Obiettivo di questo lavoro è saggiare il grado di apertura alla pluralità culturale del diritto e della giustizia civile minorili italiani, intesi come complesso di istituti giuridici e di autorità giudiziarie che nel nostro Paese sono chiamati a garantire i diritti delle persone minorenni. In altre parole: quando è in gioco l’interesse di un bambino o ragazzo, fino a che punto può spingersi la tutela del diritto “alla differenza culturale” dei o del genitore o del minore stesso? Com’è noto, infatti, nel diritto minorile, il diritto all’”identità culturale” deve confrontarsi non solo con il divieto di discriminazioni in base all’etnia, alla lingua e alla religione, ma anche e soprattutto con il principio del superiore interesse del minore, in forza del quale al “bene-essere” della persona che non abbia raggiunto la maggiore età deve essere riconosciuta importanza primaria nell’adozione di decisioni che la riguardino. Ulteriore fattore di complessificazione è poi il fatto che si tratta di un soggetto in formazione e che dunque una valutazione prognostica è centrale anche nella definizione del contenuto dei suoi diritti. L’analisi degli ambiti giurisprudenziali di più frequente indagine del contenuto e dei limiti del diritto all’”identità culturale” nella relazione di filiazione mostra in effetti come il ruolo della variabile culturale nel diritto minorile non possa essere definito a priori e debbano essere rigettati sia orientamenti “assimilazionisti” che, invocando i principi di uguaglianza e laicità dello Stato, neghino ogni rilievo alla “variabile culturale”, sia orientamenti giustificazionisti che tendano ad attribuire aprioristicamente valore scriminante alla natura culturalmente orientata della condotta genitoriale e giudica la situazione del minore prevalentemente alla luce del suo background culturale.
Pluralità culturale e diritto minorile
Joelle Long
2018-01-01
Abstract
Obiettivo di questo lavoro è saggiare il grado di apertura alla pluralità culturale del diritto e della giustizia civile minorili italiani, intesi come complesso di istituti giuridici e di autorità giudiziarie che nel nostro Paese sono chiamati a garantire i diritti delle persone minorenni. In altre parole: quando è in gioco l’interesse di un bambino o ragazzo, fino a che punto può spingersi la tutela del diritto “alla differenza culturale” dei o del genitore o del minore stesso? Com’è noto, infatti, nel diritto minorile, il diritto all’”identità culturale” deve confrontarsi non solo con il divieto di discriminazioni in base all’etnia, alla lingua e alla religione, ma anche e soprattutto con il principio del superiore interesse del minore, in forza del quale al “bene-essere” della persona che non abbia raggiunto la maggiore età deve essere riconosciuta importanza primaria nell’adozione di decisioni che la riguardino. Ulteriore fattore di complessificazione è poi il fatto che si tratta di un soggetto in formazione e che dunque una valutazione prognostica è centrale anche nella definizione del contenuto dei suoi diritti. L’analisi degli ambiti giurisprudenziali di più frequente indagine del contenuto e dei limiti del diritto all’”identità culturale” nella relazione di filiazione mostra in effetti come il ruolo della variabile culturale nel diritto minorile non possa essere definito a priori e debbano essere rigettati sia orientamenti “assimilazionisti” che, invocando i principi di uguaglianza e laicità dello Stato, neghino ogni rilievo alla “variabile culturale”, sia orientamenti giustificazionisti che tendano ad attribuire aprioristicamente valore scriminante alla natura culturalmente orientata della condotta genitoriale e giudica la situazione del minore prevalentemente alla luce del suo background culturale.File | Dimensione | Formato | |
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