Nell’intervento si analizza e commenta la sentenza n. 231 del 2013 della Corte costituzionale, con cui il giudice costituzionale inserisce la voce della Costituzione nel conflitto fra il sindacato operaio più combattivo e il gruppo industriale più spregiudicato nella volontà di ridisegnare il lavoro. Dopo una prima parte relativa alla tipologia delle pronunce e alle tecniche argomentative, con specifica attenzione all’utilizzo della coerenza in senso verticale, alle argomentazioni storiche e teleologiche, al riferimento a precedenti pronunce, nonché, alla considerazione del fatto sotto la duplice fattispecie di mutamento degli scenari e “accreditamento normativo”, si ricostruisce il merito della questione e il significato della pronuncia della Corte. La Corte corregge la lettera dell’art. 19, c. 1, lett. b), dello Statuto dei lavoratori con una norma ancorata ad un dato effettivo - la partecipazione alle trattative quale indice di rappresentatività e forza contrattuale - per evitare una vera e propria «eterogenesi dei fini», che trasformi una disciplina tesa a garantire maggiore inclusività in un meccanismo di esclusione, vanificando l’intento promozionale dello Statuto e la tutela costituzionale della libertà sindacale ex art. 39 Cost. La volontà di tutelare la libertà sindacale permea profondamente la pronuncia. I rapporti di forza hanno mutato il profilo delle relazioni industriali, sempre più de-giuridicizzate e frammentate, il giudice costituzionale ricorda come anche nella liquidità delle relazioni industriali dell’era dei feudi aziendali esistano la Costituzione e le norme che la attuano: la mutazione del mondo del lavoro nello stato di natura hobbesiano non è nelle corde di una Costituzione, che, invece, vuole uno stato di società fondato sul lavoro e nella prospettiva dell’eguaglianza sostanziale, con le norme che ne conseguono in termini sostanziali e procedurali.
La libertà sindacale nei tempi moderni del biopotere aziendale. La Corte costituzionale e la voce della Costituzione nel conflitto Fiom versus Fiat
ALGOSTINO, Alessandra
2013-01-01
Abstract
Nell’intervento si analizza e commenta la sentenza n. 231 del 2013 della Corte costituzionale, con cui il giudice costituzionale inserisce la voce della Costituzione nel conflitto fra il sindacato operaio più combattivo e il gruppo industriale più spregiudicato nella volontà di ridisegnare il lavoro. Dopo una prima parte relativa alla tipologia delle pronunce e alle tecniche argomentative, con specifica attenzione all’utilizzo della coerenza in senso verticale, alle argomentazioni storiche e teleologiche, al riferimento a precedenti pronunce, nonché, alla considerazione del fatto sotto la duplice fattispecie di mutamento degli scenari e “accreditamento normativo”, si ricostruisce il merito della questione e il significato della pronuncia della Corte. La Corte corregge la lettera dell’art. 19, c. 1, lett. b), dello Statuto dei lavoratori con una norma ancorata ad un dato effettivo - la partecipazione alle trattative quale indice di rappresentatività e forza contrattuale - per evitare una vera e propria «eterogenesi dei fini», che trasformi una disciplina tesa a garantire maggiore inclusività in un meccanismo di esclusione, vanificando l’intento promozionale dello Statuto e la tutela costituzionale della libertà sindacale ex art. 39 Cost. La volontà di tutelare la libertà sindacale permea profondamente la pronuncia. I rapporti di forza hanno mutato il profilo delle relazioni industriali, sempre più de-giuridicizzate e frammentate, il giudice costituzionale ricorda come anche nella liquidità delle relazioni industriali dell’era dei feudi aziendali esistano la Costituzione e le norme che la attuano: la mutazione del mondo del lavoro nello stato di natura hobbesiano non è nelle corde di una Costituzione, che, invece, vuole uno stato di società fondato sul lavoro e nella prospettiva dell’eguaglianza sostanziale, con le norme che ne conseguono in termini sostanziali e procedurali.File | Dimensione | Formato | |
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