In (2014), Mark Sainsbury ha sostenuto le due seguenti tesi: primo, che esiste una varietà di operatori di finzione, in particolare l’operatore “secondo f ” e quello “in f ”, che danno un differente contributo semantico agli enunciati complessi che contribuiscono a generare; secondo, che nessun loro trattamento semantico basato su mondi possibili funziona. In questo saggio voglio mostrare che, una volta che si reinterpreti opportunamente quel che Sainsbury sostiene, egli è interamente nel giusto per quanto riguarda la sua prima tesi, ma lo è solo parzialmente per quanto riguarda la seconda tesi. Per iniziare, voglio interpretare la distinzione tra l’operatore “secondo f ” e quello “in f ” come distinzione che coinvolge il far finta da una parte e la pura e semplice realtà dall’altra. Per me infatti il primo operatore forma un enunciato complesso incassante un altro enunciato che è usato finzionalmente, ossia usato all’interno di un gioco di fare finta. Il secondo operatore invece semplicemente impegna all’esistenza di storie che sono insiemi di proposizioni. L’enunciato che in questo secondo caso l’operatore contribuisce ad incassare esprime una proposizione siffatta quando è usato in modo internamente metafittizio; per parlare cioè della finzione ma da fuori di essa. Come conseguenza di quest’interpretazione, abbiamo che il primo operatore è un ‘mostro’ nel senso di Kaplan (1989), in quanto comporta uno slittamento quanto all’enunciato incassato non solo delle sue circostanze di valutazione, ma anche del suo contesto stretto di interpretazione. Come tale, il primo operatore è effettivamente un operatore intensionale ma sofisticato; un enunciato complesso del tipo “secondo f, p” in un contesto reale di interpretazione è realmente vero, cioè, vero nel mondo reale di quel contesto, sse l’enunciato incassato “p” in un contesto fittizio di interpretazione, il cui parametro ‘mondo’ è saturato dal mondo dal mondo del rilevante gioco di far finta, è fittiziamente vero in quel mondo. Ma il secondo operatore non è neppure un operatore intensionale standard: un enunciato complesso della forma “in f, p” è realmente vero sse la proposizione espressa dall’enunciato incassato “p”, quando usato in modo internamente metafittizio, appartiene all’insieme di proposizioni che costituisce la storia fittizia designata dal termine “f”. In verità, un enunciato complesso della forma “secondo f, p” è al tempo stesso tanto realmente vero e non impegnato ontologicamente a personaggi fittizi, mentre un enunciato complesso della forma “in f, p” può essere tanto realmente vero quanto suggerire un impegno ontologico a tali personaggi. Tuttavia, la ragione principale per questa differenza tra operatori di finzione non è ontologica ma epistemica. In virtù di tale differenza, si può in effetti garantire tanto un senso in cui facciamo scoperte genuine sulla finzione quanto un senso in cui enunciati che coinvolgono la finzione sono sostanzialmente non rivedibili.
Varietà di operatori di finzione
Voltolini, A.
2017-01-01
Abstract
In (2014), Mark Sainsbury ha sostenuto le due seguenti tesi: primo, che esiste una varietà di operatori di finzione, in particolare l’operatore “secondo f ” e quello “in f ”, che danno un differente contributo semantico agli enunciati complessi che contribuiscono a generare; secondo, che nessun loro trattamento semantico basato su mondi possibili funziona. In questo saggio voglio mostrare che, una volta che si reinterpreti opportunamente quel che Sainsbury sostiene, egli è interamente nel giusto per quanto riguarda la sua prima tesi, ma lo è solo parzialmente per quanto riguarda la seconda tesi. Per iniziare, voglio interpretare la distinzione tra l’operatore “secondo f ” e quello “in f ” come distinzione che coinvolge il far finta da una parte e la pura e semplice realtà dall’altra. Per me infatti il primo operatore forma un enunciato complesso incassante un altro enunciato che è usato finzionalmente, ossia usato all’interno di un gioco di fare finta. Il secondo operatore invece semplicemente impegna all’esistenza di storie che sono insiemi di proposizioni. L’enunciato che in questo secondo caso l’operatore contribuisce ad incassare esprime una proposizione siffatta quando è usato in modo internamente metafittizio; per parlare cioè della finzione ma da fuori di essa. Come conseguenza di quest’interpretazione, abbiamo che il primo operatore è un ‘mostro’ nel senso di Kaplan (1989), in quanto comporta uno slittamento quanto all’enunciato incassato non solo delle sue circostanze di valutazione, ma anche del suo contesto stretto di interpretazione. Come tale, il primo operatore è effettivamente un operatore intensionale ma sofisticato; un enunciato complesso del tipo “secondo f, p” in un contesto reale di interpretazione è realmente vero, cioè, vero nel mondo reale di quel contesto, sse l’enunciato incassato “p” in un contesto fittizio di interpretazione, il cui parametro ‘mondo’ è saturato dal mondo dal mondo del rilevante gioco di far finta, è fittiziamente vero in quel mondo. Ma il secondo operatore non è neppure un operatore intensionale standard: un enunciato complesso della forma “in f, p” è realmente vero sse la proposizione espressa dall’enunciato incassato “p”, quando usato in modo internamente metafittizio, appartiene all’insieme di proposizioni che costituisce la storia fittizia designata dal termine “f”. In verità, un enunciato complesso della forma “secondo f, p” è al tempo stesso tanto realmente vero e non impegnato ontologicamente a personaggi fittizi, mentre un enunciato complesso della forma “in f, p” può essere tanto realmente vero quanto suggerire un impegno ontologico a tali personaggi. Tuttavia, la ragione principale per questa differenza tra operatori di finzione non è ontologica ma epistemica. In virtù di tale differenza, si può in effetti garantire tanto un senso in cui facciamo scoperte genuine sulla finzione quanto un senso in cui enunciati che coinvolgono la finzione sono sostanzialmente non rivedibili.File | Dimensione | Formato | |
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