Il rischio di trombosi venosa profonda in gravidanza e durante il puerperio raggiunge lo 0.05-1,8%, sei volte maggiore di quello al di fuori della gravidanza, e l’embolia polmonare rimane oggi la principale causa di morte materna; le trombofilie, acquisite o congenite, aumentano tale rischio, anche se in misura non del tutto quantificata. Inoltre, stati trombofilici acquisiti o congeniti si riscontrano approssimativamente nel 60% delle donne con patologie ostetriche quali sindrome da aborto ripetuto, preeclampsia, iposviluppo fetale, distacco di placenta o morte intrauterina del feto, situazioni sempre associate con fenomeni microtrobotici a carico dei vasi placentari. La gestione clinica corretta delle gravide trombofiliche deve quindi porsi due obiettivi: 1) prevenire la comparsa di trombosi venose o arteriose; 2) ottenere un esito della gravidanza positivo sia per la madre che per il feto. Per quanto riguarda le trombofilie congenite l’entità del rischio trombotico dipende dal tipo di trombofilia e dall’eventuale associazione di più stati trombofilici. I deficit di ATIII, di proteina C o di proteina S sono fattori ad alto rischio trombotico in gravidanza. Il fattore V Leiden è stato riscontrato nel 46% delle donne affette da trombosi venosa in gravidanza e la mutazione G20210A della protrombina aumenta il rischio trombotico in gravidanza di almeno 3 volte, soprattutto in donne con complicanze ostetriche. L’iperomocisteinemia è frequentemente associata alla mutazione C677T in omozigosi della variante termolabile della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR). Il potere trombogenico dell’iperomocisteinemia in gravidanza rimane poco chiaro. L’omocisteinemia diminuisce di solito nel corso della gestazione e molte gravide assumono regolarmente acido folico che è in grado di ridurre ulteriormente i livelli plasmatici dell’omocisteina. Forse per tali motivi non è stata riscontrata un’associazione tra la mutazione C677T e l’incidenza di trombosi venose in gravidanza. Alcuni dati della letteratura suggeriscono che le trombofilie congenite svolgono un ruolo nella patogenesi delle perdite fetali ripetute, in particolare del secondo trimestre, che sono associate ad una più elevata prevalenza di FV Leiden, F II G20210A e MTHFR C677T rispetto ai controlli. Molto più incerta è invece l’associazione fra trombofilie congenite e sindrome da aborto ricorrente. Numerose osservazioni ottenute da studi controllati hanno evidenziato la presenza di un’associazione fra trombofilie congenite e complicanze ostetriche tardive, quali la preeclampsia grave, la sindrome HELLP, il distacco di placenta e la morte endouterina del terzo trimestre. L’efficacia della profilassi delle ricorrenze con ASA a basse dosi o con eparina a basso peso molecolare è tuttora in corso di studio. In alcuni soggetti asintomatici la presenza di trombofilie congenite può essere ricercata per motivi di familiarità. In tali soggetti, si raccomanda una attenta sorveglianza clinica durante la gravidanza ed eventualmente la profilassi antitrombotica con LMWH nelle ultime settimane di gestazione e nelle prime 2-6 settimane di puerperio, al fine di prevenire l’insorgenza di trombosi venose. La profilassi antitrombotica è particolarmente indicata nei soggetti destinati al taglio cesareo. L’elastocompressione e sempre consigliabile. Secondo alcuni Autori, la presenza di deficit di ATIII, di proteina C o di proteina S, l’omozigosi per il FV Leiden e per la mutazione del fattore II, e l’associazione di più stati trombofilici, permettono di considerare i soggetti “ad alto rischio” trombotico, indipendentemente dall’anamnesi. Sebbene non esistano sufficienti evidenze sperimentali, pare ragionevole che in tali pazienti la profilassi antitrombotica in gravidanza sia comunque intrapresa fino dall’inizio della gravidanza. Al momento non vi sono indicazioni all’esecuzione di routine dello screening trombofilico nelle gravide prive di fattori di rischio anamnestico familiari o personali.

