L’incontro tra scienza e potenza, tra istituzioni di ricerca e sviluppo della pratica bellica, costituisce una eredità essenziale dalla Grande Guerra. La consapevolezza di tale fusione e dei suoi paurosi, o magici, contenuti, appartiene all’intero contesto europeo ed anima, con segni diversi, tanto le ipotesi operative e dottrinali dei teorici della guerra tecnologica, quanto le politiche nazionali della scienza quanto, infine, le attese ed i timori delle popolazioni nel ventennio interbellico. In questo contesto, alla scienza ed a particolari applicazioni della tecnologia bellica si attribuivano virtualità insieme terribili e liberatorie, tali cioè da decidere con magica rapidità delle sorti di un eventuale conflitto, attraverso una irruzione improvvisa e risolutiva sul campo di battaglia o sul corpo vivo del nemico. Il mito di armi decisive scaturite direttamente da applicazioni belliche di scoperte o invenzioni impensate è parte di quel clima e percorre contesti sociali e nazionali diversi per almeno un decennio prima della nuova guerra mondiale. Partendo da questo dato generale e comune, il volume affronta la peculiare tematizzazione dell’incontro tra scienza e potenza che il regime fascista opera attraverso una consapevole politica, tesa a valorizzare gli elementi capaci di legittimare, ed in certo senso garantire, la plausibilità del volto di un’Italia nuova e imperiale, chiamata ad imporre la sua funzione storica nell’agone delle potenze. Il fascismo parla insieme il linguaggio della tradizione e della romanità, e quello di una modernità in parte superficiale e posticcia, orientata comunque a mobilitare e dare respiro al nazionalismo scientifico scaturito dall’esperienza bellica precedente. La valorizzazione fascista della tradizione scientifica nazionale incontra la disponibilità di tecnici e studiosi, animando una specifica e loquace sfera pubblica che funge anche, su un altro piano, da volano per il radicamento e l’uso politico di una versione mitico-magica della scienza. La tradizione e lo stereotipo del genio italiano vengono così animati in chiave di mobilitazione delle categorie tecniche e di “nazionalizzazione” degli inventori, e suggeriscono e legittimano l’illusione di esiti insieme gratificanti e liberatori alle istanze nazionali di potenza che avrebbero condotto alla guerra. In particolare, l’animazione del mito di Guglielmo Marconi costituisce uno dai cardini della politica di massa del regime, e la figura del grande bolognese diviene garante, con le misteriose potenzialità dischiuse dalle sue ricerche, degli esiti generali della spinta revisionista dell’Italia di Mussolini. La dimensione carismatica del potere mussoliniano troverà in questa risorsa prodigiosa uno dei suoi elementi di base. Quella così analizzata costituisce una politica ricca di riscontri sul piano della comunicazione pubblica e di ricadute organizzative per le istituzioni scientifiche del paese che lo studio affronta anche nei suoi effetti fra la popolazione, nella sua capacità di orientare gli atteggiamenti e le attese degli italiani. La periodizzazione trova nel 1935 uno spartiacque che opera a molti livelli. Esso fissa una decisiva confluenza di tensioni internazionali e dimostrazioni di forza, sviluppi istituzionali sul piano dell’organizzazione scientifica ed effettiva sperimentazione di modelli di mobilitazione collettiva, accelerando processi in parte già annunziati negli anni precedenti. Il riferimento finale al 1945 individua il passaggio in cui, a partire dalla sconfitta, rovinosa, si profila un approccio rivisto del paese alla modernità ed una derubricazione dei suoi pur recenti rapporti con il mito della potenza. Un disincanto che passa attraverso la constatazione della affluente e inarrivabile potenza dei liberatori e si nutre della speranza che da essa in questa chiave scaturisce, relegando la tradizione del “primato” e del genio nazionale a più modeste e pacificanti contestualizzazioni
Scienza e potenza. Miti della guerra moderna, istituzioni scientifiche e politica di massa nell’Italia fascista. 1935-1945
