Vecchi e nuovi migranti, rifugiati, richiedenti asilo: come scrive Paul Gilroy in Dopo l’impero, a questa lista di alieni storicamente indesiderati dalla coscienza occidentale andrebbe oggi aggiunta la figura, altrettanto equivoca e priva di diritti, della vittima della cosiddetta ‘guerra al terrore’. Ciò è emerso molto chiaramente quest’anno, con la scoperta che una novantina di uomini erano detenuti nella caserma britannica di Camp Bastion (Afghanistan) in condizioni disumane, arbitrariamente e indefinitamente, giacché il governo di Cameron aveva esteso le misure eccezionali a tutti i prigionieri locali (vedi Manifesto 30-5-13, p. 8). Il fenomeno si sta sviluppando anche dentro i confini britannici. Il 5 ottobre scorso, Parliament Square ha ospitato un raduno di protesta per chiedere la liberazione di Talha Ahsan, a un anno dalla sua estradizione negli Stati Uniti. Talha Ahsan è un cittadino britannico di origine bengalese arrestato nel 2006 nella sua casa di Londra perché accusato dagli Stati Uniti di aver supportato, tramite Internet, terroristi islamici prima dell’11 settembre. Dal 2006 fino alla sua estradizione nel 2012, Talha non viene mai interrogato (né tantomeno accusato formalmente) dalle autorità britanniche, poiché il suo arresto avviene nel quadro di una legge d’estradizione del 2003 (voluta dal governo Laburista, approvata senza dibattito parlamentare, e mai cancellata dalla seguente coalizione Conservatori-Liberal Democratici), grazie alla quale gli USA possono chiedere l’estradizione di un sospetto di attività terroristiche senza presentare alcuna prova. Una rinuncia alla sovranità nazionale britannica, quindi, che in un certo senso equivale a legalizzare le extraordinary rendition. Ma Ahsan è anche un poeta che usa l’arma della scrittura per sopravvivere, resistere, e per informare della situazione kafkiana in cui si è venuto a trovare. Un poeta di talento, i cui versi vanno ben oltre lo spirito di denuncia e di testimonianza. Nella poesia Condanna a vita (cf. riquadro), l’immagine dello specchio vuoto è un’allusione inquietante a come lo ‘stato di eccezione’ che domina la nostra contemporaneità possa spazzare via un individuo e renderlo incorporeo, richiamando fantasie distopiche come la ‘vaporizzazione’ dei nemici in 1984 di Orwell. Il «buco spalancato» pronto a inghiottirci ricompare nella poesia Mind the Gap dove, ironizzando amaramente sull’ «Attenti al buco» che i londinesi si sentono ripetere ogni volta che scendono da una treno della metropolitana, Ahsan costruisce una serie di versi pieni di parentesi vuote, come gli omissis delle prove non presentate dall’accusa statunitense contro di lui. Queste e altre poesie sono incluse nel volumetto This Be the Answer: Poems from Prison (Sia questa la risposta: Poesie dalla prigione; Edimburgo: Radio Ramadan, 2011, pp. 24). Nel componimento che dà il titolo alla raccolta, «Un prigioniero in ginocchio / strofina il bordo di un water» mentre una guardia gli urla «Dov’è il tuo Dio, adesso?» La risposta del prigioniero, appunto, è una memorabile testimonianza della dignità umana, prima ancora che del sentimento religioso: «Lui è con me, capo. / / Il mio Dio è con me adesso, / sente e vede, / mentre i vostri superiori / quando vi vedono, non vi guardano / e quando vi sentono, non vi ascoltano. / / Il mio Dio è aldilà del cielo / e più vicino a me della mia giugulare / mentre i vostri superiori, non diversi da voi / non vi fanno andare oltre la scrivania. / / Il mio Dio vuole che lo chiami / mentre con i vostri superiori voi dovete bussare.» Per ogni immigrato in Gran Bretagna, di prima o seconda generazione, queste parole inevitabilmente richiamano il grande, irrisolto problema del razzismo istituzionale che li circonda, per il quale ogni tipo di straniero rappresenta una minaccia. Sui grandi media e nelle sedi istituzionali, ad esempio, tutto il dibattito sull’estradizione è stato dominato dall’eventualità che un inglese bianco possa finire vittima della legge del 2003 (per non parlare del fango riversato dai tabloid più nazionalisti sugli arrestati di origine straniera). La coesistenza di culture diverse è un tema ricorrente, nella poesia di Ahsan. Ritorno all’esilio, per esempio, sembra descrivere un viaggio alle sue radici asiatiche: «lo scoppiettio è iniziato tra schiarirsi di gole, / canti di devoti e grida d’ambulanti, / in gara per l’attenzione di moltitudini / emerse da rive verdeggianti. / / Come