I saggi che compongono questo fascicolo della rivista offrono una lettura articolata del fenomeno delle ecocamorre, incrociando una molteplicità di punti di vista e cercando di superare l’impostazione “camorra-centrica” largamente diffusa nella pubblicistica e nel dibattito pubblico. D’altra parte, le vicende e i casi qui presi in esame non sono più circoscrivibili a una regione o a una parte specifica del paese. Gli studi qui presentati offrono quindi modelli interpretativi utili per analizzare anche fenomeni analoghi in altre realtà. L’ottica privilegiata mette a fuoco le relazioni di interdipendenza che si sviluppano, in modo tutt’altro che lineare, tra la camorra e i contesti di riferimento, descrivendo i processi che hanno trasformato il territorio nel “paesaggio” delle ecocamorre. Si tratta di caratteristiche che è importante tenere presente per comprendere il ruolo di primo piano che i clan di camorra sono riusciti progressivamente a occupare nei settori ormai tipicamente riconducibili all’ecomafia, dall’edilizia al traffico di rifiuti e all’agroalimentare, per citare solo i più rilevanti. Tutti campi di attività strettamente legati al territorio, che hanno origine grazie alle risorse e opportunità che esso offre e che, al tempo stesso, su di esso producono gli effetti più devastanti. Gran parte delle riflessioni e analisi contenute in questo numero è rivolta inevitabilmente alla questione dei rifiuti come aspetto rilevante di una più generale questione ambientale. Una “questione” che non è stata creata dalla camorra, anche se essa ha saputo cogliere con successo le crescenti opportunità di profitto che si aprivano nel settore, maturate soprattutto nell’ambito del movimento terra e dell’edilizia, e favorite da scelte organizzative e amministrative inadeguate e di corto respiro. Negli ultimi anni la rotta del traffico di rifiuti ha subito un’inversione di marcia, indirizzandosi non più verso il Sud ma verso lo stesso Nord, anzi sempre più spesso verso l’estero. Un destino che, del resto, sembra riguardare anche le pratiche abusive di uso dei suoli sempre più spesso all’origine dei disastri che sono divenuti ormai cronaca quotidiana. Stanno cambiando anche le modalità operative, caratterizzate ancor più che in passato da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti leciti e illeciti. E infatti, per capire a pieno il dilagare del fenomeno delle ecocamorre occorre guardare al ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio e chiamare in causa le pesanti responsabilità del ceto politico e delle amministrazioni locali, insieme a quelle di una vasta schiera di imprenditori, professionisti, tecnici e funzionari. Si tratta di quell’area grigia in cui prendono concretamente forma comportamenti opportunistici e accordi collusivi di vario tipo. È in questa area che troviamo i veri punti di forza e le ragioni del successo delle ecocamorre, divenute un attore di primo piano nella stessa governance degli assetti territoriali. In questo numero di Meridiana vengono quindi esaminati i processi di distruzione del territorio, focalizzando l’attenzione sull’uso dissennato delle risorse naturali, sul devastante consumo di suoli, sul dilagante abusivismo edilizio, sulla cronica debolezza dell’azione amministrativa, sui varchi lasciati aperti dall’adozione di politiche pubbliche anche nazionali poco attente alle implicazioni distruttive sul piano sociale ed ambientale, sull’assenza di adeguati strumenti urbanistici, sulla diffusione di pratiche di illegalità e corruzione a tutti i livelli. Una situazione certamente difficile e gravemente compromessa, che però non è da considerare né irredimibile né irreversibile seppur così intimamente legata anche alle debolezze e alle contraddizioni delle forze che compongono l’ambientalismo italiano. È possibile indicare percorsi di uscita da Gomorra. La strada è quella di avviare progetti pubblici e partecipati di riconquista, recupero e governo del territorio.
