Il primo incontro con Beating Berlusconi! è avvenuto nel luglio 2010, in pieni Mondiali sudafricani, al King’s Head Theatre – praticamente, il retro di un pub. Qualche perplessità c’era, prima dell’inizio dello spettacolo: possibile che neanche a Londra ci si potesse liberare delle ossessioni politiche di casa nostra? E i dubbi non venivano certo placati dal doppio senso del titolo, giacché «Beating Berlusconi» significa «Battere Berlusconi» ma anche «Picchiare Berlusconi». Iniziato lo spettacolo non c’è stato più tempo per riflessioni del genere, perché ogni cellula del proprio corpo era impegnata ad entrare in sintonia con l’ostica parlata scouse di Liverpool. L’impressione era quella di trovarsi in Cime tempestose ad ascoltare il «farfuglio che nessuno capiva» del trovatello Heathcliff, raccolto proprio per le strade di Liverpool. Ma l’oralità scouse ha un andamento musicale che riesce a comunicare, prima di tutto, proprio grazie al fascino della sua cadenza. A tutto ciò va aggiunta la comunicatività del camaleonte, cioè l’attore Paul Duckworth, che ricostruiva i dialoghi recitando tutti i personaggi di Beating Berlusconi!. A proposito… e Berlusconi? Anche i timori riguardo al nostro incorreggibile provincialismo si sono attenuati presto, visto che il protagonista del testo, Kenny Noonan, appartiene a una tradizione culturale e politica piuttosto diversa dalla nostra. Nella primavera del 2005 il Liverpool, dopo molti anni, è di nuovo in finale di Champions League. Si gioca ad Istanbul, contro il Milan, e Kenny non sa che fare: è il caso di andare alla partita, visti i debiti e un terzo figlio in arrivo? Così comincia un percorso a ritroso nella memoria, e ci si rende subito conto che questo è un racconto di calcio ma anche la storia di una città, e di un’Inghilterra d’estrazione molto popolare. Calcio e politica, come ricorda lo stesso Davies nella sua Prefazione, vanno inevitabilmente a braccetto quando si parla di Liverpool. Il primo ricordo calcistico di Kenny è una memorabile trasferta in treno a soli dieci anni: la finale di Coppa dei Campioni contro il Borussia Monchengladbach, a Roma nel 1977. Ma la sua narrazione parte dal nonno, soldato nella Seconda Guerra Mondiale, e dal padre, che racconta con orgoglio il suo casuale incontro con Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool negli anni dal ’59 al ’74, e uno dei maggiori profeti del ‘calcio totale’. Quel calcio totale descritto dallo stesso Shankly come la traduzione sportiva del socialismo, le cui innumerevoli interpretazioni hanno entusiasmato generazioni di tifosi, fino al Barcellona di Pep Guardiola e alla Juventus di Antonio Conte. Tornando agli anni ’70, i primi successi europei del Liverpool preludono all’ascesa di Margaret Thatcher, e qui emergono le origini di Kenny che incarnano perfettamente lo spirito scouse: irlandesi, operaie e di sinistra. A casa c’ho ‘sta cazzutissima scatola di fuochi artificiali. E’ cinque anni che sta in un cassetto, in attesa che quella vacca della Thatcher tiri le cuoia. Sul serio. Mi ricordo com’era, se eri nero o irlandese. E soprattutto se eri di Liverpool. Ti chiamavano ‘il nemico interno’ – come i minatori. E aveva ragione lei, noi eravamo il nemico. E lo so che è un cliché, ma il calcio era un modo per mandare tutti affanculo. Beating Berlusconi! nasce dal radicalismo popolare di una città che ha costruito la propria modernità su contrasti laceranti. Nel ’700 Liverpool diventò la città-chiave della nuova economia marittima e finanziaria sviluppatasi attorno all’Atlantico. La sua classe mercantile accumulò ricchezze enormi con la tratta degli schiavi africani: attorno alla metà del secolo, quasi la metà delle navi coinvolte nella Tratta Atlantica partivano da Liverpool. Il nuovo edificio della Borsa, costruito nel 1754, veniva usato significativamente anche come municipio; edificato sul modello della Borsa di Londra, è però cinto da un fregio di teste di africani. L’enorme giro