La paleontologia viene quasi sempre presentata dai mass media come una disciplina che si occupa di scoperte sensazionali e di reperti fossili molto scenografici. Il dinosauro più grande o più aggressivo o addirittura nuotatore! L’uccello più antico. Il mammut liberato dal permafrost che conserva ancora il pelo. Le impronte di un uomo primitivo che ha camminato su una coltre di cenere eruttata da un vulcano africano. Il risultato è che i fossili sembrano essere qualcosa di lontano e irraggiungibile. In realtà, nella nostra vita quotidiana siamo costantemente a contatto con i fossili e i loro derivati perché grazie al carbone, al metano e soprattutto al petrolio siamo in grado non solo di scaldarci e di cucinare i cibi che mangiamo, ma anche di produrre elettricità e soprattutto la plastica che si presta ad una miriade di utilizzi diversi. Si obietterà che questi esempi sono parzialmente fuorvianti perché riguardano fossili che sono semplicemente dei materiali, delle materie prime, ma anche i fossili macroscopici sono solo apparentemente lontani. Da un lato è vero che è difficile trovare dei fossili in un affioramento in natura perché questi sono rari (e protetti dalla legge) e perché comunque molti di noi vivono quasi costantemente in città e quindi lontano dagli affioramenti. Dall’altro, nelle pietre da costruzione di origine sedimentaria che costituiscono marciapiedi e palazzi di città possono nascondersi dei fossili: foraminiferi, esseri unicellulari grandi talora come monete, ma anche conchiglie di bivalvi, gasteropodi e ammoniti grandi come ruote di bicicletta. In alcuni casi, addirittura elefanti! Ma le città ci offrono anche l’occasione di riflettere in modo giocoso sull’origine dei fossili. Cosa deve accadere affinché un organismo possa conservarsi nei sedimenti che diventeranno poi roccia? La risposta è semplice, ma riguarda un processo che in natura non è così comune. Per prima cosa i resti di un organismo devono essere in qualche modo protetti. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, alcuni oggetti sfuggono alla furia distruttrice (dovremmo dire “ripulitrice”) di scope, palette, mezzi per la pulizia delle strade, oppure all’acqua che tutto raccoglie e trasporta nei tombini (se avete fatto una passeggiata a Parigi avrete molto chiara questa immagine!). Non sono resti di organismi (sono solo le nostre tracce o i resti delle attività cittadine di noi esseri umani, gli organismi la cui presenza caratterizza le zone urbane) ma potremmo fare finta che lo siano e potremmo provare a cercali e fotografarli per farci raccontare delle storie. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, una moltitudine di oggetti molto diversi fra loro, quali tappi, bottoni e bulloni, più raramente lattine e perfino carcasse di cellulari, vengono parzialmente “annegati” nell’asfalto che li trattiene e li protegge, in qualche modo li fossilizza... salvandoli temporaneamente dalla distruzione. Nel quartiere di San Salvario, a Torino, i tappi di birra incastrati nelle giunzioni bituminose dell’asfalto delle strade e dei marciapiedi indicano chiaramente i punti in cui si concentra la vita notturna e i locali che vendono bevande a poco prezzo. Ci raccontano quindi, di giorno, quello che è successo di notte. Ancora a Torino, nella zona del mercato di Porta Palazzo, è addirittura possibile ritrovare, la sera quando i banchi del mercato hanno lasciato lo spazio a un enorme posteggio, le tracce dei banchi che vendono abbigliamento: incastrati nell’asfalto ci sono i ganci metallici delle grucce per abiti! Ma non è tutto qui. In città, asfalto e cemento fresco raccolgono anche le impronte di cani, gatti, tacchi e mezzi di trasporto vari… che sono l’esatto equivalente delle tracce di antichi organismi che i paleontologi chiamano icnofossili e che rappresentano dei fossili a tutti gli effetti. Una raccolta fotografica di questi oggetti “perduti e salvati”, in qualche modo dei “fossili urbani”, ci ricorda inoltre che dobbiamo agire in modo responsabile per gestire al meglio tutti quei prodotti di scarto che inevitabilmente produciamo (e che dovremmo cercare di ridurre al minimo). Un tappo di bottiglia perso per strada può rimanere per alcuni mesi intrappolato, “fossilizzato”, nell’asfalto, ma se perso in natura rimane certamente per degli anni. E la bottiglia (una vera trappola per molti piccoli animali) che inevitabilmente lo accompagna? Camminare in città in cerca di fossili veri nei materiali da costruzione, ma anche di “fossili urbani”, siano essi oggetti incastrati nell’asfalto o impronte nel cemento, non è certamente un gioco fine a se stesso, ma un’occasione per riflettere sul fatto che la paleontologia non si occupa solo di fossili eccezionali, molto scenografici e sempre molto lontani da noi: un fossile non è importante per la sua bellezza ma per le informazioni che racchiude e che uno studio accurato ci può svelare. E anche un tappo di bottiglia incastrato nell’asfalto, se si è disposti a giocare, nasconde delle informazioni e ci può raccontare una storia.

Fossili Urbani: riflessioni semiserie sui processi di fossilizzazione.

