L’articolo mira ad analizzare il peculiare fenomeno di armonizzazione giuridica dell’Ovest Africano, concretatosi nell’ Organisation pour l’Harmonisation en Afrique du droit dels Affaires (OHADA), alla luce dell’esperienza di integrazione europea e delle sue categorie. L’esame prende le mosse dal fenomeno di apertura del contiente africano alle dinamiche e alla logica della globalizzazione: l’incremento del gradiente giuridico è stato perseguito come strumento di maggior dialogo in dimensione transnazionale. Ciò è avvenuto in maniera particolarmente evidente per gli Stati della cosiddetta Zona Franca, che hanno ereditato al momento dell’indipendenza sistemi giuridici fortemente ispirati a quello dell’ex colonizzatore francese. In questo contesto geografico, sociale e culturale, già caratterizzato da tratti comuni, l’ulteriore intento di unificazione e modernizzazione del diritto commerciale, e con esso del diritto tutto connesso con le attività di contenuto economico, ha costituito una priorità finalizzata all’apertura delle economie nazionali agli investitori stranieri. E’ questo, precisamente, il contesto che ha contrassegnato la nascita dell’OHADA, fondata sul Trattato di Port Louis del 17 ottobre 1993. L’articolo fornisce una rapida considerazione della storia e della struttura dell’organizzazione e sulle prospettive di ampliamento della dimensione geografica originaria, che si legano indissolubilmente con la sfida del multilinguismo. Vi è poi l’esame degli obiettivi principali dell’Organizzazione: l’armonizzazione del diritto degli affari negli Stati membri, attraverso l’elaborazione e l’adozione di regole comuni semplici, moderne e adatte alla situazione delle loro economie; la realizzazione di procedure giurisdizionali appropriate; la promozione del ricorso all’arbitrato per la risoluzione delle controversie contrattuali. Il perseguimento di obiettivi tanto ambiziosi richiede strumenti di posizione normativa incisivi ed efficaci. Il fulcro dell’indagine è pertanto quello della asserita prevalenza del diritto uniforme sul diritto interno, anteriore o posteriore, confliggente, ai sensi dell’art. 10 del Trattato OHADA. Sul punto si sono avute importanti prese di posizione dottrinali e interventi chiarificatori della Cour Commune de Justice et d’Arbitrage (CCJA). Dal punto di vista dottrinale, se si è uniformemente riconosciuto al diritto uniforme un qualche effetto di abrogazione del diritto interno, è peraltro rimasta controversa la portata dell’abrogazione stessa. Da un lato, è parso opportuno dare all’abrogazione una dimensione contenuta e, all’esito di una verifica puntuale ed analitica delle disposizioni interne, applicare una logica di stretta incompatibilità che conduce alla abrogazione delle sole disposizioni frontalmente e direttamente incompatibili col diritto uniforme. Con ciò si configurerebbe la possibilità del diritto uniforme di integrare i propri contenuti al diritto interno non incompatibile, e si determinerebbe in molti casi una applicazione promiscua dei due ordinamenti, sovranazionale e nazionale. D’altro lato, una lettura massimalista dell’abrogazione conduce invece a riferire la medesima ad interi blocchi di disciplina interna, aventi il medesimo oggetto della normativa uniforme, postulando peraltro una completezza e una natura autoapplicativa del diritto OHADA che non sempre è agevole riscontrare Fondamentale, nell’analisi, è la presa di posizione della CCJA, in un importante parere reso nel 2001 su richiesta della Costa d’Avorio, che ha inteso allinearsi ad una lettura contenuta dell’effetto abrogativo, affermando la persistente applicabilità delle disposizioni interne non in contrasto con gli Atti Uniformi. Un ulteriore punto di analisi critica ha poi riguardato la sistematica delle competenze