Ecocamorre
SCIARRONE, Rocco
2012-01-01
Abstract
I saggi che compongono questo fascicolo della rivista offrono una lettura articolata del fenomeno delle ecocamorre, incrociando una molteplicità di punti di vista e cercando di superare l’impostazione “camorra-centrica” largamente diffusa nella pubblicistica e nel dibattito pubblico. D’altra parte, le vicende e i casi qui presi in esame non sono più circoscrivibili a una regione o a una parte specifica del paese. Gli studi qui presentati offrono quindi modelli interpretativi utili per analizzare anche fenomeni analoghi in altre realtà. L’ottica privilegiata mette a fuoco le relazioni di interdipendenza che si sviluppano, in modo tutt’altro che lineare, tra la camorra e i contesti di riferimento, descrivendo i processi che hanno trasformato il territorio nel “paesaggio” delle ecocamorre. Si tratta di caratteristiche che è importante tenere presente per comprendere il ruolo di primo piano che i clan di camorra sono riusciti progressivamente a occupare nei settori ormai tipicamente riconducibili all’ecomafia, dall’edilizia al traffico di rifiuti e all’agroalimentare, per citare solo i più rilevanti. Tutti campi di attività strettamente legati al territorio, che hanno origine grazie alle risorse e opportunità che esso offre e che, al tempo stesso, su di esso producono gli effetti più devastanti. Gran parte delle riflessioni e analisi contenute in questo numero è rivolta inevitabilmente alla questione dei rifiuti come aspetto rilevante di una più generale questione ambientale. Una “questione” che non è stata creata dalla camorra, anche se essa ha saputo cogliere con successo le crescenti opportunità di profitto che si aprivano nel settore, maturate soprattutto nell’ambito del movimento terra e dell’edilizia, e favorite da scelte organizzative e amministrative inadeguate e di corto respiro. Negli ultimi anni la rotta del traffico di rifiuti ha subito un’inversione di marcia, indirizzandosi non più verso il Sud ma verso lo stesso Nord, anzi sempre più spesso verso l’estero. Un destino che, del resto, sembra riguardare anche le pratiche abusive di uso dei suoli sempre più spesso all’origine dei disastri che sono divenuti ormai cronaca quotidiana. Stanno cambiando anche le modalità operative, caratterizzate ancor più che in passato da processi di compenetrazione e ibridazione tra circuiti leciti e illeciti. E infatti, per capire a pieno il dilagare del fenomeno delle ecocamorre occorre guardare al ruolo delle istituzioni pubbliche nella gestione e regolazione del territorio e chiamare in causa le pesanti responsabilità del ceto politico e delle amministrazioni locali, insieme a quelle di una vasta schiera di imprenditori, professionisti, tecnici e funzionari. Si tratta di quell’area grigia in cui prendono concretamente forma comportamenti opportunistici e accordi collusivi di vario tipo. È in questa area che troviamo i veri punti di forza e le ragioni del successo delle ecocamorre, divenute un attore di primo piano nella stessa governance degli assetti territoriali. In questo numero di Meridiana vengono quindi esaminati i processi di distruzione del territorio, focalizzando l’attenzione sull’uso dissennato delle risorse naturali, sul devastante consumo di suoli, sul dilagante abusivismo edilizio, sulla cronica debolezza dell’azione amministrativa, sui varchi lasciati aperti dall’adozione di politiche pubbliche anche nazionali poco attente alle implicazioni distruttive sul piano sociale ed ambientale, sull’assenza di adeguati strumenti urbanistici, sulla diffusione di pratiche di illegalità e corruzione a tutti i livelli. Una situazione certamente difficile e gravemente compromessa, che però non è da considerare né irredimibile né irreversibile seppur così intimamente legata anche alle debolezze e alle contraddizioni delle forze che compongono l’ambientalismo italiano. È possibile indicare percorsi di uscita da Gomorra. La strada è quella di avviare progetti pubblici e partecipati di riconquista, recupero e governo del territorio.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.