di denaro e azioni e obbligazioni prodotto dalla Tratta diventò il motore della Rivoluzione Industriale, incentivando l’industria cantieristica e tessile, la costruzione di strade e canali, chiese e moli. Il grande divario tra lusso ed estrema indigenza ha caratterizzato Liverpool nei secoli seguenti, lungo tutto il periodo vittoriano e fino al secondo dopoguerra. Ancora nel 1971, in un suo viaggio di lavoro a Liverpool in qualità di chimico, Primo Levi si stupiva del gran numero di senzatetto che dormivano sui gradini della cattedrale (oltre che della quantità di edifici bombardati dalla guerra, non demoliti né ricostruiti). Questo divario ha scatenato innumerevoli rivolte popolari che hanno segnato la storia della città. Nella sua Postfazione, Davies ricorda quella del 1912, mentre in Beating Berlusconi! Kenny racconta nel dettaglio i riots del 1981, dando voce a uno spirito di rivolta inconciliabile con ogni autorità costituita. I poliziotti che si scontrano coi dimostranti venivano da fuori – ho scoperto dopo che avevano fatto arrivare degli sgherri dal Devon, e a questi qui non gliene fregava un cazzo. Peggio ancora dei nostri. In letteratura, questo spirito di rivolta ha trovato espressione nei poeti del Mersey (dal nome del fiume di Liverpool). La popolarissima raccolta The Mersey Sound (1967) ha canonizzato Adrian Henri, Roger McGough e Brian Patten come le voci poetiche delle nuove generazioni ribelli e anticonformiste. In «Snipers» («Cecchini»), McGough racconta di un bambino che diventa la «guardia del corpo segreta» di suo zio Tom, tornato dalla guerra in Birmania ammutolito e tremante per lo choc, lo sguardo ansioso costantemente rivolto al soffitto alla ricerca di nemici pronti a sparare: A volte, quand’eravamo noi due soli, faceva un pisolino dopo cena e per i giapponesi stavo all’erta io. Dopo le cure in manicomio, sposato, con prole e per tutti guarito, lo zio Tom Lo sa bene, diavolo, che è ancora in guerra. E’ solo che i cecchini non son più giapponesi. Il Mersey sound si è affermato anche per la freschezza del verso, condividendo molto con la musica pop (come non citare i loro coevi e concittadini Beatles?) e la beat generation americana. Era una poesia scritta per essere recitata, che andava oltre la dimensione intima della lettura grazie al proprio gusto per il registro dell’oralità, del discorso quotidiano – elemento evidente anche in Beating Berlusconi! Di fronte a questo tipo di linguaggio, il traduttore deve ricorrere a tutte le possibili risorse offerte dall’italiano parlato per poter ricreare l’atmosfera dell’originale. C’era nei poeti del Mersey anche il gusto per un umorismo sardonico che si fa beffe di ogni perbenismo, un aspetto tipicamente liverpooliano che Beating Berlusconi! incarna in maniera perfetta. Ride molto il pubblico durante il monologo, ma si è lontani da quello che noi siamo abituati a definire British humour. Non c’è proprio understatement in questa satira crassa e politicamente scorretta. La comicità del testo di Davies possiede una forte dose di spirito critico; l’anima di Liverpool è nota per il suo atteggiamento lamentoso – «barometro del dissenso pubblico nazionale», come ha scritto l’autore nel programma dello spettacolo. Nell’incalzare della sua narrazione, Kenny è impietoso verso i guasti dell’Inghilterra conservatrice, come quando parla della geniale trovata per affrontare la depressione sociale delle aree in rivolta: I media non parlavano d’altro. Heseltine, Ministro per le Aree Urbane (assume l’atteggiamento narcisistico e impettito di Heseltine, sistemandosi con orgoglio il ciuffo biondo), in visita all’orrida Liverpool lacerata dagli scontri. Tarzan Heseltine, il titillatore del clitoride del Partito Conservatore, risolverà la depressione dei ghetti con uno svolazzo del suo biondo ciuffo. E come? Facile. (Fa Tarzan che atterra sul palco con la liana, finendo di fronte all’immagine del Festival dei Giardini) Con i fiori!!! Comunque, simbolo