La legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio), individuate le funzioni fondamentali il cui esercizio permane in capo alle Province, stabilisce che quelle non fondamentali devono essere riallocate dallo Stato e dalle Regioni, secondo le rispettive competenze, in base all’art. 118 Cost. (art. 1, comma 89) e che, di conseguenza, le risorse finanziarie, in precedenza spettanti alle Province, dedotte quelle necessarie per l’assolvimento delle funzioni fondamentali, «sono attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite» (art. 1, comma 97, lettera b). Con la legge n. 190 del 2014 il legislatore statale ha previsto una progressiva riduzione della dotazione organica delle Province e delle città metropolitane; disposto il loro concorso al contenimento della spesa pubblica attraverso la previsione di una progressiva riduzione delle spese; e stabilito che, in considerazione di questa riduzione di spesa, «ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa» (art. 1, comma 418). Ciò che, però, a queste disposizioni non consegue è l’attribuzione delle risorse versate dagli enti di vasta area nel capitolo di entrata del bilancio statale agli enti subentranti: alla riduzione dei capitoli di spesa e alla riallocazione delle funzioni provinciali non fondamentali non fa seguito alcuna riassegnazione delle risorse necessarie al loro svolgimento. Della mancata previsione di riassegnazione di risorse si lamentano le Regioni (in quanto enti subentranti, o in quanto comunque soggetti legittimati a rappresentare gli interessi degli altri enti locali). Dei conseguenti dubbi di legittimità costituzionale è investita la Corte costituzionale, che si pronuncia ben tre volte nell’arco di un ristretto lasso di tempo: con una decisione di infondatezza, prima (la n. 205 del 2016); con una decisione di inammissibilità, poi (la n. 84 del 2018); e, da ultimo, con una decisione additiva di principio (la n. 137 del 2018). La vicenda consente all'A. di analizzare il ricorso della Corte costituzionale a una sorta di "progressione per gradi" nella adozione delle tecniche decisorie, man mano più intense, ma che trovano un limite nella natura eminentemente tecnica della questione proposta.
Come decide la Corte costituzionale dinanzi alle lacune tecniche? Il particolare caso della mancata riassegnazione delle risorse agli enti subentranti dopo la riforma Delrio.
Valeria Marcenò
2018-01-01
Abstract
La legge n. 56 del 2014 (c.d. legge Delrio), individuate le funzioni fondamentali il cui esercizio permane in capo alle Province, stabilisce che quelle non fondamentali devono essere riallocate dallo Stato e dalle Regioni, secondo le rispettive competenze, in base all’art. 118 Cost. (art. 1, comma 89) e che, di conseguenza, le risorse finanziarie, in precedenza spettanti alle Province, dedotte quelle necessarie per l’assolvimento delle funzioni fondamentali, «sono attribuite ai soggetti che subentrano nelle funzioni trasferite» (art. 1, comma 97, lettera b). Con la legge n. 190 del 2014 il legislatore statale ha previsto una progressiva riduzione della dotazione organica delle Province e delle città metropolitane; disposto il loro concorso al contenimento della spesa pubblica attraverso la previsione di una progressiva riduzione delle spese; e stabilito che, in considerazione di questa riduzione di spesa, «ciascuna provincia e città metropolitana versa ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato un ammontare di risorse pari ai predetti risparmi di spesa» (art. 1, comma 418). Ciò che, però, a queste disposizioni non consegue è l’attribuzione delle risorse versate dagli enti di vasta area nel capitolo di entrata del bilancio statale agli enti subentranti: alla riduzione dei capitoli di spesa e alla riallocazione delle funzioni provinciali non fondamentali non fa seguito alcuna riassegnazione delle risorse necessarie al loro svolgimento. Della mancata previsione di riassegnazione di risorse si lamentano le Regioni (in quanto enti subentranti, o in quanto comunque soggetti legittimati a rappresentare gli interessi degli altri enti locali). Dei conseguenti dubbi di legittimità costituzionale è investita la Corte costituzionale, che si pronuncia ben tre volte nell’arco di un ristretto lasso di tempo: con una decisione di infondatezza, prima (la n. 205 del 2016); con una decisione di inammissibilità, poi (la n. 84 del 2018); e, da ultimo, con una decisione additiva di principio (la n. 137 del 2018). La vicenda consente all'A. di analizzare il ricorso della Corte costituzionale a una sorta di "progressione per gradi" nella adozione delle tecniche decisorie, man mano più intense, ma che trovano un limite nella natura eminentemente tecnica della questione proposta.File | Dimensione | Formato | |
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