppio senso: indovinate dove si ritrova casualmente Kenny, e di fianco a chi? “Acchiappo un altro champagnino e ancora un po’ di cibo, e individuo l’unico posto libero. Si trova di fianco a questo tipo di mezz’età dall’aria tronfia, vestito in un completo, lampadato, capelli lisciati all’indietro. Don Corleone. Vado lì, faccio educatamente segno col dito che vorrei sedermi, e il completo si gira a dire qualcosa e tutti ridono. Mi dà un colpetto al ginocchio, condiscendente, indicando il posto libero. Per un attimo mi vien voglia di spaccargli la faccia. […] Ma non lo faccio. Penso alle bollicine, e ai mangiarini, e mi siedo. E l’arbitro fischia l’inizio del secondo tempo.” Non anticipo qui il finale del monologo. Comunque, per chi non lo sapesse, quella partita è diventata famosa per una storica rimonta, e Beating Berlusconi! è non a caso sottotitolato “opera teatrale in due tempi”. Un’opera non ancora pubblicata in Gran Bretagna nonostante una lunga tournée iniziata nel maggio 2009 e ancora in corso (www.beatingberlusconi.com), ma che davvero si dovrebbe tradurre per il pubblico italiano – il quale, dimenticavo, potrebbe anche essere incuriosito dal fatto che questo monologo è basato su una storia vera.
Battere il Caimano, in due tempi. Satira britannica: crassa, popolare e politicamente scorretta
DEANDREA, Pietro
2011-01-01
Abstract
Londra, luglio 2010. Per chi ama il teatro, può essere allettante l’idea di trascorrere una mite domenica pomeriggio al King’s Head Theatre (praticamente, il retro di un pub), ad ascoltare un monologo recitato nell’ostica ma musicale parlata scouse di Liverpool. Mentre compro il biglietto al bancone, però, non mancano le perplessità: possibile che neanche qui ci si possa liberare delle nostre ossessioni politiche? Il titolo del monologo scritto da John Graham Davies e diretto da Matt Rutter, infatti, è Beating Berlusconi! – “Battere Berlusconi!” (o anche “Picchiare Berlusconi!”, e il doppio senso non è casuale). Ma non mi sono pentito d’essere entrato, anzi. Di origini irlandesi, operaie e di sinistra, oltre che tifoso dei Reds, il protagonista Kenny Noonan incarna lo spirito della tradizione scouse. Nella primavera del 2005 il Liverpool, dopo molti anni, è di nuovo in finale di Champions League. Si gioca ad Istanbul, contro il Milan. E’ il caso di andare alla partita, visti i debiti e un terzo figlio in arrivo? Mentre cerca il biglietto con tutti questi dubbi, Kenny non si ritrova più nel centro della sua Liverpool, la modernizzata Città della Cultura: “’Sti bastardi hanno buttato giù metà dei negozietti della zona. Il Duca di Westminster ha acquistato un bel boccone di centro cittadino, 920 milioni di sterline. Pensavo di fare un’offerta anch’io, ma poi ho pensato, gli si dovrà pur dare una possibilità, a quel Duca… […] Mi scaldo davvero mentre osservo tutte quelle macerie. E penso, che cazzo ne sanno tutti ‘sti minchioni della nostra cultura? Non la cultura dei progetti d’impresa e dei tassi di produzione. Parlo dell’autentica cultura operaia di Liverpool. Quindi mi sono detto, è ora che qualcuno scriva ‘sta cazzo di storia.” Così comincia un percorso a ritroso nella memoria, e ci si rende subito conto che questo è un racconto di calcio ma anche la storia di una certa Inghilterra a partire dagli anni ’70. Cominciando con la prima finale contro il Borussia, a Roma nel 1977, che Kenny va a vedere in treno col padre, ma anche con l’ascesa di Margaret Thatcher: “A casa c’ho ‘sta cazzutissima scatola di fuochi artificiali. E’ 5 anni che sta in un cassetto, in attesa che quella vacca della Thatcher tiri le cuoia. Sul serio. Mi ricordo com’era, se eri nero o irlandese. E soprattutto se eri di Liverpool. Il nemico interno – come i minatori. E aveva ragione lei, noi eravamo il nemico. E lo so che è un cliché, ma il calcio era un modo per mostrare le due dita.” Ride molto il pubblico durante il monologo, ma si è lontani da quello che noi siamo abituati a definire British humour. Non c’è proprio understatement in questa tradizione britannica di satira popolare, crassa e politicamente scorretta ma allo stesso tempo ben diversa dalla superficialità dei nostri canali televisivi, perché capace di far riflettere su cosa si è diventati. La comicità del testo di Davies possiede una forte dose di spirito critico; l’anima di Liverpool è nota per il suo atteggiamento lamentoso – “barometro del dissenso pubblico nazionale”, come scrive l’autore. E, aggiungerei, con la dote di saper distinguere la sostanza dal fumo dei consulenti globali, che resta uno dei modi più efficaci per affrontare il berlusconismo, se non Berlusconi. Per guarire le aree in rivolta depresse dalla disoccupazione, l’idea dei Conservatori è geniale: un Festival del Giardinaggio: “I media non parlavano