perfetto per il thatcherismo, no? Hai due milioni di persone che vivono col sussidio, così distogli l’attenzione costruendo mucchi di giardini in economia. Solo che nel nostro caso li hanno fatti sulla vecchia discarica cittadina. Sta ancora marcendo, sotto i fiori. Mentre te ne stai tra le rose dei Conservatori, senti solo puzza di putrido. Partendo dagli anni ’70, quella descritta da Kenny è un’Inghilterra urbana multiculturale, ma dove il razzismo istituzionale è sempre pronto a mostrarsi nelle sue forme più bieche. Nei già menzionati scontri dell’81, a farne le spese è uno dei migliori amici di Kenny, il musulmano di origini somale Moose: «Ehi, nero bastardo!» Era l’unica cosa che la polizia riusciva a vedere. Non si accorgevano di me o di Minty, ’sta ghigna di ragazzo bianco, e neanche degli altri ragazzi bianchi di Kensington e Kirkby che erano venuti per unirsi alla festa. No, erano solo ragazzi neri che si scatenavano. Beating Berlusconi!, però, è anche fortemente legato all’Italia, e non solo per le recenti disgrazie politiche del nostro Paese. La tragedia della finale dell’85 tra Liverpool e Juventus, stadio Heysel di Bruxelles, è una vicenda dai molti colpevoli sulla quale si è spesso preferito, in Italia, non indagare e non ricordare. Kenny la racconta come testimone diretto, dal punto di vista di un red, con un misto di rabbia, indignazione e colpa: «E da allora il calcio non è più stato quello di prima.» Questo amaro senso di disillusione verso il fascino del calcio, quasi un punto di non-ritorno, riceve un ulteriore duro colpo con l’analogo massacro di Hillsborough (1989). Alternando uno sguardo beffardo al registro del tragico, Kenny descrive poi le altre grandi delusioni della sua vita, come il divorzio dei genitori e la successiva fuga del padre, che a sua volta deve digerire i fallimenti delle sue lotte politiche e il suicidio del Partito Laburista. Il testo di Davies non perde mai il proprio spirito caustico verso le astute metamorfosi dell’establishment, vale a dire quella preziosa dote di saper distinguere la sostanza dal fumo dei consulenti globali – certamente uno dei modi più efficaci per affrontare il berlusconismo, se non Berlusconi. Gli anni ’90, ad esempio, sono segnati dall’ottimismo del New Labour di Blair e dal Brit Pop, di fronte a cui Kenny storce ovviamente il naso, e a buon diritto: Moose, arruolatosi nell’esercito di Sua Maestà, finisce per farsi ammazzare in Iraq, mentre l’eterno sballone Minty, l’altro amico di sempre, si è dato una ripulita e gestisce un bar alla moda, dedicandosi allo snowboard: Lo snowboard?!? Che questo serva da monito a tutti voi, fattoni presenti in sala. Quel che dice il governo è vero. Può cominciare con un spinello innocuo ogni tanto, ma guardate dove si va a finire. Lo snowboard… cazzo. Viene in mente, a questo proposito, un’altra fulminante poesia di McGough, «There are fascists» («Ci sono fascisti», 1971): Ci sono fascisti che si fingono filantropi come cannibali con smanie salutiste che mangiano solo vegetariani Non manca, attraverso i filmati e le foto d’epoca che in palcoscenico fanno da supporto a Paul Duckworth, un riferimento alla lotta dei portuali di Liverpool tra il 1995 e il 1998 (sostenuta anche dai giocatori della squadra), che ha portato inevitabilmente ad altri duri scontri con le forze dell’ordine. E la fine di questo sciopero ha coinciso con la presentazione della candidatura della città a Capitale Europea della Cultura per il 2008. La Liverpool di oggi, soprattutto nelle sue zone centrali e portuali, è stata ripulita e trasformata in polo d’arte e di cultura, un luogo certamente affascinante per il visitatore occasionale. Il monologo di Davies inizia proprio quando, nella primavera del 2005, Kenny fa un salto in centro dopo parecchio tempo e rimane disgustato nel vedere la propria città sventrata, consegnata alle grandi speculazioni. L’anima irriducibile della Merseyside resistance, accompagnata a una buona