dolci levati da un ribollire di tinozze, / i volti crepitano per le mie goffe vocali.» Fin qui ho citato poesie pubblicate nella raccolta menzionata sopra. In questi anni Ahsan ne ha composte molte altre, diffuse dall’instancabile fratello Hamja, dai parenti, da amici e intellettuali britannici che prendono parte alle varie iniziative per la sua liberazione (www.freetalha.org). Fiocchi di neve (cf. riquadro) riprende il tema di una società normalizzata che esclude il diverso (e, di nuovo, sembra renderlo invisibile) anche nei suoi momenti più comunitari. Il Ministro degli Interni Theresa May ha espresso pubblicamente il suo sollievo, quando Ahsan è stato estradato negli USA; e qualche giorno dopo ha cancellato l’estradizione dell’inglese bianco Gary McKinnon (perseguito dagli USA per hackeraggio) poiché affetto da autismo. Il fatto che anche Ahsan soffra di Sindrome di Asperger non sembra aver toccato il ministro, né i giudici che hanno bocciato i vari ricorsi contro la sua estradizione. Nella poesia In una landa straniera, Ahsan si descrive come «Calligrafia per un cieco, / Musica per sordi, io sono / A riposo, una pietra/ Pulsante in un pugno– / Lasciato andare, / Un aquilone.» Detenuto in Connecticut dall’ottobre 2012, con il processo previsto per marzo 2014, Ahsan rischia una lunga condanna in una delle carceri di massima sicurezza statunitensi. Nei dolenti versi di In lutto (vincitrice del Premio Koestler 2012), descrive un funerale: «Fermatasi la poesia del tuo sangue / siamo qui alla tua tomba / e quando mi volto / come un tuorlo / nel mio pugno / la sua manina.» Ma anche in una situazione come la sua, anche in un periodo oscuro come questo (lo scorso settembre David Cameron ha promesso ai suoi elettori di far uscire la Gran Bretagna dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani, per facilitare le deportazioni di stranieri), mi piace pensare ad Ahsan citando la sua poesia intitolata Inciso su un muro: «come un pezzo di carta, piegato e ripiegato, / divento più forte, più difficile da strappare.»

Talha Ahsan: Una dura resistenza alla condanna in forma di versi

DEANDREA, Pietro
2013-01-01

Abstract

Vecchi e nuovi migranti, rifugiati, richiedenti asilo: come scrive Paul Gilroy in Dopo l’impero, a questa lista di alieni storicamente indesiderati dalla coscienza occidentale andrebbe oggi aggiunta la figura, altrettanto equivoca e priva di diritti, della vittima della cosiddetta ‘guerra al terrore’. Ciò è emerso molto chiaramente quest’anno, con la scoperta che una novantina di uomini erano detenuti nella caserma britannica di Camp Bastion (Afghanistan) in condizioni disumane, arbitrariamente e indefinitamente, giacché il governo di Cameron aveva esteso le misure eccezionali a tutti i prigionieri locali (vedi Manifesto 30-5-13, p. 8). Il fenomeno si sta sviluppando anche dentro i confini britannici. Il 5 ottobre scorso, Parliament Square ha ospitato un raduno di protesta per chiedere la liberazione di Talha Ahsan, a un anno dalla sua estradizione negli Stati Uniti. Talha Ahsan è un cittadino britannico di origine bengalese arrestato nel 2006 nella sua casa di Londra perché accusato dagli Stati Uniti di aver supportato, tramite Internet, terroristi islamici prima dell’11 settembre. Dal 2006 fino alla sua estradizione nel 2012, Talha non viene mai interrogato (né tantomeno accusato formalmente) dalle autorità britanniche, poiché il suo arresto avviene nel quadro di una legge d’estradizione del 2003 (voluta dal governo Laburista, approvata senza dibattito parlamentare, e mai cancellata dalla seguente coalizione Conservatori-Liberal Democratici), grazie alla quale gli USA possono chiedere l’estradizione di un sospetto di attività terroristiche senza presentare alcuna prova. Una rinuncia alla sovranità nazionale britannica, quindi, che in un certo senso equivale a legalizzare le extraordinary rendition. Ma Ahsan è anche un poeta che usa l’arma della scrittura per sopravvivere, resistere, e per informare della situazione kafkiana in cui si è venuto a trovare. Un poeta di talento, i cui versi vanno ben oltre lo spirito di denuncia e di testimonianza. Nella poesia Condanna a vita (cf. riquadro), l’immagine dello specchio vuoto è un’allusione inquietante a come lo ‘stato di eccezione’ che domina la nostra contemporaneità possa spazzare via un individuo e renderlo incorporeo, richiamando fantasie distopiche come la ‘vaporizzazione’ dei nemici in 1984 di