L’associazione tra “italiano e diritto” non è all’estero la più ovvia: un luogo comune spesso ripetuto, anche in sedi ufficiali, dice che la lingua del diritto dovrebbe essere il francese, mentre l’italiano sarebbe la lingua della canzone. E’ vero che la musicalità della lingua si presta a lasciare tracce all’estero, oltre che nel campo musicale stesso, nella denominazione di luoghi (Belvedere), locali (spesso ristoranti), prodotti che sfruttano la sonorità evocativa. Talvolta espressioni italiane sono assunte in senso traslato e estese al di là del significato primitivo. Se si esce dalla moda, dall’alimentazione, dall’arte, dalla scherma, si trovano lasciti interessanti nella navigazione e, di riflesso, nella giurisdizione per talune materie marittime. Anche l’ambito commerciale ha testimonianze importanti di termini italiani tuttora utilizzati in lingue straniere. Nel campo giuridico è però meno probabile trovare parole che abbiano successo per la loro stessa sonorità, indipendentemente dai concetti contenuti e la probabilità di esportazione dipende dalla chiarezza delle idee veicolate: se la nozione è fumosa (o nascosta sotto un eufemismo), è meno facile che si radichi altrove. Se si prescinde dall’eredità legata al diritto romano (molte parole che si ritrovano nelle lingue giuridiche altrui sono in realtà latine), l’esportazione dell’italiano giuridico è legata alle vicende di studiosi espatriati in epoca fascista, oppure all’imitazione di scelte legislative fatte in passato, ad esempio in campo penale (concatenazioni successive di imitazioni hanno portato il nostro diritto fino in Siria e in Turchia). Occasionalmente si trovano tuttora imitazioni, anche in luoghi remot i come il Giappone (diritto del lavoro, diritto costituzionale), ma i meccanismi di divulgazione del diritto italiano non sono così efficaci come potrebbero essere se teniamo conto dell’esperienza, ad esempio, francese.
Il diritto come strumento di diffusione dell’italiano in Europa e nel mondo
FERRERI, Silvia
2014-01-01
Abstract
L’associazione tra “italiano e diritto” non è all’estero la più ovvia: un luogo comune spesso ripetuto, anche in sedi ufficiali, dice che la lingua del diritto dovrebbe essere il francese, mentre l’italiano sarebbe la lingua della canzone. E’ vero che la musicalità della lingua si presta a lasciare tracce all’estero, oltre che nel campo musicale stesso, nella denominazione di luoghi (Belvedere), locali (spesso ristoranti), prodotti che sfruttano la sonorità evocativa. Talvolta espressioni italiane sono assunte in senso traslato e estese al di là del significato primitivo. Se si esce dalla moda, dall’alimentazione, dall’arte, dalla scherma, si trovano lasciti interessanti nella navigazione e, di riflesso, nella giurisdizione per talune materie marittime. Anche l’ambito commerciale ha testimonianze importanti di termini italiani tuttora utilizzati in lingue straniere. Nel campo giuridico è però meno probabile trovare parole che abbiano successo per la loro stessa sonorità, indipendentemente dai concetti contenuti e la probabilità di esportazione dipende dalla chiarezza delle idee veicolate: se la nozione è fumosa (o nascosta sotto un eufemismo), è meno facile che si radichi altrove. Se si prescinde dall’eredità legata al diritto romano (molte parole che si ritrovano nelle lingue giuridiche altrui sono in realtà latine), l’esportazione dell’italiano giuridico è legata alle vicende di studiosi espatriati in epoca fascista, oppure all’imitazione di scelte legislative fatte in passato, ad esempio in campo penale (concatenazioni successive di imitazioni hanno portato il nostro diritto fino in Siria e in Turchia). Occasionalmente si trovano tuttora imitazioni, anche in luoghi remot i come il Giappone (diritto del lavoro, diritto costituzionale), ma i meccanismi di divulgazione del diritto italiano non sono così efficaci come potrebbero essere se teniamo conto dell’esperienza, ad esempio, francese.File | Dimensione | Formato | |
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