dose di nostalgia che pervade tutto il testo, lo spinge così a raccontare la sua storia. E, com’è ovvio, lo porta a riflettere sull’imminente Liverpool-Milan, tra il desiderio di rivivere i momenti di gloria del passato e l’amarezza per le persone care che non ci sono più. Kenny si ritrova trascinato in questa marea rossa di tifosi, e le parti ambientate ad Istanbul sono tra le più belle del monologo: Mentre esco dal mercato mi vedo questo poster. E’ in turco, ma non c’è bisogno di conoscere la lingua. C’è George Bush disegnato come uno scimmione, che se ne va a spasso per Bagdad con un barboncino che è identico a Tony Blair. Un po’ ingiusto verso scimmioni e barboncini, forse, ma perché no? Non c’è davvero da stupirsi, la Turchia è un paese musulmano. Se a Liverpool c’è un sacco di gente che gli girano le balle per quello che succede in Iraq, be’, qui come minimo gli stanno anche fumando. E mi viene in mente Moose, il Caporal Maggiore Mosa Dirir, quel valoroso inglese musulmano di Liverpool, soldato per la patria e per la Regina. Da qui in avanti si arriva alla storia di quella partita rocambolesca, dove Kenny, per una serie di circostanze fortuite, vede il secondo tempo seduto al fianco del personaggio del titolo. Alla fine dello spettacolo è stata una vera sorpresa scoprire che l’autore era presente fra il pubblico assieme alla persona che ha ispirato il tutto – perché John Graham Davies ha scritto Beating Berlusconi! basandosi su una vicenda realmente accaduta, come si legge nella sua Prefazione. Una stretta di mano e una breve chiacchierata sono state il preludio all’inevitabile domanda: «Beating Berlusconi! piacerebbe, al pubblico italiano. Sarebbe possibile avere il testo dell’opera?» Davies ha sfoderato un sorriso gioviale, e ha risposto: «Perché no?»

Tutte le sfumature di rosso della Merseyside Resistance

DEANDREA, Pietro
2012-01-01

Abstract

Il primo incontro con Beating Berlusconi! è avvenuto nel luglio 2010, in pieni Mondiali sudafricani, al King’s Head Theatre – praticamente, il retro di un pub. Qualche perplessità c’era, prima dell’inizio dello spettacolo: possibile che neanche a Londra ci si potesse liberare delle ossessioni politiche di casa nostra? E i dubbi non venivano certo placati dal doppio senso del titolo, giacché «Beating Berlusconi» significa «Battere Berlusconi» ma anche «Picchiare Berlusconi». Iniziato lo spettacolo non c’è stato più tempo per riflessioni del genere, perché ogni cellula del proprio corpo era impegnata ad entrare in sintonia con l’ostica parlata scouse di Liverpool. L’impressione era quella di trovarsi in Cime tempestose ad ascoltare il «farfuglio che nessuno capiva» del trovatello Heathcliff, raccolto proprio per le strade di Liverpool. Ma l’oralità scouse ha un andamento musicale che riesce a comunicare, prima di tutto, proprio grazie al fascino della sua cadenza. A tutto ciò va aggiunta la comunicatività del camaleonte, cioè l’attore Paul Duckworth, che ricostruiva i dialoghi recitando tutti i personaggi di Beating Berlusconi!. A proposito… e Berlusconi? Anche i timori riguardo al nostro incorreggibile provincialismo si sono attenuati presto, visto che il protagonista del testo, Kenny Noonan, appartiene a una tradizione culturale e politica piuttosto diversa dalla nostra. Nella primavera del 2005 il Liverpool, dopo molti anni, è di nuovo in finale di Champions League. Si gioca ad Istanbul, contro il Milan, e Kenny non sa che fare: è il caso di andare alla partita, visti i debiti e un terzo figlio in arrivo? Così comincia un percorso a ritroso nella memoria, e ci si rende subito conto che questo è un racconto di calcio ma anche la storia di una città, e di un’Inghilterra d’estrazione molto popolare. Calcio e politica, come ricorda lo stesso Davies nella sua Prefazione, vanno inevitabilmente a braccetto quando si parla di Liverpool. Il primo ricordo calcistico di Kenny è una memorabile trasferta in treno a soli dieci anni: la finale di Coppa dei