Il libro esamina la disciplina sostanziale delle clausole compromissorie inserite negli statuti di società. L’arbitrato ha radici risalenti nell’ordinamento italiano. Fin dai primi anni dell’unificazione del Paese, i costi e i tempi della giustizia civile hanno indotto il legislatore a incentivare forme alternative di risoluzione delle controversie, ed in particolare l’arbitrato. Lo sviluppo dell’istituto è stato tuttavia frenato, nel periodo fra le due guerre, dall’ideologia del regime fascista, che ne ha compresso il ruolo e la funzione con il codice di procedura del 1940. Soltanto negli anni Ottanta è ripresa la «lunga marcia» verso una piena emancipazione dell’arbitrato: tre riforme nell’arco di venti anni (1983, 1994, 2006) hanno profondamente modificato non solo il quadro normativo, ma la stessa fiosofia di fondo dell’istituto arbitrale. Nonostante la crescente importanza di questo strumento, sopratutto nel mondo imprenditoriale, fino al 2003 nessuna disposizione si occupava specificamente dell’arbitrato nelle società e le difficoltà di adattare le norme generali alle peculiarità del modello societario hanno determinato, per lungo tempo, un atteggiamento di forte diffidenza e un sostanziale disincentivo al ricorso a questo strumento. Il legislatore si è fatto carico di questi problemi con la riforma societaria del 2003 e - con l'obiettivo di accrescere la "cultura dell'arbitrato" - ha dettato, per la prima volta in Europa, una disciplina specifica per l’arbitrato che investa liti interne alle società. La nuova disciplina non costituisce, a dispetto delle enunciazioni che si leggono nella relazione illustrativa, un corpo normativo completo ed autonomo, ma si limita ad inserire alcune deroghe al regime generale, che resta dunque applicabile come regola di default. Ciò giustifica l’opzione di fondo prescelta nell’impostazione del lavoro, che consiste nel condurre una disamina dei profili sostanziali della clausola compromissoria partendo dalle regole generali dell’arbitrato di diritto comune, segnalando, di volta in volta, le peculiarità del modello «speciale» introdotto nel 2003. Anche la scelta di porre al centro dell’indagine la clausola compromissoria statutaria non è casuale bensì rispecchia il ruolo vitale che essa riveste quale fonte e presupposto indefettibile della legittimazione dell’intero procedimento arbitrale, ontologicamente legato alla sua genesi nell’atto di autonomia privata delle parti che volontariamente decidano di sottomettervisi. Coerenti con queste premesse, il capitolo I è dedicato ad inquadrare la fattispecie denominata «clausola compromissoria statutaria» e a definirne la natura allo scopo di disporre di elementi utili per orientare la successiva attività ermeneutica. Compiuto questo passaggio preliminare, la clausola verrà sezionata nei suoi componenti costitutivi, ciascuno dei quali esaminato separatamente. L’attenzione si focalizzerà in primo luogo sugli elementi formali, consistenti nei requisiti richiesti per la validità ed efficacia della clausola, che nell’ambito societario debbono coordinarsi con le regole che presiedono alla formazione della volontà sociale. Ai capitoli successivi è riservata l’analisi degli elementi strutturali che ne costituiscono lo scheletro. Nel capitolo II ci si concentra sugli elementi soggettivi, vale a dire le parti (coloro che sono vincolati dal patto compromissorio), e il soggetto deputato a designare l’organo arbitrale, esaminando anche quali spazi residuino all’autonomia privata dopo la novella portata dal d.lgs. 5/2003. Apposito spazio sarà dedicato al difficile rapporto dialettico fra arbitrato societario «speciale» e modello codicistico «ordinario», sia con riferimento alla controversa questione della sorte delle clausole previgenti non adeguate sia, più in generale, con riferimento ai problemi di integrazione di disciplina speciale e regole generali, un terreno sul quale difetti di coordinamento e aporie normative – con conseguente incertezza delle «regole del gioco» possono rappresentare un temibile disincentivo al ricorso all’arbitrato. Infine nel capitolo III viene studiato l’oggetto della clausola, cioè l’area delle controversie compromettibili che, a sommesso avviso di chi scrive, costituisce la chiave per il «rilancio» dell’arbitrato societario. La disamina, coniugata allo studio della casistica giurisprudenziale e con il supporto di un’indagine comparatistica, è finalizzata a delineare il concetto di «disponibilità» dei diritti relativi al rapporto sociale sul quale si incardina l’intero modello arbitrale post-riforme.