DELFINO, MASSIMO;GIARDINO, Marco;LOZAR, Francesca
2015-01-01

Abstract

La paleontologia viene quasi sempre presentata dai mass media come una disciplina che si occupa di scoperte sensazionali e di reperti fossili molto scenografici. Il dinosauro più grande o più aggressivo o addirittura nuotatore! L’uccello più antico. Il mammut liberato dal permafrost che conserva ancora il pelo. Le impronte di un uomo primitivo che ha camminato su una coltre di cenere eruttata da un vulcano africano. Il risultato è che i fossili sembrano essere qualcosa di lontano e irraggiungibile. In realtà, nella nostra vita quotidiana siamo costantemente a contatto con i fossili e i loro derivati perché grazie al carbone, al metano e soprattutto al petrolio siamo in grado non solo di scaldarci e di cucinare i cibi che mangiamo, ma anche di produrre elettricità e soprattutto la plastica che si presta ad una miriade di utilizzi diversi. Si obietterà che questi esempi sono parzialmente fuorvianti perché riguardano fossili che sono semplicemente dei materiali, delle materie prime, ma anche i fossili macroscopici sono solo apparentemente lontani. Da un lato è vero che è difficile trovare dei fossili in un affioramento in natura perché questi sono rari (e protetti dalla legge) e perché comunque molti di noi vivono quasi costantemente in città e quindi lontano dagli affioramenti. Dall’altro, nelle pietre da costruzione di origine sedimentaria che costituiscono marciapiedi e palazzi di città possono nascondersi dei fossili: foraminiferi, esseri unicellulari grandi talora come monete, ma anche conchiglie di bivalvi, gasteropodi e ammoniti grandi come ruote di bicicletta. In alcuni casi, addirittura elefanti! Ma le città ci offrono anche l’occasione di riflettere in modo giocoso sull’origine dei fossili. Cosa deve accadere affinché un organismo possa conservarsi nei sedimenti che diventeranno poi roccia? La risposta è semplice, ma riguarda un processo che in natura non è così comune. Per prima cosa i resti di un organismo devono essere in qualche modo protetti. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, alcuni oggetti sfuggono alla furia distruttrice (dovremmo dire “ripulitrice”) di scope, palette, mezzi per la pulizia delle strade, oppure all’acqua che tutto raccoglie e trasporta nei tombini (se avete fatto una passeggiata a Parigi avrete molto chiara questa immagine!). Non sono resti di organismi (sono solo le nostre tracce o i resti delle attività cittadine di noi esseri umani, gli organismi la cui presenza caratterizza le zone urbane) ma potremmo fare finta che lo siano e potremmo provare a cercali e fotografarli per farci raccontare delle storie. Tutti i giorni, sotto i nostri occhi, una moltitudine di oggetti molto diversi fra loro, quali tappi, bottoni e bulloni, più raramente lattine e perfino carcasse di cellulari, vengono parzialmente “annegati” nell’asfalto che li trattiene e li protegge, in qualche modo li fossilizza... salvandoli temporaneamente dalla distruzione. Nel quartiere di San Salvario, a Torino, i tappi di birra incastrati nelle giunzioni bituminose dell’asfalto delle strade e dei marciapiedi indicano chiaramente i punti in cui si concentra la vita notturna e i locali che vendono bevande a poco prezzo. Ci raccontano quindi, di giorno, quello che è successo di notte. Ancora a Torino, nella zona del mercato di Porta Palazzo, è addirittura possibile ritrovare, la sera quando i banchi del mercato hanno lasciato lo spazio a un enorme posteggio, le tracce dei banchi che vendono abbigliamento: incastrati nell’asfalto ci sono i ganci metallici delle grucce per abiti! Ma non è tutto qui. In città, asfalto e cemento fresco raccolgono anche le impronte di cani, gatti, tacchi e mezzi di trasporto vari… che sono l’esatto equivalente delle tracce di antichi organismi che i paleontologi chiamano icnofossili e che rappresentano dei fossili a tutti gli effetti. Una raccolta fotografica di questi oggetti “perduti e salvati”, in qualche modo dei “fossili urbani”, ci ricorda inoltre che dobbiamo agire in modo responsabile per gestire al meglio tutti quei prodotti di scarto che inevitabilmente produciamo (e che dovremmo cercare di ridurre al minimo). Un tappo di bottiglia perso per strada può rimanere per alcuni mesi intrappolato, “fossilizzato”, nell’asfalto, ma se perso in natura rimane certamente per degli anni. E la bottiglia (una vera trappola per molti piccoli animali) che inevitabilmente lo accompagna? Camminare in città in cerca di fossili veri nei materiali da costruzione, ma anche di “fossili urbani”, siano essi oggetti incastrati nell’asfalto o impronte nel cemento, non è certamente un gioco fine a se stesso, ma un’occasione per riflettere sul fatto che la paleontologia non si occupa solo di fossili eccezionali, molto scenografici e sempre molto lontani da noi: un fossile non è importante per la sua bellezza ma per le informazioni che racchiude e che uno studio accurato ci può svelare. E anche un tappo di bottiglia incastrato nell’asfalto, se si è disposti a giocare, nasconde delle informazioni e ci può raccontare una storia.
2015
Museo Regionale di Scienze Naturali, Torino
1
142
978-88-97189-20-6
Delfino, M.; Cirilli, F.; Giardino, M.; Lozar, F
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/2318/1573487
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