Campioni contro il Borussia Monchengladbach, a Roma nel 1977. Ma la sua narrazione parte dal nonno, soldato nella Seconda Guerra Mondiale, e dal padre, che racconta con orgoglio il suo casuale incontro con Bill Shankly, storico allenatore del Liverpool negli anni dal ’59 al ’74, e uno dei maggiori profeti del ‘calcio totale’. Quel calcio totale descritto dallo stesso Shankly come la traduzione sportiva del socialismo, le cui innumerevoli interpretazioni hanno entusiasmato generazioni di tifosi, fino al Barcellona di Pep Guardiola e alla Juventus di Antonio Conte. Tornando agli anni ’70, i primi successi europei del Liverpool preludono all’ascesa di Margaret Thatcher, e qui emergono le origini di Kenny che incarnano perfettamente lo spirito scouse: irlandesi, operaie e di sinistra. A casa c’ho ‘sta cazzutissima scatola di fuochi artificiali. E’ cinque anni che sta in un cassetto, in attesa che quella vacca della Thatcher tiri le cuoia. Sul serio. Mi ricordo com’era, se eri nero o irlandese. E soprattutto se eri di Liverpool. Ti chiamavano ‘il nemico interno’ – come i minatori. E aveva ragione lei, noi eravamo il nemico. E lo so che è un cliché, ma il calcio era un modo per mandare tutti affanculo. Beating Berlusconi! nasce dal radicalismo popolare di una città che ha costruito la propria modernità su contrasti laceranti. Nel ’700 Liverpool diventò la città-chiave della nuova economia marittima e finanziaria sviluppatasi attorno all’Atlantico. La sua classe mercantile accumulò ricchezze enormi con la tratta degli schiavi africani: attorno alla metà del secolo, quasi la metà delle navi coinvolte nella Tratta Atlantica partivano da Liverpool. Il nuovo edificio della Borsa, costruito nel 1754, veniva usato significativamente anche come municipio; edificato sul modello della Borsa di Londra, è però cinto da un fregio di teste di africani. L’enorme giro di denaro e azioni e obbligazioni prodotto dalla Tratta diventò il motore della Rivoluzione Industriale, incentivando l’industria cantieristica e tessile, la costruzione di strade e canali, chiese e moli. Il grande divario tra lusso ed estrema indigenza ha caratterizzato Liverpool nei secoli seguenti, lungo tutto il periodo vittoriano e fino al secondo dopoguerra. Ancora nel 1971, in un suo viaggio di lavoro a Liverpool in qualità di chimico, Primo Levi si stupiva del gran numero di senzatetto che dormivano sui gradini della cattedrale (oltre che della quantità di edifici bombardati dalla guerra, non demoliti né ricostruiti). Questo divario ha scatenato innumerevoli rivolte popolari che hanno segnato la storia della città. Nella sua Postfazione, Davies ricorda quella del 1912, mentre in Beating Berlusconi! Kenny racconta nel dettaglio i riots del 1981, dando voce a uno spirito di rivolta inconciliabile con ogni autorità costituita. I poliziotti che si scontrano coi dimostranti venivano da fuori – ho scoperto dopo che avevano fatto arrivare degli sgherri dal Devon, e a questi qui non gliene fregava un cazzo. Peggio ancora dei nostri. In letteratura, questo spirito di rivolta ha trovato espressione nei poeti del Mersey (dal nome del fiume di Liverpool). La popolarissima raccolta The Mersey Sound (1967) ha canonizzato Adrian Henri, Roger McGough e Brian Patten come le voci poetiche delle nuove generazioni ribelli e anticonformiste. In «Snipers» («Cecchini»), McGough racconta di un bambino che diventa la «guardia del corpo segreta» di suo zio Tom, tornato dalla guerra in Birmania ammutolito e tremante per lo choc, lo sguardo ansioso costantemente rivolto al soffitto alla ricerca di nemici pronti a sparare: A volte, quand’eravamo noi due soli, faceva un pisolino dopo cena e per i giapponesi stavo all’erta io. Dopo le cure in manicomio, sposato, con prole e per tutti guarito, lo zio Tom Lo sa bene, diavolo, che è ancora in guerra. E’ solo che i cecchini non son più giapponesi. Il Mersey sound si è affermato anche per la freschezza del verso, condividendo