Nel breve trattato dedicato alla comparatio tra Giorgio di Pisidia ed Euripide, Michele Psello esemplifica la facilitas creativa del Pisida avvalendosi di riferimenti molto vaghi ed imprecisi. Sembrerebbe perciò legittimo il dubbio avanzato a suo tempo da Pertusi: «C’è da chiedersi anche come e quanto Psello abbia letto di Pisida, […] si ha la netta sensazione che il suo giudizio nasca da schemi retorici, non da una larga e diretta lettura delle opere». Uomo di grande cultura e prodigiosa memoria, Michele Psello si rivela in realtà estimatore e lettore attento della produzione poetica di Giorgio di Pisidia, di cui si avvale in modi differenti. Se dunque nel momento in cui compone la comparatio con Euripide cita le opere del Pisida con una certa vaghezza, solo sulla base dei propri ricordi, allorché è impegnato a scrivere il breve poema di esaltazione e consolazione Ad Comnenum superstitem rielabora con mirata precisione – tenendo con tutta probabilità il testo di fronte a sé – il carme In Christi resurrectionem di Giorgio, che bene si addiceva ai suoi scopi, sia per la tematica generale che per molte delle singole parti. Se ne forniscono un’analisi e un raffronto sistematico: I. Giorgio di Pisidia, In Christi resurrectionem: poemetto di 129 trimetri giambici, che trae l’argomento dalla festività della Pasqua e si rivolge, nella seconda parte, ad Eraclio II Costantino, figlio primogenito del basileus Eraclio, che il poeta mira a spronare all’azione contro i Persiani e gli Avari; II. Michele Psello, Ad Comnenum superstitem: carme di 108 dodecasillabi, la cui occasione è offerta dalla profezia, rivelatasi infondata, di alcuni che avevano preannunciato la morte dell’imperatore Isacco Comneno (1057-1059) per il mese di agosto (“1058 aut 1059”); da qui la celebrazione di una “rinascita”, una “resurrezione” del sovrano dopo la sua morte erroneamente prevista.
Sulla fortuna di Giorgio di Pisidia in Michele Psello. Il caso del carme In Christi resurrectionem
TARAGNA, Anna Maria
2007-01-01
Abstract
Nel breve trattato dedicato alla comparatio tra Giorgio di Pisidia ed Euripide, Michele Psello esemplifica la facilitas creativa del Pisida avvalendosi di riferimenti molto vaghi ed imprecisi. Sembrerebbe perciò legittimo il dubbio avanzato a suo tempo da Pertusi: «C’è da chiedersi anche come e quanto Psello abbia letto di Pisida, […] si ha la netta sensazione che il suo giudizio nasca da schemi retorici, non da una larga e diretta lettura delle opere». Uomo di grande cultura e prodigiosa memoria, Michele Psello si rivela in realtà estimatore e lettore attento della produzione poetica di Giorgio di Pisidia, di cui si avvale in modi differenti. Se dunque nel momento in cui compone la comparatio con Euripide cita le opere del Pisida con una certa vaghezza, solo sulla base dei propri ricordi, allorché è impegnato a scrivere il breve poema di esaltazione e consolazione Ad Comnenum superstitem rielabora con mirata precisione – tenendo con tutta probabilità il testo di fronte a sé – il carme In Christi resurrectionem di Giorgio, che bene si addiceva ai suoi scopi, sia per la tematica generale che per molte delle singole parti. Se ne forniscono un’analisi e un raffronto sistematico: I. Giorgio di Pisidia, In Christi resurrectionem: poemetto di 129 trimetri giambici, che trae l’argomento dalla festività della Pasqua e si rivolge, nella seconda parte, ad Eraclio II Costantino, figlio primogenito del basileus Eraclio, che il poeta mira a spronare all’azione contro i Persiani e gli Avari; II. Michele Psello, Ad Comnenum superstitem: carme di 108 dodecasillabi, la cui occasione è offerta dalla profezia, rivelatasi infondata, di alcuni che avevano preannunciato la morte dell’imperatore Isacco Comneno (1057-1059) per il mese di agosto (“1058 aut 1059”); da qui la celebrazione di una “rinascita”, una “resurrezione” del sovrano dopo la sua morte erroneamente prevista.File | Dimensione | Formato | |
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