della CCJA, e in particolare della disposizione che fa di quest’ultima giudice di ultima istanza investito anche della decisione del merito: una critica trasformazione della CCJA in corte ‘ibrida’, compendiante tratti di corte di cassazione e di giudice del fatto che realizza un sostanziale spossessamento delle Corti nazionali rispetto alla prerogativa di conoscere del fatto e dunque un loro netto indebolimento. Il quadro risultante da queste problematiche rende pertanto piuttosto critica la prospettiva di una fruttuosa interazione fra CCJA e istanze nazionali: questo perché, come si è visto, manca, a partire dalla stessa determinazione del diritto applicabile e della sopravvivenza del diritto nazionale, una chiara delimitazione delle sfere di rispettiva competenza e dunque dei rispettivi ruoli. Il rischio che la proficua interazione lasci il posto alla contrapposizione è pertanto concreto e non migliori prospettive di dialogo sono dischiuse dall’utilizzo della competenza consultiva pregiudiziale della CCJA. La comparazione con il modello di integrazione europea offre all’analisi alcuni importanti spunti. In primo luogo, l’efficacia dello strumento del rinvio pregiudiziale, che ha indiscutibilmente tratto linfa dalla progressiva maturazione di una cooperazione pluridirezionale con le corti nazionali, può fungere da modello per una ricerca di migliore equilibrio da parte del sistema OHADA, ove la strutturazione delle competenze della CCJA si è attestata su equilibri forse troppo ambiziosi, certamente originali ma anche piuttosto ibridi, e soprattutto privi di precisi raccordi, vuoi gerarchici vuoi di coordinamento, con le realtà nazionali. Cosicché l’interpretazione uniforme del diritto OHADA appare veicolata attraverso la combinata operatività di una competenza consultiva poco efficace, e dunque poco praticata, e di una competenza di ultima istanza che compartecipa della natura di giudizio di cassazione e di merito e che per le sue modalità operative rischia di risultare sgradita alle Corti nazionali, quando non alle stesse parti in causa. Emerge dall’indagine come l’eccesso di potere che si è cercato di attribuire alla Corte sovranazionale si sia risolto, per curiosa eterogenesi dei fini, nel rischio di un forte depotenziamento operativo della stessa. Peraltro, le diversità non fanno che riflettere la più generale e profonda peculiarità della realtà OHADA anche rispetto al modello europeo: appare evidente come il tributo di imitazione riguardi aspetti prevalentemente formali, dal momento che manca alla realtà OHADA, al di là del proponnimento di una uniformazione meramente tecnico giuridica del diritto commerciale, la volontà di una vera integrazione economica. Ciò rischia di determinare un pericoloso scollamento fra il piano del diritto ‘transnazionale’ OHADA e il piano applicativo, che resta essenzialmente ed ineludibilmente demandato ai giudici nazionali e, che comporta, giova ricordarlo, la pur sempre delicata gestione del rapporto con le sopravvivenze dei diritti interni. L’analisi conclude con alcune prospettive de iure condendo, volte a superare alcuni dei limiti delineati: si tratta in primo luogo della necessaria chiarificazione delle competenze del diritto OHADA anche in termini di esclusività rispetto alle competenze nazionali: in secondo luogo del potenziamento della competenza consultiva pregiudiziale; in terzo luogo, dell’introduzione del ricorso per cassazione nell’interesse della legge, sottraendo la dinamica nomofilattica ai rischi che derivano dalla relativa disponibilità della materia ad opera della parti in causa e delle corti nazionali; in quarto e ultimo luogo, la rinuncia della CCJA alla statuizione sul merito conseguente alla propria attività di cassazione, e la scelta del rinvio alle corti nazionali.

