Lo scopo di questo saggio è quello di mettere in evidenza la profonda relazione che lega la filosofia di Adorno alla Critica del Giudizio di Kant, una connessione che soltanto pochi studiosi hanno considerato e che Adorno stesso non ha mai esplicitamente ammesso. Ciò si può spiegare per due ragioni fondamentali: la prima è che il filosofo francofortese considera la Terza Critica kantiana innanzitutto, anche se non esclusivamente, legata a una riflessione sull’arte che egli sente quanto mai lontana dalla sua sensibilità. Kant infatti impernia la sua estetica sulle nozioni di bellezza, armonia e piacere, prospettando sulla base di quest’ultimo la possibilità di un’universalità non concettuale che Adorno rifiuta. La seconda ragione è che il filosofo di Königsberg considera la Critica del Giudizio come il grandioso tentativo di legare l’esperienza estetica del piacere alla sfera intellettuale, mentre ad Adorno interessa evidenziare il carattere antagonistico e conflittuale della conoscenza, da condurre sotto il segno del non-identico, dell’emancipazione cioè da un pensiero che intende arrogantemente sovrapporre le proprie leggi alla realtà, finendo così per annichilirla. Si tenterà di mostrare come in realtà Adorno e il Kant della Critica del Giudizio, pur nelle loro innegabili differenze, contribuiscano a delineare un pensiero autoriflessivo, che tende a oltrepassare se stesso attraverso una riconsiderazione critica delle proprie assunzioni teoriche. Questo è per l’appunto il tratto che caratterizza la Terza Critica di Kant e che Adorno utilizza come leva per criticare la filosofia trascendentale nel suo complesso. Tale divergenza, come già detto, ha luogo non per il fatto che i due pensatori percorrano strade radicalmente diverse e inconciliabili – come lo stesso Adorno a più riprese sembra sostenere –, ma semplicemente perché piuttosto differenti risultano le loro strategie: Kant infatti utilizza principalmente l’analogia per stabilire un ponte tra le sfere della natura e della libertà, mentre Adorno tende a radicalizzare le espressioni paradossali che si trovano all’interno della Critica del Giudizio focalizzando l’attenzione sulla sproporzione suggerita dall’idea di sublime. Quest’ultimo concetto è infatti più facilmente spendibile in una filosofia come quella di Adorno, dove la ragione deve prendere coscienza dell’abisso che un illuminismo distruttivo ha scavato tra sé e la natura, ridotta a un’«esistenza in sé indurita», per poi superarlo, almeno in parte, attraverso la riscoperta della propria radice mimetico-naturale. Questo movimento ha lo scopo di enfatizzare l’aspetto linguistico-espressivo della speculazione filosofica e di aprire uno spazio di mediazione tra soggetto e oggetto, concetto e realtà, laddove Kant considera il Giudizio come termine medio tra ricettività e spontaneità.
Il concetto come spazio autoriflessivo. Temi della Critica del Giudizio nella filosofia di Adorno.
ZANETTI, ROBERTO
2014-01-01
Abstract
Lo scopo di questo saggio è quello di mettere in evidenza la profonda relazione che lega la filosofia di Adorno alla Critica del Giudizio di Kant, una connessione che soltanto pochi studiosi hanno considerato e che Adorno stesso non ha mai esplicitamente ammesso. Ciò si può spiegare per due ragioni fondamentali: la prima è che il filosofo francofortese considera la Terza Critica kantiana innanzitutto, anche se non esclusivamente, legata a una riflessione sull’arte che egli sente quanto mai lontana dalla sua sensibilità. Kant infatti impernia la sua estetica sulle nozioni di bellezza, armonia e piacere, prospettando sulla base di quest’ultimo la possibilità di un’universalità non concettuale che Adorno rifiuta. La seconda ragione è che il filosofo di Königsberg considera la Critica del Giudizio come il grandioso tentativo di legare l’esperienza estetica del piacere alla sfera intellettuale, mentre ad Adorno interessa evidenziare il carattere antagonistico e conflittuale della conoscenza, da condurre sotto il segno del non-identico, dell’emancipazione cioè da un pensiero che intende arrogantemente sovrapporre le proprie leggi alla realtà, finendo così per annichilirla. Si tenterà di mostrare come in realtà Adorno e il Kant della Critica del Giudizio, pur nelle loro innegabili differenze, contribuiscano a delineare un pensiero autoriflessivo, che tende a oltrepassare se stesso attraverso una riconsiderazione critica delle proprie assunzioni teoriche. Questo è per l’appunto il tratto che caratterizza la Terza Critica di Kant e che Adorno utilizza come leva per criticare la filosofia trascendentale nel suo complesso. Tale divergenza, come già detto, ha luogo non per il fatto che i due pensatori percorrano strade radicalmente diverse e inconciliabili – come lo stesso Adorno a più riprese sembra sostenere –, ma semplicemente perché piuttosto differenti risultano le loro strategie: Kant infatti utilizza principalmente l’analogia per stabilire un ponte tra le sfere della natura e della libertà, mentre Adorno tende a radicalizzare le espressioni paradossali che si trovano all’interno della Critica del Giudizio focalizzando l’attenzione sulla sproporzione suggerita dall’idea di sublime. Quest’ultimo concetto è infatti più facilmente spendibile in una filosofia come quella di Adorno, dove la ragione deve prendere coscienza dell’abisso che un illuminismo distruttivo ha scavato tra sé e la natura, ridotta a un’«esistenza in sé indurita», per poi superarlo, almeno in parte, attraverso la riscoperta della propria radice mimetico-naturale. Questo movimento ha lo scopo di enfatizzare l’aspetto linguistico-espressivo della speculazione filosofica e di aprire uno spazio di mediazione tra soggetto e oggetto, concetto e realtà, laddove Kant considera il Giudizio come termine medio tra ricettività e spontaneità.File | Dimensione | Formato | |
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