La clausola compromissoria nelle società. Profili sostanziali

2012-01-01

Abstract

Il libro esamina la disciplina sostanziale delle clausole compromissorie inserite negli statuti di società. L’arbitrato ha radici risalenti nell’ordinamento italiano. Fin dai primi anni dell’unificazione del Paese, i costi e i tempi della giustizia civile hanno indotto il legislatore a incentivare forme alternative di risoluzione delle controversie, ed in particolare l’arbitrato. Lo sviluppo dell’istituto è stato tuttavia frenato, nel periodo fra le due guerre, dall’ideologia del regime fascista, che ne ha compresso il ruolo e la funzione con il codice di procedura del 1940. Soltanto negli anni Ottanta è ripresa la «lunga marcia» verso una piena emancipazione dell’arbitrato: tre riforme nell’arco di venti anni (1983, 1994, 2006) hanno profondamente modificato non solo il quadro normativo, ma la stessa fiosofia di fondo dell’istituto arbitrale. Nonostante la crescente importanza di questo strumento, sopratutto nel mondo imprenditoriale, fino al 2003 nessuna disposizione si occupava specificamente dell’arbitrato nelle società e le difficoltà di adattare le norme generali alle peculiarità del modello societario hanno determinato, per lungo tempo, un atteggiamento di forte diffidenza e un sostanziale disincentivo al ricorso a questo strumento. Il legislatore si è fatto carico di questi problemi con la riforma societaria del 2003 e - con l'obiettivo di accrescere la "cultura dell'arbitrato" - ha dettato, per la prima volta in Europa, una disciplina specifica per l’arbitrato che investa liti interne alle società. La nuova disciplina non costituisce, a dispetto delle enunciazioni che si leggono nella relazione illustrativa, un corpo normativo completo ed autonomo, ma si limita ad inserire alcune deroghe al regime generale, che resta dunque applicabile come regola di default. Ciò giustifica l’opzione di fondo prescelta nell’impostazione del lavoro, che consiste nel condurre una disamina dei profili sostanziali della clausola compromissoria partendo dalle regole generali dell’arbitrato di diritto comune, segnalando, di volta in volta, le peculiarità del modello «speciale» introdotto nel 2003. Anche la scelta di porre al centro dell’indagine la clausola compromissoria statutaria non è casuale bensì rispecchia il ruolo vitale che essa riveste quale fonte e presupposto indefettibile della legittimazione dell’intero procedimento arbitrale, ontologicamente legato alla sua genesi nell’atto di autonomia privata delle parti che volontariamente decidano di sottomettervisi. Coerenti con queste premesse, il capitolo I è dedicato ad inquadrare la fattispecie denominata «clausola compromissoria statutaria» e a definirne la natura allo scopo di disporre di elementi utili per orientare la successiva attività ermeneutica. Compiuto questo passaggio preliminare, la clausola verrà sezionata nei suoi componenti costitutivi, ciascuno dei quali esaminato separatamente. L’attenzione si focalizzerà in primo luogo sugli elementi formali, consistenti nei requisiti richiesti per la validità ed efficacia della clausola, che nell’ambito societario debbono coordinarsi con le regole che presiedono alla formazione della volontà sociale. Ai capitoli successivi è riservata l’analisi degli elementi strutturali che ne costituiscono lo scheletro. Nel capitolo II ci si concentra sugli elementi soggettivi, vale a dire le parti (coloro che sono vincolati dal patto compromissorio), e il soggetto deputato a designare l’organo arbitrale, esaminando anche quali spazi residuino all’autonomia privata dopo la novella portata dal d.lgs. 5/2003. Apposito spazio sarà dedicato al difficile rapporto dialettico fra arbitrato societario «speciale» e modello codicistico «ordinario», sia con riferimento alla controversa questione della sorte delle clausole previgenti non adeguate sia, più in generale, con riferimento ai problemi di integrazione di disciplina speciale e regole generali, un terreno sul quale difetti di coordinamento e aporie normative – con conseguente incertezza delle «regole del gioco» possono rappresentare un temibile disincentivo al ricorso all’arbitrato. Infine nel capitolo III viene studiato l’oggetto della clausola, cioè l’area delle controversie compromettibili che, a sommesso avviso di chi scrive, costituisce la chiave per il «rilancio» dell’arbitrato societario. La disamina, coniugata allo studio della casistica giurisprudenziale e con il supporto di un’indagine comparatistica, è finalizzata a delineare il concetto di «disponibilità» dei diritti relativi al rapporto sociale sul quale si incardina l’intero modello arbitrale post-riforme.
2012
G. Giappichelli Editore
Diritto commerciale Interno e Internazionale
1
1
262
9788834837450
http://www.giappichelli.it/
arbitrato; arbitrato societario; società; società di capitali; società di persone; s.p.a.; s.r.l.; s.n.c.; s.a.s.; clausola compromissoria; statuto; doppio binario; disponibilità dei diritti; arbitrabilità
Stefano A. Cerrato
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