DI GIOVANNI, MARCO
2005-01-01
Abstract
L’incontro tra scienza e potenza, tra istituzioni di ricerca e sviluppo della pratica bellica, costituisce una eredità essenziale dalla Grande Guerra. La consapevolezza di tale fusione e dei suoi paurosi, o magici, contenuti, appartiene all’intero contesto europeo ed anima, con segni diversi, tanto le ipotesi operative e dottrinali dei teorici della guerra tecnologica, quanto le politiche nazionali della scienza quanto, infine, le attese ed i timori delle popolazioni nel ventennio interbellico. In questo contesto, alla scienza ed a particolari applicazioni della tecnologia bellica si attribuivano virtualità insieme terribili e liberatorie, tali cioè da decidere con magica rapidità delle sorti di un eventuale conflitto, attraverso una irruzione improvvisa e risolutiva sul campo di battaglia o sul corpo vivo del nemico. Il mito di armi decisive scaturite direttamente da applicazioni belliche di scoperte o invenzioni impensate è parte di quel clima e percorre contesti sociali e nazionali diversi per almeno un decennio prima della nuova guerra mondiale. Partendo da questo dato generale e comune, il volume affronta la peculiare tematizzazione dell’incontro tra scienza e potenza che il regime fascista opera attraverso una consapevole politica, tesa a valorizzare gli elementi capaci di legittimare, ed in certo senso garantire, la plausibilità del volto di un’Italia nuova e imperiale, chiamata ad imporre la sua funzione storica nell’agone delle potenze. Il fascismo parla insieme il linguaggio della tradizione e della romanità, e quello di una modernità in parte superficiale e posticcia, orientata comunque a mobilitare e dare respiro al nazionalismo scientifico scaturito dall’esperienza bellica precedente. La valorizzazione fascista della tradizione scientifica nazionale incontra la disponibilità di tecnici e studiosi, animando una specifica e loquace sfera pubblica che funge anche, su un altro piano, da volano per il radicamento e l’uso politico di una versione mitico-magica della scienza. La tradizione e lo stereotipo del genio italiano vengono così animati in chiave di mobilitazione delle categorie tecniche e di “nazionalizzazione” degli inventori, e suggeriscono e legittimano l’illusione di esiti insieme gratificanti e liberatori alle istanze nazionali di potenza che avrebbero condotto alla guerra. In particolare, l’animazione del mito di Guglielmo Marconi costituisce uno dai cardini della politica di massa del regime, e la figura del grande bolognese diviene garante, con le misteriose potenzialità dischiuse dalle sue ricerche, degli esiti generali della spinta revisionista dell’Italia di Mussolini. La dimensione carismatica del potere mussoliniano troverà in questa risorsa prodigiosa uno dei suoi elementi di base. Quella così analizzata costituisce una politica ricca di riscontri sul piano della comunicazione pubblica e di ricadute organizzative per le istituzioni scientifiche del paese che lo studio affronta anche nei suoi effetti fra la popolazione, nella sua capacità di orientare gli atteggiamenti e le attese degli italiani. La periodizzazione trova nel 1935 uno spartiacque che opera a molti livelli. Esso fissa una decisiva confluenza di tensioni internazionali e dimostrazioni di forza, sviluppi istituzionali sul piano dell’organizzazione scientifica ed effettiva sperimentazione di modelli di mobilitazione collettiva, accelerando processi in parte già annunziati negli anni precedenti. Il riferimento finale al 1945 individua il passaggio in cui, a partire dalla sconfitta, rovinosa, si profila un approccio rivisto del paese alla modernità ed una derubricazione dei suoi pur recenti rapporti con il mito della potenza. Un disincanto che passa attraverso la constatazione della affluente e inarrivabile potenza dei liberatori e si nutre della speranza che da essa in questa chiave scaturisce, relegando la tradizione del “primato” e del genio nazionale a più modeste e pacificanti contestualizzazioniFile | Dimensione | Formato | |
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