molto con la musica pop (come non citare i loro coevi e concittadini Beatles?) e la beat generation americana. Era una poesia scritta per essere recitata, che andava oltre la dimensione intima della lettura grazie al proprio gusto per il registro dell’oralità, del discorso quotidiano – elemento evidente anche in Beating Berlusconi! Di fronte a questo tipo di linguaggio, il traduttore deve ricorrere a tutte le possibili risorse offerte dall’italiano parlato per poter ricreare l’atmosfera dell’originale. C’era nei poeti del Mersey anche il gusto per un umorismo sardonico che si fa beffe di ogni perbenismo, un aspetto tipicamente liverpooliano che Beating Berlusconi! incarna in maniera perfetta. Ride molto il pubblico durante il monologo, ma si è lontani da quello che noi siamo abituati a definire British humour. Non c’è proprio understatement in questa satira crassa e politicamente scorretta. La comicità del testo di Davies possiede una forte dose di spirito critico; l’anima di Liverpool è nota per il suo atteggiamento lamentoso – «barometro del dissenso pubblico nazionale», come ha scritto l’autore nel programma dello spettacolo. Nell’incalzare della sua narrazione, Kenny è impietoso verso i guasti dell’Inghilterra conservatrice, come quando parla della geniale trovata per affrontare la depressione sociale delle aree in rivolta: I media non parlavano d’altro. Heseltine, Ministro per le Aree Urbane (assume l’atteggiamento narcisistico e impettito di Heseltine, sistemandosi con orgoglio il ciuffo biondo), in visita all’orrida Liverpool lacerata dagli scontri. Tarzan Heseltine, il titillatore del clitoride del Partito Conservatore, risolverà la depressione dei ghetti con uno svolazzo del suo biondo ciuffo. E come? Facile. (Fa Tarzan che atterra sul palco con la liana, finendo di fronte all’immagine del Festival dei Giardini) Con i fiori!!! Comunque, simbolo perfetto per il thatcherismo, no? Hai due milioni di persone che vivono col sussidio, così distogli l’attenzione costruendo mucchi di giardini in economia. Solo che nel nostro caso li hanno fatti sulla vecchia discarica cittadina. Sta ancora marcendo, sotto i fiori. Mentre te ne stai tra le rose dei Conservatori, senti solo puzza di putrido. Partendo dagli anni ’70, quella descritta da Kenny è un’Inghilterra urbana multiculturale, ma dove il razzismo istituzionale è sempre pronto a mostrarsi nelle sue forme più bieche. Nei già menzionati scontri dell’81, a farne le spese è uno dei migliori amici di Kenny, il musulmano di origini somale Moose: «Ehi, nero bastardo!» Era l’unica cosa che la polizia riusciva a vedere. Non si accorgevano di me o di Minty, ’sta ghigna di ragazzo bianco, e neanche degli altri ragazzi bianchi di Kensington e Kirkby che erano venuti per unirsi alla festa. No, erano solo ragazzi neri che si scatenavano. Beating Berlusconi!, però, è anche fortemente legato all’Italia, e non solo per le recenti disgrazie politiche del nostro Paese. La tragedia della finale dell’85 tra Liverpool e Juventus, stadio Heysel di Bruxelles, è una vicenda dai molti colpevoli sulla quale si è spesso preferito, in Italia, non indagare e non ricordare. Kenny la racconta come testimone diretto, dal punto di vista di un red, con un misto di rabbia, indignazione e colpa: «E da allora il calcio non è più stato quello di prima.» Questo amaro senso di disillusione verso il fascino del calcio, quasi un punto di non-ritorno, riceve un ulteriore duro colpo con l’analogo massacro di Hillsborough (1989). Alternando uno sguardo beffardo al registro del tragico, Kenny descrive poi le altre grandi delusioni della sua vita, come il divorzio dei genitori e la successiva fuga del padre, che a sua volta deve digerire i fallimenti delle sue lotte politiche e il suicidio del Partito Laburista. Il testo di Davies non perde mai il proprio spirito caustico verso le astute metamorfosi dell’establishment, vale a dire quella preziosa dote di saper distinguere la sostanza dal fumo