Orwell. Il «buco spalancato» pronto a inghiottirci ricompare nella poesia Mind the Gap dove, ironizzando amaramente sull’ «Attenti al buco» che i londinesi si sentono ripetere ogni volta che scendono da una treno della metropolitana, Ahsan costruisce una serie di versi pieni di parentesi vuote, come gli omissis delle prove non presentate dall’accusa statunitense contro di lui. Queste e altre poesie sono incluse nel volumetto This Be the Answer: Poems from Prison (Sia questa la risposta: Poesie dalla prigione; Edimburgo: Radio Ramadan, 2011, pp. 24). Nel componimento che dà il titolo alla raccolta, «Un prigioniero in ginocchio / strofina il bordo di un water» mentre una guardia gli urla «Dov’è il tuo Dio, adesso?» La risposta del prigioniero, appunto, è una memorabile testimonianza della dignità umana, prima ancora che del sentimento religioso: «Lui è con me, capo. / / Il mio Dio è con me adesso, / sente e vede, / mentre i vostri superiori / quando vi vedono, non vi guardano / e quando vi sentono, non vi ascoltano. / / Il mio Dio è aldilà del cielo / e più vicino a me della mia giugulare / mentre i vostri superiori, non diversi da voi / non vi fanno andare oltre la scrivania. / / Il mio Dio vuole che lo chiami / mentre con i vostri superiori voi dovete bussare.» Per ogni immigrato in Gran Bretagna, di prima o seconda generazione, queste parole inevitabilmente richiamano il grande, irrisolto problema del razzismo istituzionale che li circonda, per il quale ogni tipo di straniero rappresenta una minaccia. Sui grandi media e nelle sedi istituzionali, ad esempio, tutto il dibattito sull’estradizione è stato dominato dall’eventualità che un inglese bianco possa finire vittima della legge del 2003 (per non parlare del fango riversato dai tabloid più nazionalisti sugli arrestati di origine straniera). La coesistenza di culture diverse è un tema ricorrente, nella poesia di Ahsan. Ritorno all’esilio, per esempio, sembra descrivere un viaggio alle sue radici asiatiche: «lo scoppiettio è iniziato tra schiarirsi di gole, / canti di devoti e grida d’ambulanti, / in gara per l’attenzione di moltitudini / emerse da rive verdeggianti. / / Come dolci levati da un ribollire di tinozze, / i volti crepitano per le mie goffe vocali.» Fin qui ho citato poesie pubblicate nella raccolta menzionata sopra. In questi anni Ahsan ne ha composte molte altre, diffuse dall’instancabile fratello Hamja, dai parenti, da amici e intellettuali britannici che prendono parte alle varie iniziative per la sua liberazione (www.freetalha.org). Fiocchi di neve (cf. riquadro) riprende il tema di una società normalizzata che esclude il diverso (e, di nuovo, sembra renderlo invisibile) anche nei suoi momenti più comunitari. Il Ministro degli Interni Theresa May ha espresso pubblicamente il suo sollievo, quando Ahsan è stato estradato negli USA; e qualche giorno dopo ha cancellato l’estradizione dell’inglese bianco Gary McKinnon (perseguito dagli USA per hackeraggio) poiché affetto da autismo. Il fatto che anche Ahsan soffra di Sindrome di Asperger non sembra aver toccato il ministro, né i giudici che hanno bocciato i vari ricorsi contro la sua estradizione. Nella poesia In una landa straniera, Ahsan si descrive come «Calligrafia per un cieco, / Musica per sordi, io sono / A riposo, una pietra/ Pulsante in un pugno– / Lasciato andare, / Un aquilone.» Detenuto in Connecticut dall’ottobre 2012, con il processo previsto per marzo 2014, Ahsan rischia una lunga condanna in una delle carceri di massima sicurezza statunitensi. Nei dolenti versi di In lutto (vincitrice del Premio Koestler 2012), descrive un funerale: «Fermatasi la poesia del tuo sangue / siamo qui alla tua tomba / e quando mi volto / come un tuorlo / nel mio pugno / la sua manina.» Ma anche in una situazione come la sua, anche in un periodo oscuro come questo (lo scorso settembre David Cameron ha promesso ai suoi elettori di far uscire la Gran Bretagna dalla Convenzione Europea dei Diritti Umani, per facilitare le deportazioni di stranieri), mi piace pensare ad Ahsan citando la sua poesia intitolata Inciso su un muro: «come un pezzo di carta, piegato e ripiegato, / divento più forte, più difficile da strappare.»
2013
23-11-2013
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16
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Deandrea P.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/140481
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