La Cour Commune de Justice et d'Arbitrage della Organisation pour l'Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires (OHADA): peculiarità e influenze alla luce dell'integrazione giuridica europea

ODDENINO, Alberto
2010-01-01

Abstract

L’articolo mira ad analizzare il peculiare fenomeno di armonizzazione giuridica dell’Ovest Africano, concretatosi nell’ Organisation pour l’Harmonisation en Afrique du droit dels Affaires (OHADA), alla luce dell’esperienza di integrazione europea e delle sue categorie. L’esame prende le mosse dal fenomeno di apertura del contiente africano alle dinamiche e alla logica della globalizzazione: l’incremento del gradiente giuridico è stato perseguito come strumento di maggior dialogo in dimensione transnazionale. Ciò è avvenuto in maniera particolarmente evidente per gli Stati della cosiddetta Zona Franca, che hanno ereditato al momento dell’indipendenza sistemi giuridici fortemente ispirati a quello dell’ex colonizzatore francese. In questo contesto geografico, sociale e culturale, già caratterizzato da tratti comuni, l’ulteriore intento di unificazione e modernizzazione del diritto commerciale, e con esso del diritto tutto connesso con le attività di contenuto economico, ha costituito una priorità finalizzata all’apertura delle economie nazionali agli investitori stranieri. E’ questo, precisamente, il contesto che ha contrassegnato la nascita dell’OHADA, fondata sul Trattato di Port Louis del 17 ottobre 1993. L’articolo fornisce una rapida considerazione della storia e della struttura dell’organizzazione e sulle prospettive di ampliamento della dimensione geografica originaria, che si legano indissolubilmente con la sfida del multilinguismo. Vi è poi l’esame degli obiettivi principali dell’Organizzazione: l’armonizzazione del diritto degli affari negli Stati membri, attraverso l’elaborazione e l’adozione di regole comuni semplici, moderne e adatte alla situazione delle loro economie; la realizzazione di procedure giurisdizionali appropriate; la promozione del ricorso all’arbitrato per la risoluzione delle controversie contrattuali. Il perseguimento di obiettivi tanto ambiziosi richiede strumenti di posizione normativa incisivi ed efficaci. Il fulcro dell’indagine è pertanto quello della asserita prevalenza del diritto uniforme sul diritto interno, anteriore o posteriore, confliggente, ai sensi dell’art. 10 del Trattato OHADA. Sul punto si sono avute importanti prese di posizione dottrinali e interventi chiarificatori della Cour Commune de Justice et d’Arbitrage (CCJA). Dal punto di vista dottrinale, se si è uniformemente riconosciuto al diritto uniforme un qualche effetto di abrogazione del diritto interno, è peraltro rimasta controversa la portata dell’abrogazione stessa. Da un lato, è parso opportuno dare all’abrogazione una dimensione contenuta e, all’esito di una verifica puntuale ed analitica delle disposizioni interne, applicare una logica di stretta incompatibilità che conduce alla abrogazione delle sole disposizioni frontalmente e direttamente incompatibili col diritto uniforme. Con ciò si configurerebbe la possibilità del diritto uniforme di integrare i propri contenuti al diritto interno non incompatibile, e si determinerebbe in molti casi una applicazione promiscua dei due ordinamenti, sovranazionale e nazionale. D’altro lato, una lettura massimalista dell’abrogazione conduce invece a riferire la medesima ad interi blocchi di disciplina interna, aventi il medesimo oggetto della normativa uniforme, postulando peraltro una completezza e una natura autoapplicativa del diritto OHADA che non sempre è agevole riscontrare Fondamentale, nell’analisi, è la presa di posizione della CCJA, in un importante parere reso nel 2001 su richiesta della Costa d’Avorio, che ha inteso allinearsi ad una lettura contenuta dell’effetto abrogativo, affermando la persistente applicabilità delle disposizioni interne non in contrasto con gli Atti Uniformi. Un ulteriore punto di analisi critica ha poi riguardato la sistematica delle competenze della CCJA, e in particolare della disposizione che fa di quest’ultima giudice di ultima istanza investito anche della decisione del merito: una critica trasformazione della CCJA in corte ‘ibrida’, compendiante