dei consulenti globali – certamente uno dei modi più efficaci per affrontare il berlusconismo, se non Berlusconi. Gli anni ’90, ad esempio, sono segnati dall’ottimismo del New Labour di Blair e dal Brit Pop, di fronte a cui Kenny storce ovviamente il naso, e a buon diritto: Moose, arruolatosi nell’esercito di Sua Maestà, finisce per farsi ammazzare in Iraq, mentre l’eterno sballone Minty, l’altro amico di sempre, si è dato una ripulita e gestisce un bar alla moda, dedicandosi allo snowboard: Lo snowboard?!? Che questo serva da monito a tutti voi, fattoni presenti in sala. Quel che dice il governo è vero. Può cominciare con un spinello innocuo ogni tanto, ma guardate dove si va a finire. Lo snowboard… cazzo. Viene in mente, a questo proposito, un’altra fulminante poesia di McGough, «There are fascists» («Ci sono fascisti», 1971): Ci sono fascisti che si fingono filantropi come cannibali con smanie salutiste che mangiano solo vegetariani Non manca, attraverso i filmati e le foto d’epoca che in palcoscenico fanno da supporto a Paul Duckworth, un riferimento alla lotta dei portuali di Liverpool tra il 1995 e il 1998 (sostenuta anche dai giocatori della squadra), che ha portato inevitabilmente ad altri duri scontri con le forze dell’ordine. E la fine di questo sciopero ha coinciso con la presentazione della candidatura della città a Capitale Europea della Cultura per il 2008. La Liverpool di oggi, soprattutto nelle sue zone centrali e portuali, è stata ripulita e trasformata in polo d’arte e di cultura, un luogo certamente affascinante per il visitatore occasionale. Il monologo di Davies inizia proprio quando, nella primavera del 2005, Kenny fa un salto in centro dopo parecchio tempo e rimane disgustato nel vedere la propria città sventrata, consegnata alle grandi speculazioni. L’anima irriducibile della Merseyside resistance, accompagnata a una buona dose di nostalgia che pervade tutto il testo, lo spinge così a raccontare la sua storia. E, com’è ovvio, lo porta a riflettere sull’imminente Liverpool-Milan, tra il desiderio di rivivere i momenti di gloria del passato e l’amarezza per le persone care che non ci sono più. Kenny si ritrova trascinato in questa marea rossa di tifosi, e le parti ambientate ad Istanbul sono tra le più belle del monologo: Mentre esco dal mercato mi vedo questo poster. E’ in turco, ma non c’è bisogno di conoscere la lingua. C’è George Bush disegnato come uno scimmione, che se ne va a spasso per Bagdad con un barboncino che è identico a Tony Blair. Un po’ ingiusto verso scimmioni e barboncini, forse, ma perché no? Non c’è davvero da stupirsi, la Turchia è un paese musulmano. Se a Liverpool c’è un sacco di gente che gli girano le balle per quello che succede in Iraq, be’, qui come minimo gli stanno anche fumando. E mi viene in mente Moose, il Caporal Maggiore Mosa Dirir, quel valoroso inglese musulmano di Liverpool, soldato per la patria e per la Regina. Da qui in avanti si arriva alla storia di quella partita rocambolesca, dove Kenny, per una serie di circostanze fortuite, vede il secondo tempo seduto al fianco del personaggio del titolo. Alla fine dello spettacolo è stata una vera sorpresa scoprire che l’autore era presente fra il pubblico assieme alla persona che ha ispirato il tutto – perché John Graham Davies ha scritto Beating Berlusconi! basandosi su una vicenda realmente accaduta, come si legge nella sua Prefazione. Una stretta di mano e una breve chiacchierata sono state il preludio all’inevitabile domanda: «Beating Berlusconi! piacerebbe, al pubblico italiano. Sarebbe possibile avere il testo dell’opera?» Davies ha sfoderato un sorriso gioviale, e ha risposto: «Perché no?»
2012
"Ho battuto Berlusconi! Racconto in due tempi (più supplementari e rigori)"
66THAND2ND
107
114
9788896538357
http://www.66thand2nd.com
Liverpool; Merseyside; poesia inglese; teatro inglese; radicalismo operaio
Pietro Deandrea, Marco Ponti
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