Gravidanza e Coagulopatie su base genetica – Il ginecologo

Benedetto C.;MAROZIO, Luca
2012-01-01

Abstract

Il rischio di trombosi venosa profonda in gravidanza e durante il puerperio raggiunge lo 0.05-1,8%, sei volte maggiore di quello al di fuori della gravidanza, e l’embolia polmonare rimane oggi la principale causa di morte materna; le trombofilie, acquisite o congenite, aumentano tale rischio, anche se in misura non del tutto quantificata. Inoltre, stati trombofilici acquisiti o congeniti si riscontrano approssimativamente nel 60% delle donne con patologie ostetriche quali sindrome da aborto ripetuto, preeclampsia, iposviluppo fetale, distacco di placenta o morte intrauterina del feto, situazioni sempre associate con fenomeni microtrobotici a carico dei vasi placentari. La gestione clinica corretta delle gravide trombofiliche deve quindi porsi due obiettivi: 1) prevenire la comparsa di trombosi venose o arteriose; 2) ottenere un esito della gravidanza positivo sia per la madre che per il feto. Per quanto riguarda le trombofilie congenite l’entità del rischio trombotico dipende dal tipo di trombofilia e dall’eventuale associazione di più stati trombofilici. I deficit di ATIII, di proteina C o di proteina S sono fattori ad alto rischio trombotico in gravidanza. Il fattore V Leiden è stato riscontrato nel 46% delle donne affette da trombosi venosa in gravidanza e la mutazione G20210A della protrombina aumenta il rischio trombotico in gravidanza di almeno 3 volte, soprattutto in donne con complicanze ostetriche. L’iperomocisteinemia è frequentemente associata alla mutazione C677T in omozigosi della variante termolabile della metilentetraidrofolato-reduttasi (MTHFR). Il potere trombogenico dell’iperomocisteinemia in gravidanza rimane poco chiaro. L’omocisteinemia diminuisce di solito nel corso della gestazione e molte gravide assumono regolarmente acido folico che è in grado di ridurre ulteriormente i livelli plasmatici dell’omocisteina. Forse per tali motivi non è stata riscontrata un’associazione tra la mutazione C677T e l’incidenza di trombosi venose in gravidanza. Alcuni dati della letteratura suggeriscono che le trombofilie congenite svolgono un ruolo nella patogenesi delle perdite fetali ripetute, in particolare del secondo trimestre, che sono associate ad una più elevata prevalenza di FV Leiden, F II G20210A e MTHFR C677T rispetto ai controlli. Molto più incerta è invece l’associazione fra trombofilie congenite e sindrome da aborto ricorrente. Numerose osservazioni ottenute da studi controllati hanno evidenziato la presenza di un’associazione fra trombofilie congenite e complicanze ostetriche tardive, quali la preeclampsia grave, la sindrome HELLP, il distacco di placenta e la morte endouterina del terzo trimestre. L’efficacia della profilassi delle ricorrenze con ASA a basse dosi o con eparina a basso peso molecolare è tuttora in corso di studio. In alcuni soggetti asintomatici la presenza di trombofilie congenite può essere ricercata per motivi di familiarità. In tali soggetti, si raccomanda una attenta sorveglianza clinica durante la gravidanza ed eventualmente la profilassi antitrombotica con LMWH nelle ultime settimane di gestazione e nelle prime 2-6 settimane di puerperio, al fine di prevenire l’insorgenza di trombosi venose. La profilassi antitrombotica è particolarmente indicata nei soggetti destinati al taglio cesareo. L’elastocompressione e sempre consigliabile. Secondo alcuni Autori, la presenza di deficit di ATIII, di proteina C o di proteina S, l’omozigosi per il FV Leiden e per la mutazione del fattore II, e l’associazione di più stati trombofilici, permettono di considerare i soggetti “ad alto rischio” trombotico, indipendentemente dall’anamnesi. Sebbene non esistano sufficienti evidenze sperimentali, pare ragionevole che in tali pazienti la profilassi antitrombotica in gravidanza sia comunque intrapresa fino dall’inizio della gravidanza. Al momento non vi sono indicazioni all’esecuzione di routine dello screening trombofilico nelle gravide prive di fattori di rischio anamnestico familiari o personali.
2012
Benedetto C.; Marozio L.
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