tratti di corte di cassazione e di giudice del fatto che realizza un sostanziale spossessamento delle Corti nazionali rispetto alla prerogativa di conoscere del fatto e dunque un loro netto indebolimento. Il quadro risultante da queste problematiche rende pertanto piuttosto critica la prospettiva di una fruttuosa interazione fra CCJA e istanze nazionali: questo perché, come si è visto, manca, a partire dalla stessa determinazione del diritto applicabile e della sopravvivenza del diritto nazionale, una chiara delimitazione delle sfere di rispettiva competenza e dunque dei rispettivi ruoli. Il rischio che la proficua interazione lasci il posto alla contrapposizione è pertanto concreto e non migliori prospettive di dialogo sono dischiuse dall’utilizzo della competenza consultiva pregiudiziale della CCJA. La comparazione con il modello di integrazione europea offre all’analisi alcuni importanti spunti. In primo luogo, l’efficacia dello strumento del rinvio pregiudiziale, che ha indiscutibilmente tratto linfa dalla progressiva maturazione di una cooperazione pluridirezionale con le corti nazionali, può fungere da modello per una ricerca di migliore equilibrio da parte del sistema OHADA, ove la strutturazione delle competenze della CCJA si è attestata su equilibri forse troppo ambiziosi, certamente originali ma anche piuttosto ibridi, e soprattutto privi di precisi raccordi, vuoi gerarchici vuoi di coordinamento, con le realtà nazionali. Cosicché l’interpretazione uniforme del diritto OHADA appare veicolata attraverso la combinata operatività di una competenza consultiva poco efficace, e dunque poco praticata, e di una competenza di ultima istanza che compartecipa della natura di giudizio di cassazione e di merito e che per le sue modalità operative rischia di risultare sgradita alle Corti nazionali, quando non alle stesse parti in causa. Emerge dall’indagine come l’eccesso di potere che si è cercato di attribuire alla Corte sovranazionale si sia risolto, per curiosa eterogenesi dei fini, nel rischio di un forte depotenziamento operativo della stessa. Peraltro, le diversità non fanno che riflettere la più generale e profonda peculiarità della realtà OHADA anche rispetto al modello europeo: appare evidente come il tributo di imitazione riguardi aspetti prevalentemente formali, dal momento che manca alla realtà OHADA, al di là del proponnimento di una uniformazione meramente tecnico giuridica del diritto commerciale, la volontà di una vera integrazione economica. Ciò rischia di determinare un pericoloso scollamento fra il piano del diritto ‘transnazionale’ OHADA e il piano applicativo, che resta essenzialmente ed ineludibilmente demandato ai giudici nazionali e, che comporta, giova ricordarlo, la pur sempre delicata gestione del rapporto con le sopravvivenze dei diritti interni. L’analisi conclude con alcune prospettive de iure condendo, volte a superare alcuni dei limiti delineati: si tratta in primo luogo della necessaria chiarificazione delle competenze del diritto OHADA anche in termini di esclusività rispetto alle competenze nazionali: in secondo luogo del potenziamento della competenza consultiva pregiudiziale; in terzo luogo, dell’introduzione del ricorso per cassazione nell’interesse della legge, sottraendo la dinamica nomofilattica ai rischi che derivano dalla relativa disponibilità della materia ad opera della parti in causa e delle corti nazionali; in quarto e ultimo luogo, la rinuncia della CCJA alla statuizione sul merito conseguente alla propria attività di cassazione, e la scelta del rinvio alle corti nazionali.
2010
L'evoluzione dei sistemi giurisdizionali regionali ed influenze comunitarie
Cacucci
Collana di Studi sull'integrazione europea
2
3
22
9788884229991
organizzazioni internazionali; integrazione europea; comparazione giuridica
A. ODDENINO
File in questo prodotto:
File Dimensione Formato  
2010 La Cour Commune de Justice.pdf

Accesso riservato

Tipo di file: PDF EDITORIALE
Dimensione 1.18 MB
Formato Adobe PDF
1.18 MB Adobe PDF   Visualizza/Apri   Richiedi una copia

I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/87100
Citazioni
  • ???jsp.display-item.citation.pmc??? ND
  • Scopus ND
  • ???jsp.display-item.citation.isi??? ND
social impact