Ricorre nel 2016 il ventennale della nascita dei Pokemon. Prima videogiochi per Game Boy, sviluppati nel 1996 da Satoshi Tajiri, poi rispettivamente anime, manga, cards game, giocattoli, e un intero repertorio di gadget in grado di costituire un franchise di portata globale. I Pokemon così, sezionando trasversalmente più di una generazione, sono aumentati in numeri e tipologie adattandosi ai progressi sociali e tecnologici, ma mantenendo cristallizzata – formula che vince non si cambia – la loro matrice originaria: sono, e saranno sempre, innanzitutto animaletti...o meglio animaloidi. Soggetti a stretta tassonomia si dividono in base a capacità, habitat, personalità, in un range dal “coccoloso” (come gattini social) al gagliardo, ma soprattutto abitano un universo narrativo ove è considerato ordinario, anzi lodevole, catturarli (“gotta catch 'em all”) per farne i propri compagni di avventura, da spendere in lotte estenuanti con i loro simili. Nell'ordine si identificano: la cattività come condizione di realizzazione positiva, e dell'allenatore e del Pokemon stesso, specie quindi mutila senza l'umano, e lo scontro senza esclusione di colpi atto ad accrescere il prestigio dell'allenatore stesso, pur facendone le spese il Pikachu di turno. Inevitabile pertanto in sede semiotica mappare una lampante assiologia rovesciata, ove l'idea di essere “padroni” dell'animale e di poterlo usare a proprio piacimento (peraltro trattenendolo in una mini-sfera quando non sia utile) è proposta in termini assolutamente positivi, senza che si discuta la liceità dell'assioma morale soggiacente. Ergo appare curioso come una società sempre più attenta alle questioni animalistiche e che sempre di più si batte contro lo specismo, accetti di buon grado – salvo qualche reclamo della PETA – i regimi discorsivi che i Pokemon portano con sé, tanto più nel 2016, anno del rilascio dell'app Pokemon Go che grazie alla realtà aumentata consente di trovare le bestiole sparse per il mondo e, q.e.d., acchiapparle...collezionarle, come farfalle in una teca (dicesi Pokedex, portmanteau di Pokemon e Rolodex). È necessario quindi comprendere non solo quali siano i valori che la poke-diegesi veicola, quali siano le peculiarità linguistiche degli esserini, che comunicano tendenzialmente ripetendo ad libitum il loro nome, ma anche interrogarsi sulla ricezione dei testi che questi abitano, e su quale sia il confine fra animale e animaloide, per una nuova zoosemiotica, che ne giustifica il successo a scanso di ogni critica.
Zoosemiotica dei Pokémon
SURACE BRUNO
2017-01-01
Abstract
Ricorre nel 2016 il ventennale della nascita dei Pokemon. Prima videogiochi per Game Boy, sviluppati nel 1996 da Satoshi Tajiri, poi rispettivamente anime, manga, cards game, giocattoli, e un intero repertorio di gadget in grado di costituire un franchise di portata globale. I Pokemon così, sezionando trasversalmente più di una generazione, sono aumentati in numeri e tipologie adattandosi ai progressi sociali e tecnologici, ma mantenendo cristallizzata – formula che vince non si cambia – la loro matrice originaria: sono, e saranno sempre, innanzitutto animaletti...o meglio animaloidi. Soggetti a stretta tassonomia si dividono in base a capacità, habitat, personalità, in un range dal “coccoloso” (come gattini social) al gagliardo, ma soprattutto abitano un universo narrativo ove è considerato ordinario, anzi lodevole, catturarli (“gotta catch 'em all”) per farne i propri compagni di avventura, da spendere in lotte estenuanti con i loro simili. Nell'ordine si identificano: la cattività come condizione di realizzazione positiva, e dell'allenatore e del Pokemon stesso, specie quindi mutila senza l'umano, e lo scontro senza esclusione di colpi atto ad accrescere il prestigio dell'allenatore stesso, pur facendone le spese il Pikachu di turno. Inevitabile pertanto in sede semiotica mappare una lampante assiologia rovesciata, ove l'idea di essere “padroni” dell'animale e di poterlo usare a proprio piacimento (peraltro trattenendolo in una mini-sfera quando non sia utile) è proposta in termini assolutamente positivi, senza che si discuta la liceità dell'assioma morale soggiacente. Ergo appare curioso come una società sempre più attenta alle questioni animalistiche e che sempre di più si batte contro lo specismo, accetti di buon grado – salvo qualche reclamo della PETA – i regimi discorsivi che i Pokemon portano con sé, tanto più nel 2016, anno del rilascio dell'app Pokemon Go che grazie alla realtà aumentata consente di trovare le bestiole sparse per il mondo e, q.e.d., acchiapparle...collezionarle, come farfalle in una teca (dicesi Pokedex, portmanteau di Pokemon e Rolodex). È necessario quindi comprendere non solo quali siano i valori che la poke-diegesi veicola, quali siano le peculiarità linguistiche degli esserini, che comunicano tendenzialmente ripetendo ad libitum il loro nome, ma anche interrogarsi sulla ricezione dei testi che questi abitano, e su quale sia il confine fra animale e animaloide, per una nuova zoosemiotica, che ne giustifica il successo a scanso di ogni critica.File | Dimensione | Formato | |
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