d’altro. Heseltine, Ministro per le Aree Urbane, in visita all’orrida Liverpool lacerata dagli scontri. Heseltine, il titillatore del clitoride Tory, risolverà la depressione dei ghetti con uno svolazzo del suo biondo ciuffo. E come? Facile: coi fiori […] simbolo perfetto per il thatcherismo, no? Hai due milioni di persone che vivono col sussidio, così distogli l’attenzione costruendo mucchi di giardini in economia. Solo che nel nostro caso li hanno fatti sulla vecchia discarica cittadina. Sta ancora marcendo, sotto i fiori. Mentre te ne stai tra le rose dei Tory, senti solo puzza di putrido.” Interpretato da un istrionico Paul Duckworth (che si avvale dell’uso di immagini e filmati d’epoca), Kenny non si limita a raccontare, ma ricostruisce i dialoghi recitando tutti i personaggi, come i due compagni di stadio e di strada, il piccolo spacciatore Minty e il gigante buono Moose, musulmano di origini somale. O il padre di Kenny, che non ha il coraggio di guardare i famosi rigori della finale contro la Roma nell’84: “Se ne sta in cucina e la telecronaca cerchiamo di fargliela noi, e Grobelaar fa il suo numero delle gambe molli e urliamo Grobbo fa le gambe molli! e lui Che cacchio dici, gambe molli?!? e arriva di corsa con addosso questi guanti di gomma. E così teso che si è appena messo a pulire il forno. E quando Barney insacca l’ultimo rigore, lui salta per la casa in questi guanti di gomma blu brillante.” Più tardi il calcio, e non solo quello, riserva i suoi brutti momenti: il massacro di tifosi juventini all’Heysel del 1985 e la conseguente campagna diffamatoria della Thatcher (“e il gioco non è mai più stato lo stesso, da allora”: raccontato da un red, merita già da solo il prezzo del biglietto), l’analoga tragedia di Hillsborough dell’88, il divorzio dei genitori di Kenny. Il comico si alterna a un senso del tragico che riesce a commuovere – qui è la cifra della commedia all’italiana che viene subito in mente. Gli anni ’90 sono segnati dall’ottimismo del New Labour di Blair e dal Brit Pop, di fronte a cui Kenny storce ovviamente il naso, e a buon diritto: Moose si è arruolato in Ulster per poi morire in Iraq, mentre l’eterno sballone Minty si è dato una ripulita e gestisce un bar alla moda, dedicandosi allo snowboard: “Lo snowboard?!? Che questo serva da monito a tutti voi, fattoni presenti in sala. Quel che dice il governo è vero. Può cominciare con un innocuo spinello ogni tanto, ma guardate dove si va a finire. Lo snowboard… cazzo.” Così si ritorna alla finale del 2005, Liverpool-Milan, tra il desiderio di rivivere i momenti di gloria del passato e le persone care che non ci sono più. Kenny si ritrova trascinato in questa marea rossa di tifosi, e le parti ambientate ad Istanbul sono tra le più belle del monologo: “Nell’uscire dal mercato, vedo ‘sto manifesto. E’ in turco, ma non c’è bisogno di conoscere la lingua. George Bush è una scimmia che calpesta Bagdad, mentre Blair è un bavoso barboncino. Un po’ ingiusto nei confronti di scimmie e barboncini, ma perché no? Non c’è davvero da stupirsi, la Turchia è un paese musulmano. C’è un sacco di gente incazzata per l’Iraq a Liverpool, immagino che qui gli debba uscire il fumo dalle orecchie.” Alla fine del primo tempo, il Milan vince già tre a zero. Disperato, Kenny è convinto di aver fatto il più grande errore della sua vita e si mette a cercare da bere, perdendosi nello stadio, finché non capita nella zona vip. E qui si arriva finalmente al significato del titolo, e al suo doppio senso: indovinate dove si ritrova casualmente Kenny, e di fianco a chi? “Acchiappo un altro champagnino e ancora un po’ di cibo, e individuo l’unico posto libero. Si trova di fianco a questo tipo di mezz’età dall’aria tronfia, vestito in un completo, lampadato, capelli lisciati all’indietro. Don Corleone. Vado lì, faccio educatamente segno col dito che vorrei sedermi, e il completo si gira a dire qualcosa e tutti ridono. Mi dà un colpetto al ginocchio, condiscendente, indicando il posto libero. Per un attimo mi vien voglia di spaccargli la faccia. […] Ma non lo faccio. Penso alle bollicine, e ai mangiarini, e mi siedo. E l’arbitro fischia l’inizio del secondo tempo.” Non anticipo qui il finale del monologo. Comunque, per chi non lo sapesse, quella partita è diventata famosa per una storica rimonta, e Beating Berlusconi! è non a caso sottotitolato “opera teatrale in due tempi”. Un’opera non ancora pubblicata in Gran Bretagna nonostante una lunga tournée iniziata nel maggio 2009 e ancora in corso (www.beatingberlusconi.com), ma che davvero si dovrebbe tradurre per il pubblico italiano – il quale, dimenticavo, potrebbe anche essere incuriosito dal fatto che questo monologo è basato su una storia vera.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.