L’attività di sostegno alle arti che John Maynard Keynes ha svolto e teorizzato nel corso della sua vita dipende in modo pregnante, anche se non esclusivo, dal recepimento della concezione filosofica di Moore, così come dalla condivisione delle idee e dell’esperienza di Bloomsbury. L’originalità del pensiero di Keynes consiste, in particolare, da un lato nell’inquadrare le arti all’interno di quell’enjoyment of life cui potrà finalmente dedicarsi l’uomo liberato dall’ossessione della scarsità e dal “problema economico”; dall’altro per la soluzione offerta ai complessi rapporti tra arte, stato e mercato, preservando il carattere di libertà e le potenzialità di coesione sociale che qualificano le arti, e delineando con sufficiente chiarezza i ruoli dell’autorità pubblica e della libera iniziativa privata nel sostegno a queste ultime. Ne discende, per la società dell’avvenire e per quella del presente, una concezione non esclusivamente materialistica del welfare state. Il movimento verso la risoluzione del problema economico giustifica le attività intraprese dallo stato per realizzare le precondizioni del vero benessere, dunque non solo di quello materiale. Lo stato potrà abbandonare i criteri di spesa utilitaristici e sostenere le most public arts. Inoltre, attraverso il suo esempio e l’aiuto a istituzioni semipubbliche di promozione delle arti, sosterrà lo sforzo dei cittadini nel favorire forme di enjoyment of life altrimenti sacrificate alla considerazione dell’economia come problema permanente dell’umanità. Il “paradiso ritrovato” di Keynes è qui prospettato come possibile alternativa al modello di welfare state materialistico del secondo dopoguerra: giudicato fallimentare dal punto di vista dell’efficienza economica, e tuttavia sconfitto in primo luogo dalla sua incapacità di attrazione culturale, la società del “paradiso perduto” non contemplerà il sostegno alle arti tra le sue responsabilità.

Keynes, l'arte, lo stato: il paradiso ritrovato e poi perduto

CEDRINI, Mario Aldo
2006-01-01

Abstract

L’attività di sostegno alle arti che John Maynard Keynes ha svolto e teorizzato nel corso della sua vita dipende in modo pregnante, anche se non esclusivo, dal recepimento della concezione filosofica di Moore, così come dalla condivisione delle idee e dell’esperienza di Bloomsbury. L’originalità del pensiero di Keynes consiste, in particolare, da un lato nell’inquadrare le arti all’interno di quell’enjoyment of life cui potrà finalmente dedicarsi l’uomo liberato dall’ossessione della scarsità e dal “problema economico”; dall’altro per la soluzione offerta ai complessi rapporti tra arte, stato e mercato, preservando il carattere di libertà e le potenzialità di coesione sociale che qualificano le arti, e delineando con sufficiente chiarezza i ruoli dell’autorità pubblica e della libera iniziativa privata nel sostegno a queste ultime. Ne discende, per la società dell’avvenire e per quella del presente, una concezione non esclusivamente materialistica del welfare state. Il movimento verso la risoluzione del problema economico giustifica le attività intraprese dallo stato per realizzare le precondizioni del vero benessere, dunque non solo di quello materiale. Lo stato potrà abbandonare i criteri di spesa utilitaristici e sostenere le most public arts. Inoltre, attraverso il suo esempio e l’aiuto a istituzioni semipubbliche di promozione delle arti, sosterrà lo sforzo dei cittadini nel favorire forme di enjoyment of life altrimenti sacrificate alla considerazione dell’economia come problema permanente dell’umanità. Il “paradiso ritrovato” di Keynes è qui prospettato come possibile alternativa al modello di welfare state materialistico del secondo dopoguerra: giudicato fallimentare dal punto di vista dell’efficienza economica, e tuttavia sconfitto in primo luogo dalla sua incapacità di attrazione culturale, la società del “paradiso perduto” non contemplerà il sostegno alle arti tra le sue responsabilità.
2006
CESMEP Working Paper
01/2006
arte; politiche pubbliche; welfare state; etica; filosofia; John Maynard Keynes
M. A. Cedrini
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